La capanna dello zio Tom/Capo XLI

XLI. Il padroncino

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
XLI. Il padroncino
Capo XL Capo XLII
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CAPO XLI.


Il padroncino.


Due giorni dopo, un giovine attraversava in un calesse il viale coronato di alberi della Cina, e abbandonando frettolosamente le redini sul collo de’ cavalli, chiese del proprietario della piantagione.

Era questi Giorgio Shelby; e per conoscere la ragione che ivi lo conduceva, fa d’uopo riprendere più sopra il corso della nostra storia.

La lettera di Ofelia alla signora Shelby, era stata ferma sgraziatamente in posta per due mesi, prima di giungere al suo indirizzo, e quando vi giunse, Tom già era perduto fra i paludosi terreni del fiume Rosso, senza che se ne conoscesse il sito preciso.

La signora Shelby intese con vivo interesse la sorte del negro, ma si trovava nell’impossibilità d’adoprarsi immediatamente in suo favore. Shelby era ammalato di una violenta febbre che gli cagionava il delirio. Giorgio, che si era fatto un bel giovane, governava con lei le sostanze paterne. Miss Ofelia le avea con precauzione insegnato il nome del procuratore degli eredi Saint-Clare; e il tutto si riduceva a questo, di indirizzargli una lettera chiedendogliene notizie. L’improvvisa morte di Shelby accrebbe l’imbarazzo della famiglia; questi, confidando pienamente nella sua moglie, l’avea fatta esecutrice testamentaria. Ella era in tal modo a capo di una grandissima fortuna, aggravata però da molte passività. Con l’energia propria del suo carattere, s’accinse a dar sesto ai complicati affari del [p. 411 modifica]defunto, esaminandone i conti, pagando i debiti, ponendo insomma l’ordine nel disordine. Mentre, coadiuvata dal suo figlio, era tutta in tali cose intesa, ricevette una lettera del procuratore della famiglia Saint-Clare, che le partecipava, esso non saper altro di Tom, se non che era stato venduto ai pubblici incanti.

Una tal risposta non appagava i Shelby; circa sei mesi dopo, Giorgio dovendo passare il Mississipi per una sua bisogna, deliberò di portarsi alla Nuova-Orleans e di far esso in persona ricerca di Tom, e di riscattarlo. Vane per molto tempo furono le sue inchieste; ma finalmente s’abbattè ad un tale che gliene rivelò la condizione. Giorgio, fornitosi d’una importante somma di danaro, rimontò il fiume Rosso in un battello a vapore, deliberato di ritrovare e riscattare il suo amico.

Venne introdotto nella casa, e nella sala a pian terreno trovò Legrée, che l’accolse con tuono rozzo sì, ma non senza i riguardi dovuti ad uno straniero.

— «Ho inteso che avete comprato alla Nuova-Orleans uno schiavo col nome di Tom. Era costui un servo di mio padre, ed io vengo, se è possibile, per riscattarlo.»

La fronte di Legrée si oscurò.

— «Sì — gridò egli — ho comprato quest’uomo; maledetto mercato; è il più ribelle e il più insolente tra quanti animali io m’abbia mai veduto al mondo! Per cagion sua tutti i miei negri son disposti a fuggire, ed egli ha già procurato la fuga di due donne del valore almeno di mille dollari ciascuna. Non nega d’aver ciò fatto; e io gli imposi di dirmi dove elle si trovavano; ebbe l’audacia di rispondermi che ei lo sapeva, ma che non voleva dirmelo, e tenne duro malgrado io l’abbia fatto conciare in modo che mai altro schiavo. Credo che ora gli sia venuto il capriccio di morire, ma non so se vi riuscirà.»

— «Dov’è? — gridò Giorgio con impeto. — Dov’è? voglio vederlo.»

Il viso del giovane s’era infuocato, i sui occhi dardeggiavano; ma stimò prudenza il contenersi.

— «Si trova nel vecchio magazzino» disse un piccolo negro.

Legrée aggiustò un calcio al fanciullo; ma Giorgio, senza aggiungere sillaba, si precipitò al luogo indicato.

Tom si trovava là dopo la notte fatale; egli non soffriva; chè i colpi ricevuti ne aveano resi ottusi i nervi per cui si comunica all’anima il dolore. Era in un letargo continuo: ma tale era la forza della sua fisica costituzione, che l’anima prigioniera mal poteva sciogliersi dai lacci del corpo. Alcuni, de’ suoi compagni, protetti dalle ombre della notte, rubando qualche ore al riposo, venivano a rendergli quelle affettuose cure onde esso era stato sì prodigo con loro. Questa povera gente non era in grado [p. 412 modifica]di offrirgli altro che un bicchier d’acqua, ma gliel’offrivano con tutto il cuore; le loro lagrime erano cadute sul suo viso, lagrime di pentimento e di dolore. Essi avevano offerto preghiere per lui ad un Salvatore di cui altro non conoscevano che il nome, ma un Salvatore che mai non si implora invano, quando le preghiere sono ispirate dalla fede.

