La cantarina/Nota storica

Nota storica

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Parte II
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NOTA STORICA

La Cantarina nacque insieme col Matrimonio discorde, e per la stessa occasione, nell’estate o nell’autunno del 1755, come abbiamo visto nella Nota precedente. Anche questo Intermezzo sfuggì agli studiosi del Goldoni fino al settembre del 1901, allorchè il maestro Alberto Cametti ne diede per primo notizia a Edgardo Maddalena. L’anno dopo il Cametti lo ricordò in uno scritto pubblicato nella Rivista Musicale Italiana (Critiche e satire teatrali del Settecento, p. 5 dell’estratto); qualche cenno offrì poi F. Piovano nel 1907, nel diligentissimo catalogo delle opere del Buranello (B. Galuppi - Note biobibliografiche, in Riv. Mus. It., A. XIV, fase. 2, p. 347). Si cantò la prima volta il 28 febbraio 1756 nel teatro Capranica, a Roma (G. Pavan, Il T. Capranica ecc., in Riv. Mus. It., 1922, p. 434), servendo, pare, da intermezzo alle recite del Festino, nota commedia del Goldoni (vol. XI): come gentilmente mi comunica lo stesso Cametti.

L’argomento era vecchio ormai. Basta rammentare di nuovo la Cantatrice del Lalli a Venezia, nel 1727, la Cantarina napoletana nel 1728 (ricordata dal Croce e dal Sonneck), la Cantatrice del Goldoni nel 1730 e la Pelarina del Goldoni stesso e del Gori (v. specialmente a pp. 56-57 del presente volume): alle quali possiamo aggiungere I raggiri delle Cantatine del Vitturi, con musica del Maggiore, a Venezia, nel ’48 (Wiel); la Virtuosa corteggiata da tre cicisbei ridicoli del Vasini, con musica del Buini, a Bologna, nel ’49 (Ricci e Toldo); la Canterina di Domenico Macchia, con musica del Conforto, a Napoli, nel ’54 (Croce, 443); e ivi, nello stesso anno, le Chiajese canterine del Trincherà (Croce, 442), con musica del Logroscino. Non è poi inutile far cenno di una commedia di Francesco Griselini, la Reginella o la Virtuosa di Musica, recitata ai 22 gennaio 1756 nel teatro di S. Gio. Crisostomo (v. Notatorj Gradenigo. - Una commedia intitolata Le Zitelle cantarine, di Lorenzo Vettori da Spoleto, si stampò a Genova nel 1663), che restò a lungo famosa: nè d’un fortunato romanzo in due volumi, La Cantatrice per disgrazia, pubblicato sulle lagune dall’abate Chiari nel ’54.

