La Scolastica/Atto secondo

Atto secondo

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Atto primo Atto terzo
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ATTO SECONDO.




SCENA I.

BONIFACIO, PISTONE famiglio.


Bonifacio.(Meglio è ch’io vada in piazza, e ch’io faccia opera
Col bidel, che mi truovi alcuno giovane
Costumato e dabbene, a ch’io le camere
Mie lochi;1 chè, volendo messer Claudio,
Come dice, partir, vuote non restino.)
Pistone.Vô uscir di casa, nè prima lasciarmici
Oggi trovar, che sian sonati i vesperi.
Bonifacio.(Ecco la feccia di quanti si trovano
Famigli negligenti, temerarii
E cianciator. Non so come potutolo
Abbia sì longamente patir Bartolo.)
Pistone.(Dovéan mandar un messo innanzi, o scrivere,
E darne almen d’un mezzo giorno spazio.
Gli è un mese che non sento altro, che vengono,
Non vengono. Al fin pur venuto è il vengono,2
Ed è venuto quando con più incomodo
Nostro ha potuto venire. Or mangino3
Di quel ch’è in casa; e faccin come possono:
Ch’io non so come provveder sì subito;
Nè sapendol, ci ho tempo; che m’importano
Più le faccende che ’l padrone impostomi
Ha, che l’apparecchiar credenze e tavole.)
Bonifacio.Che vuol dir questo apparecchio?
Pistone.                                                       Ci vengono
Forastieri.
Bonifacio.                 E chi son?
Pistone.                                   Non posso dirlovi.
Bonifacio.Perchè?
Pistone.              Perchè ha commesso in casa Eurialo,
Che non si dica fuor.

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Bonifacio.                                    Fatti in qua, dimmelo
Dentro l’orecchio: ma4 non volse intendere
Di me.
Pistone.            Nol so: ha ben commesso in spezie
Che non si dica a questo vostro giovane
Che vi sta in casa.
Bonifacio.                              E perchè?
Pistone.                                                  Voglio dirlovi
Pur come egli è: di voi disse il medesimo,
Che non vi si dicesse.
Bonifacio.                                   È egli possibile?
Pistone.Gli è com’5 vi dico: ma a sua posta,6 vogliolo
A voi dir, ogni modo, chè vi reputo
De’ nostri. Poi la cosa non veggo essere
Tanto importante, ch’io la debba ascondere:
E gracchi quanto vuol. Son gli medesimi
Ch’a questi dì aspettammo, che poi scrissono
Che non voléan più venir: or ci giongono
Addosso alla sprovvista, quando Bartolo
È partito.
Bonifacio.                  E chi son? pur messer Lazzaro,
Quel dottor da Pavia?
Pistone.                                     Non messer Lazzaro,
Ma la mogliere e la figliuola. Vogliono
Veder Ferrara. Montati7 a Fellonica,8
Son nelle navi del mercato; e vengono
Elle due, e con lor solo è il nostro Accursio,
Senza più.
Bonifacio.                  E dove resta messer Lazzaro?
Pistone.Va giù per l’altro Po: non ci vuol, dicono,
Dar tanta spesa.
Bonifacio.                           Debbe esser che misero,9

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Se si va assottigliando in cose minime!
Pistone.Anzi pur grandi, sì che già m’increscono.
Bonifacio.Staranvi assai?
Pistone.                         Cinque o sei giorni. Espettano
Un vecchio lor di casa, che debb’essere
Qui presto, il qual poi le conduca a Padova.
Bonifacio.Perchè non vuol che si sappia?
Pistone.                                                  Al giudicio
Mio, queste donne, perchè qui si veggono
10Senza serve e famigli, si vergognano.
Ma voglio andar.
Bonifacio.                             La via è espedita e libera.
Pistone.Ma, per dio, questa cosa, Bonifacio,
Stia in voi.
Bonifacio.                  Non dubitar, chè segretario
Non potresti trovar di me più tacito. —
Quel ch’egli ha detto a me, se cento vogliono
Saper, lo diría a tutti; ma ponendovi
Patto però, ch’ad altri non ridicano.
E di quel ch’egli afferma, ch’abbia Eurialo
Commesso che nè a me, nè a messer Claudio
In spezie, se ne parli, si può credere
Che se ne menta: ma quest’è il suo solito
Di sempre rapportar ciarle, e di spargere
Zizzanie, ed attaccar risse e discordie,
Col malanno che Dio gli dia. Ma debbono
Esser queste le donne che s’aspettano
Qui; chè con lor veggio che viene Accursio.
Vô veder se però questa Flamminia
11È bella come la fa messer Claudio,
E s’egli ha avuto in amar bôn giudicio.