Cassy era uscita dal suo ritiro, e aggirandosi qua e là per le tenebre aveva inteso parlare del sacrifizio che Tom avea fatto per essa e la sua Emmelina; e con rischio d’essere scoperta, era venuta nella notte precedente a visitarlo, e commossa dalle parole del moribondo, avea pregato per lui.

Quando Giorgio entrò nel vecchio magazzino, fu preso da un capogiro che quasi lo privò dei sensi.

— «È mai possibile? — gridò egli, inginocchiandosi presso al letticciuolo o per dir meglio al canile di Tom; — papà Tom, mio vecchio amico!»

Parve che una tale voce giungesse al cuore del moribondo; scosso dolcemente il capo, sorrise e mormorò i seguenti versi d’un inno:


Il Signor sia benedetto — Che in un morbido origlier
Mi trasforma il duro letto — Ove spento ho da giacer.

Mentre il giovine s’inchinava verso l’amico, i suoi occhi gocciavano calde lagrime che onoravano il suo cuore.

— «O Tom, rianimatevi, parlatemi, guardatemi! Io sono Giorgio, il vostro padroncino, non mi riconoscete?»

— «Signor Giorgio» disse Tom, con fioca voce, aprendo gli occhi.

A poco a poco si rischiararono le sue idee, scintillò lo sguardo, la sua fisonomia s’accese, giunse le mani e irrigò di lagrime le guancie.

— «Sia lodato Iddio! questo è tutto ciò che io desiderava... dunque io non sono stato dimenticato... Il mio cuore si rinverdisce... Ora muoio contento.»

— «Voi non morrete — gridò Giorgio; — io vengo a riscattarvi e ricondurvi a casa.»

— «Giorgio, voi giungete troppo tardi. Iddio già mi ha riscattato, e anch’egli mi conduce a casa: mi tarda l’istante di giungervi. Il cielo è ben da anteporsi al Kentucky!»

— «Vivete! Mi si spezza il cuore pensando ai vostri patimenti, vedendovi giacere in questo vecchio magazzino, mio povero amico!»

— «Non compiangetemi — disse Tom con voce solenne — io era [p. 413 modifica]infelice, ma ora i guai sono terminati. Ah, signor Giorgio! il cielo è venuto, io ho riportato la vittoria, Iddio me l’ha donata; gloria al suo nome!»

Colpito dall’energia onde il moribondo pronunziava codeste parole interrotte, Giorgio taceva. Tom gli prese la mano e continuò: «Guardatevi dal dire a Cloe lo stato in cui mi avete trovato; troppo ne soffrirebbe quella povera donna. Ditele solo che voi m’avete visto al momento della mia partenza per un mondo migliore, e che io più non poteva rimaner quaggiù. Ditelo che Iddio mi fu compagno in ogni luogo e sempre, e che m’ha alleviato il cammino... E i miei poveri figli, e la mia piccola figlia... Oh quante lagrime ho per essi versate... Raccomandate loro d’imitare il mio esempio. Ricordate al mio padrone, alla mia buona padrona e a tutti di casa quanto io li amassi... Io tutti li amo... io amo tutti i miei fratelli... o signor Giorgio, è pur la dolce cosa essere cristiano.»

In questo punto Legrée comparve sull’entrata del magazzino, vi lanciò uno sguardo e allontanossi con affettata indifferenza.

— «Vecchio scellerato! — gridò Giorgio pieno di sdegno. — Io penso che un giorno lo rimeriterà l’inferno.»

— «Bando a tali idee — disse Tom serrandogli la mano; — è un povero infelice; se egli volesse correggersi, troverebbe ancor perdono presso il Signore, ma io ne temo.»

— «Ed io lo desidero; non vorrei vederlo in paradiso.»

— «In grazia, Giorgio, non parlate così: egli infin de’ conti non mi ha fatto male veruno; egli m’ha aperte le porte del regno celeste.»

La forza sopranaturale che la vista di Giorgio aveva dato al morente, riempiendolo di gioia, lo abbandonò ad un tratto. Chiuse gli occhi, e si avvisò sui suoi lineamenti quella sublime e misteriosa trasfigurazione che è foriera degli estremi momenti. Il largo suo petto s’alzava ed abbassava con ansia dolorosa. Profondo ed interrotto usciva il respiro, l’espressione della sua fisonomia era quella d’un vincitore.

— «Chi potrà toglierci l’amore del Cristo?» mormorò egli con flebile voce; e s’addormentò per sempre in un sorriso.

Giorgio lo contemplò con venerazione. Gli parve che quel luogo ormai fosse divenuto sacro. Dopo aver chiusi gli occhi del suo amico, ebbe un solo pensiero, quello che il morente aveva manifestato:

— «È pur la dolce cosa essere cristiano!»

