La Visione (Rossetti)
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LA VISIONE
Oh quai sogni mi rupper la calma
Fra i silenzi dell’alba tranquilla!
E quei sogni mi restan nell’alma
Come cifre d’antica sibilla;
E s’aggiran fra cifre sì astruse,
Le potenze dell’alma confuse.
Fra gli orrori di notte tacente
Iva l’ombra d’intorno fugando
Una croce di ferro rovente,
E la croce non era che un brando,
Che al cospetto di popoli aneli
Viaggiava pei campi de’ cieli.
Per quei campi migliaia di spettri
Vagolavan fra turbini oscuri,
E fra ’l cozzo di stili e di scettri
Strepitavan timballi e tamburi;
E fra ’l moto di stemmi e bandiere
S’alternavan minacce e preghiere.
Per l’immensa siderea contrada
Già quei suoni rombavan più forte,
Quando giunse la mistica spada,
E fu tutto silenzio di morte.
Ma nel mentre passava più presta
Una voce le disse: T’arresta!
Ver l’Italia la punta converse,
Qual cometa che allunghi la chioma;
Quella punta di sangue s’asperse,
E quel sangue stillava su Roma;
Ed il Tebro bollendo fumava
Qual Vesévo ch’erutti la lava.
E quel fumo per tutto si mesce,
L’ombra tetra rendendo più folta;
E quel fumo s’accresce, s’accresce,
Finchè Roma n’è tutta sepolta;
E due voci gridavan frattanto,
Fra i singhiozzi, fra gli urli, fra ’l pianto:
Scellerata, quel tempo s’affretta...
S’avvicina, malvagia, quel giorno... —
E vendetta, vendetta, vendetta,
Altre voci gridavan d’intorno;
Ed a cerchio gran popol di larve,
Come in vasto teatro, m’apparve.
Nelle file che m’eran davanti,
Per distanza men fosche, men brune,
Riconobbi due soli fra tanti,
Quai colossi fra gente comune,
Di Pistoia l’eccelso pastore,
E di Flora l’eterno cantore.
Ma la spada che ha forma di croce
Vien su Roma: n’esultan quei morti;
E più forte la disse la voce:
Qual bilancia ne pesa le sorti;
E ad un tratto, lontano, lontano,
Ricomparve la vindice mano.
E la spada che prima drizzata
Viaggiava pei ceruli campi,
In bilancia fu tosto cangiata
Sul cui fulcro strisciavano i lampi;
E la mano che a stender si venne
La bilancia pel fulcro sostenne.
Ondeggiavan le coppe malcerte
Ai due lati sospese nell’aria,
Ed entrambe m’apparver coperte
Di due tinte di tempra contraria;
Bianca l’una qual neve si fece,
L’altra nera da vincer la pece.
E la bianca nell’aria sorgendo
Si nascose fra nube fiammante,
E la nera con crollo tremendo
Più del piombo discese pesante:
A quel crollo che l’aria percosse
Roma tutta gemendo si scosse.
E vedevo le torri, i palagi
Come canne ch’ondeggiano ai venti;
E sentivo di giusti e malvagi
Meste preci, bestemmie frementi;
Poi sui campi coperti di fiori
Surse l’arco dai sette colori.
Vagheggiando quest’ultimo augurio
Presagisco futuro più mite,
Ed uscendo dall’umil tugurio
Risaluto le piagge fiorite.
Pria ch’io goda del chiaro mattino
Sulle soglie devoto m’inchino.
Tra i profumi di fiori novelli
Deh ti mesci, mia prece sincera!
Chi sa quanti dolenti fratelli
Stan facendo la stessa preghiera!
Ma dei voti dell’anime fide
La nemica d’Italia si ride.
GABRIELE ROSSETTI