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SCENA II.

VERONESE VECCHIA, IPPOLITA, ACCURSIO,

BONIFACIO.


Veronese.I gesti e detti vostri si conformino
Con quel ch’abbiamo disegnato, Ippolita;
Sì che nè questi altri famigli accorgersi
Nè queste serve, c’hanno in casa, possano
Che noi non siamo quelle che ’l nostro utile
Comun richiede che debbiamo fingerci.
Ippolita.Saprò ben far io per me.
Veronese.                                          Sì, se Eurialo
Non ci fusse.
Accursio.                      Anzi il farà meglio, essendoci
Egli, di non usar atto, o riguardandolo
Più del dovere, o accennando, o ridendogli
In viso, motteggiandolo, che liquido12
E chiaro faccia altrui che fra lor s’amino.
Ippolita.Se ci sarà persona a cui sia debito
D’aver rispetto, io starò cheta ed umile
Con gli occhi bassi, che parrò una monica.
Accursio.13Ecco la casa là del nostro Eurialo.
Ippolita.O cuor mio caro, o vita mia! Difficile
Sarà potermi tener di non correre
Ad abbracciarlo.
Veronese.                           Vedi come, Accursio,
M’è costei bene ubbïdiente!
Ippolita.                                              Affrettati,
Vecchia; cotesto passo di testuggine
Allunga un poco. Vuoi che stiamo a giungere
A quella casa cent’anni?
Accursio.                                          È impossibile,
In somma, che agli amanti legge mettere
Si possa. Ecco siam pur a casa: entrateci.
Ippolita.Entrate, madre.
Veronese.                           Va là, ch’io ti seguito,
Figliuola.
Accursio.                Non mi dispiace il principio.


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SCENA. III.

BONIFACIO.


È assai bella, per dio, e ha gentil’aria.
Ma che tard’io di cercar messer Claudio,
Tanto ch’io il trovi, sì ch’altri non l’occupi
E gli dia prima di me questo annunzio?
Ma dove il cercarò? Potría, dovendosi
Partir domani, o forse bene oggi, essere
Ito a pigliar dai dottori licenzia,
E dai compagni; o farsi far le polizze
Delle sue robe in gabella. Più facile,
E più sicur sarà star qui, e non perdere
Questa fatica. Non può star...14 Ma eccolo,
Eccol, per dio: gli è desso. Or apparecchisi
Di darmi il beveraggio, ch’io lo merito.


SCENA IV.

CLAUDIO, BONIFACIO.


Claudio.Non so se dica il ver, ma mal credibile
Mi par però che senza messer Lazzaro
Debban venire. Ma sia il ver che venghino,
Perchè ha così commesso in casa Eurialo
A quanti ve ne son, che non mel dicano?
Se non vuol pur che gli altri fuor l’intendano
(Chè la causa non so, nè immaginarmela
Posso), non dovría almeno a me nasconderlo.
Ma sono appresso ove posso chiarirmene.
Bonifacio.Che mi volete pagar, messer Claudio,
Se una novella vi do che gratissima
Vi sia?
Claudio.             La so; chè ’l servitor di Bartolo,
Che m’ha trovato su quel canto, dettala
Me l’ha.15
Bonifacio.                 Ve l’ha detta Piston?