Altre cantanti sfilano pure attraverso le commedie del Goldoni, come ben sappiamo (v. p. 57): ma in questa Cantarina del ’56 non si curò propriamente l’autore ai raffigurare il tipo tradizionale e caratteristico della virtuosa da teatro, anche se il dialogo si svolge a Bologna, famosa patria delle cantanti, bensì pose in scena la solita lusingatrice cbe s’attacca agli uomini ricchi e generosi, una specie di Pelarina, meno volgare di quella che il Gori fece sua. Tutto l’Intermezzo, che porta l’impronta dell’improvvisazione, è composto di reminiscenze (c’è perfino negli amori di Geltruda e Lorino un ricordo di Amor fa l’uomo cieco) e non offre nessun soffio di vita artistica: è una povera farsetta di vecchio tipo, coi soliti inverosimili travestimenti del Marchese in Tedesco italianato e in Barone francese, ossia in Guascone. Per tacere gli antichi canti dei lanzi e il Capitano della Commedia dell’arte, che parla [p. 506 modifica]qualche volta tedesco, ricorderò più da vicino l’opera buffa napoletana e in generale l’opera comica del Settecento, dove ricorre spesso il soldato tedesco (v. anche Della Corte, L’Opera Comica It. nel ’700, Bari, 1923, vol. II, 231 ). Quanto al Francese, abbiamo già fatto conoscenza con Monsieur Petiton (v. anche la Nota storica, p. 215). Non mette conto rammentare i Francesi e i finti Francesi del teatro popolare, fin dalle farse dell’Alione, nè quelli della commedia ridicolosa del Seicento (un personaggio francese vedo, per es., nella Dispettosa moglie del Briccio, 1611; di solito è il servo Raguetto: v. G. Caprin in Riv. Teatrale It., 1909, fasc. 4, pp. 215-216) e della commedia letteraria del Settecento (Ortolani, Settecento ecc., Venezia, 1905, passim). Gli italiani infranciosati derideva nel 1747 il Maffei nel Raguel (teatro S. Samuele, Venezia: v. specialmente B. Croce, nella Critica, XXVI, 1929, fasc. I, pp. 72-73, sulla voce Raguel): un ridicolo francese ci offriva poi Goldoni nella Vedova scaltra (vol. II). Ma lo stesso avvocato Antonio Gori (p. 56 ecc.), nella seconda parte dell’intermezzo che ha per titolo Gl’Ovi in puntiglio (teatro S. Samuele, 1735), traveste Cinabro e lo fa parlare in un francese spropositato come quello del Marchese goldoniano, mentre Vaniglia, fingendosi tedesca, parla un linguaggio simile a quello del finto Generale nella Cantarina. Ma pur troppo il Goldoni ben di rado riesce a strapparci un sorriso in questo scialbo scherzo per musica.

Un intermezzo in due atti, intitolato La Cantarina, forse questo stesso del Goldoni, fu musicato da Giuseppe Haydn e rappresentato nel carnevale del 1764, nel castello del principe Nicola Esterbazy (Gio. e Carlo Saivioli, Bibliografia Universale del Teatro Drammatico Italiano, Venezia, 1894, p. 634), ad Eisenstadt, probabilmente, dove lo spartito esisterebbe ancora (v. Eitner, Biographisch-bibliographisches Quellen Lexikon ecc., V Band, p. 63: il quale attinge dàlia biografia di C. F. Pohl, Joseph Haydn, Leipzig, 1875-1782). La Canterina musicò pure il maestro pugliese Giacomo Tritto di Altamura (1735-1824); e fu rappresentata a Roma nel 1790(v. Clément et Larousse, Dictionnaire lyrique etc., Paris, 1897, p. 135; e Salvioli, l. c.; e Eitner, l. c., IX Band, p. 456; e G. De Napoli, G. Tritto, in Lettura, 1 ott 1924). Non potei vedere il libretto che non si trova a Venezia, nè a Bologna, nè a Roma presso la Biblioteca Musicale di S. Cecilia o nella raccolta Rolandi, come gentilmente mi avverte il maestro Francesco Mantica.

Poichè la Cantarina era opera del Goldoni e del Galuppi, e veniva dalle lagune, la stampa fu dedicata dagli “Interessati del Teatro„ alla nobildonna veneziana Eleonora Collabo Cappello con la seguente lettera:

Eccellenza,

Siccome, con tutta ragione, l’assunto di rappresentare al pubblico una qualche Composizione Musicale può annoverarsi fra le imprese più soggette alla popolare incostanza; con saggio avvedimento coloro che a questa impresa si accingono, oltre la cura ed industria usata in corredarla di tutto ciò che può renderla più aggradevole, hanno introdotto il costume di provederla di un Patrocinio valevole per frenar le animosità più contrarie al felice successo di simigliante intrapresa: al qual costume, come saggio e [p. 507 modifica]vantaggioso inerendo adesso, Noi preghiamo l’E. V. a non sdegnare di essere questa volta il nostro decoroso sostegno; e affinchè s’impegni farlo anche per dovere, abbiamo voluto che la presente Farsetta uscisse alla luce freggiala del Suo glorioso Nome, acciocchè riconoscendola per cosa di proprio dominio, come realmente diviene per l’atto che noi facciamo di ossequiosamente tributartela, abbia l’E. V. tutta l’autorità di favorirla e difenderla. Del che ci lusinghiamo poterci sicuramente ripromettere per la somma gentilezza ed innata benignità dell’E. V., la quale mostrando gradire questo sincero attestato della nostra particolare osservanza, ci dia l’onore di poterci chiamare

Di V. E. Roma 18 Febraro 1756

Umi, Dmi, et Oblmi Servitori
Gl’Interessati del Teatro.