Alzandosi vide Legrée che gli stava dietro con aria truce. Questa scena di agonia aveva eccitato ardenti emozioni nell’anima del giovane. Legrée gli ispirava un profondo orrore, e il suo primo pensiero si fu di partire, di fuggirlo il più che fosse possibile. Lanciandogli uno sguardo molto espressivo, solo gli disse: «Voi aveste di lui quanto aver si potea. Che [p. 414 modifica]cosa pretendete del suo corpo? È mia intenzione di portarlo via e dargli sepoltura.»

— «Io non vendo i negri morti: seppellitelo pure a vostro comodo.»

— «Fanciulli! — gridò Giorgio con voce imperiosa ad alcuni negri che guardavano il morto — alzatelo, portatelo nella mia vettura, e portatemi una vanga.»

Uno de’ negri andò per la vanga, e due altri aiutarono Giorgio a trasportare il corpo nella vettura. Legrée non s’oppose agli ordini, e continuò ad affettare un’aria d’indifferenza; prese a zufolare fra i denti e seguì Giorgio senza che questi gli indirizzasse pure una parola.

Si tolse il sedile della vettura, per far posto al cadavere, che venne diligentemente avvolto nel mantello che Giorgio vi aveva disteso. Questi ritornò quindi verso il signor Legrée, e con forzata calma gli disse:

— «Non v’ho ancor manifestato il mio pensiero intorno a questo atroce delitto. Il momento non è giunto ancora. Ma il sangue dell’innocente grida vendetta: io farò conoscere quest’assassinio; io vi denunzierò al primo magistrato che si trovi sul mio cammino.»

— «Come vi piace — disse Legrée, facendo scoppiettare le sue dita; — avrei molto gusto, vedendovi alla prova. Dove sono i vostri testimonii? Quali le vostre prove? Coraggio, io vi sfido a metterli in campo.»

Giorgio conobbe la forza della sfida: non eravi un bianco nella piantagione, e in tutti i tribunali del Sud la deposizione d’un negro non vale. Credette per un istante che i cieli avrebbero risposto all’appello, ma i cieli erano muti.

— «Alla fin de’ conti, quanto rumore per un negro morto» disse Legrée.

Questa parola fu come una scintilla lanciata in un magazzino di polvere. La prudenza non fu giammai la virtù caratteristica d’un figlio del Kentucky. Giorgio, portato dalla collera, percosse Legrée al viso, lo gettò a terra, e standogli sopra e menandogli colpi, poteva essere paragonato al santo del suo nome, vincitore del drago.

V’hanno certuni per cui è un bene l’essere percossi, giacchè tosto concepiscono profondo rispetto per chi ha loro fatto mordere il terreno. Legrée era di questo numero; vile non men che crudele, vide allontanarsi il calesse senza dir parola, senza aver il coraggio di protestare contro il cattivo trattamento di cui era stato vittima.

Giorgio aveva notato, al di là dei limiti della piantagione, un monticello di sabbia ombrato da alcuni alberi.

Quivi scavarono la fossa.

— «Padrone, è mestier tor via il mantello?» dissero i negri quando fu scavata la tomba. [p. 415 modifica]

— «No, no, seppellitelo in quello. Ciò è quanto io posso darvi, povero Tom, e non voglio torvelo.»

Gli uomini deposero il corpo nella fossa, lo guardarono muti e vi stesero sopra alcune zolle.

— «Voi potete andarvene, o garzoni» disse Giorgio facendo guizzare una moneta nella mano di ciascuno: ma pareva che i negri stessero dubbiosi nell’accettarla.

— «Padrone, comprateci» disse uno di loro.

— «Noi vi saremo servitori fedeli» aggiunse il secondo.

— «Qui dura è la vita — riprese il primo. — Padrone, comprateci, se v’aggrada.»

— «È impossibile» riprese Giorgio imbarazzato ed accennando ai medesimi d’allontanarsi.

I due negri si allontanarono mesti e silenziosi. Giorgio si inginocchiò davanti la tomba del suo amico.

— «Eterno Dio! — esclamò egli — io ti chiamo in testimonio che da questo punto io m’adoprerò con ogni possibile sforzo per liberare dalla schiavitù la mia terra natale.»

Non v’ha monumento che ci additi l’ultima dimora del nostro amico, ma egli non ne ha bisogno, Dio sa, dove il povero Tom riposa, e il negro oppresso si rialzerà immortale per partecipare alla gloria degli eletti. Non compiangetelo, la sua vita e la sua morte non sono tali da ispirare pietà: non le ricchezze, non la potenza hanno pregio agli occhi di Dio, ma l’amore, l’abnegazione, il sacrifizio. Beati gli uomini che egli chiama a seguirlo, a portar la croce! Per loro sono scritte le seguenti parole: «Beati quelli che piangono perchè saranno consolati.»