Eleonora Collalto, nata a Venezia dal conte Odoardo, alla Maddalena, sposò ai 23 ottobre 1742 a Vienna, dov’era damigella di Corte di Maria Teresa, regina in quel tempo d’Ungheria, il N. U. Pier Andrea Cappello, ambasciatore colà per la Serenissima Repubblica (G. Zanetti, Memorie ecc., edite da F. Stefani: estratto dall’Archivio Veneto, 1885, pp. 12 e 58). Seguì il marito, ambasciatore in Inghilterra dal 1744 al ’48 (Brown, L’Archivio di Venezia ecc., Venezia, 1865, p. 269); poi a Roma fino al ’57, e poi a Brescia dov’egli fu Podestà: di che le dà lode un anonimo (v. cod. 72 Provenienza Gradenigo Dolfin, presso il Civico Museo Correr); ma lady Montagu afferma ch’essa seppe riuscire ridicola così a Londra come a Roma (v. lett. alla contessa di Bute, da Venezia, 26 nov. ’60). Rimasta vedova nel ’63, viaggiò l’anno dopo in Germania, come pare, e altrove, e abitò a Roma per qualche tempo, destando per la bizzarria del suo carattere molte dicerie in patria, dove fece ritorno nell’ottobre del ’65 (Notatorj cit., 28 giugno 1764 e 29 ott. 1765). Otto anni dopo scriveva scherzosamente da Vienna l’abate bolognese Taruffi al Cesarotti:”La Sig. Leonora Cappello è venuta a darsi qui in spettacolo per la seconda volta; ma mi dicono che non sia più in grado di farsi perdonare le sue vivacità. Per quanto ella detesti i suoi dieci lustri, il mondo ingiusto ed inumano non si vuol piegare a perdonarle questo peccato„ (Opere dell’Ab. M. Cesarotti, vol. XXXVI, 2° dell’Epistolario, p. 9: lett. 11 genn. 1773; Firenze, 1811).

Sofferse pure, fra le sue stranezze, di ubbie letterarie, e fra le pastorelle d’Arcadia si chiamò Palmira. A lei nel 1753 il Serassi dedicò il noto volume delle Rime di Bernardo Cappello, pubblicato a Bergamo. Nello stesso anno anche il Goldoni le dedicò la stampa della Moglie saggia (t. IV dell’ed. Paperini di Firenze: v. voi. VII della presente edizione, pp. 421-424). Dalla lettera di dedica apprendiamo come donna Eleonora non solo parlasse "con tanto vantaggio„ nei salotti romani, durante il pontificato di papa Lambertini, delle commedie goldoniane, invogliandone la lettura, ma ne proponesse colà "le rappresentazioni in più d’un teatro„. Forse rimane oggi questo il più bel titolo di lode per la capricciosa e galante gentildonna veneziana del lontano Settecento. In tarda età si fece monaca e col nome di suor Anna Maria finì [p. 508 modifica]i suoi giorni nel chiostro di S. Gerolamo, a Bassano, nel 1801. Narra il Barbiera, per mostrare il suo animo pietoso, che una cameriera tentò in convento di avvelenarla e derubarla, ma quantunque rea confessa, ottenne non solo il perdono, bensì anche il soccorso della vecchia dama. Debolezze e virtù di un’anima femminile! (R. Barbi era, Venezia scomparsa, scene e figure, in Gazzetta di Venezia, 29 sett. 1921).

G. O.