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Claudio.                                                      Piston dettami
L’ha.
Bonifacio.            Guata bestia! mi prega di grazia
Ch’io non vel dica; poi vien’egli a dirvela.
Claudio.Così ha pregato me ancora, che tacito
Io me ne stia, nè con altri il comunichi:
Ma non gli credo.
Bonifacio.                              Sopra me credetegli,
Perch’egli è vero; nè sì poco giongere
Potevate più tosto, che veduto le
Avreste entrar là dentro.
Claudio.                                          Voi vedute le
Avete?
Bonifacio.             Con questi occhi.
Claudio.                                          Raffermandomi
Voi d’averle vedute, posso crederlo.
Chi è con lor? Una serva almen non abbiano?
Ben è mutato in tutto messer Lazzaro
Di natura. Le mosche che volavano
In casa, già in sospetto lo ponevano;
Nè mai sarebbe uscito se Flaminia
Non avea prima chiavata in la camara.
Bonifacio.Chiavata?
Claudio.            Io parlo onesto: ora intendetemi
Ancora onestamente. E poscia a cintola
Ne portava la chiave, nè fidavasi
Della moglier, e appena di sè proprio.
Sì che mi par sentir come un miracolo,
Che senza la sua guardia ora lasciatala
Abbia venir qui, dove vecchi e giovani,
Tutti generalmente dati all’ozio,
Non hanno altro pensier nè altro esercizio,
Che tuttavía sollecitar le femmine:16
Le quai, più qui che in altro loco libere
E di dir e di far ciò ch’elle vogliono,
Li forastieri17 ai lor costumi avvezzano,
Da non poter Lucrezia nè Virginia,
Se ci venisson, servar pudicizia.
Bonifacio.Ah! non dite cotesto, chè grandissimo

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Torto avete. Se bene hanno licenzia
Le donne nostre, non però si debbono
Nè peggior nè miglior dell’altre credere:
E se in ciò cade colpa, perchè agli uomini
Non si de’ dar più tosto, che ’l comportano?
Ma mi par che parliate più per collera
Che per ragione; ed io che darvi annunzio
Di gaudio mi credéa, veggo che datovi
L’ho di mestizia, e che vi spiace intendere
Ch’elle sian qui.
Claudio.                         Vi dico, Bonifazio,
La verità: questo volerlo ascondere
A me, che Eurialo fa, mi guasta il stomaco.
Bonifacio.Non date fede a quel poltron. Credibile
Non è che Eurialo avesse fatta simile
Commissïone: e quando anco pur fattala
Avesse, a mal effetto io non l’interpreto.
Forsi lo fa perchè il primo vuol essere
Che ve ne dia la novella, o vuol farlavi
D’improvviso vedere.
Claudio.                                    Il forse è debole
Fondamento. Le cose che si veggono
Si puon dir certe: le future in dubbio
Son sempre, che pônn’esser e non essere.
Bonifacio.Volete voi ch’io levi questo dubbio,
Se per bene o per mal costui nascondere
Cerca questa venuta?
Claudio.                                    Lo disidero.
Bonifacio.Gli vô porre una spia, che qual sia minima
Cosa non possa far nè dir, che subito
Non la intendiam.
Claudio.                              Fatel, di grazia, e costimi
Che vuole.
Bonifacio.                    Molto non vi vô far spendere:
Ma troverete, al fin, che gli è una favola.
Si vuol pigliar di voi giuoco, facendovi
Avere a un tempo maraviglia e gaudio
Quando la vederete. Ma in memoria
Mi torna, che mi disse dianzi Eurialo,
Che a desinar v’invita alla domestica
Con esso lui: sì che, per dio, comprendere
Potete ch’egli è appunto come io giudico.

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Ma ecco la sua fante: a chiamar credo vi
Venga or. S’avevi18 dianzi guasto il stomaco,
Così mangiando, potrete acconciarvelo.


SCENA V.

STANNA fantesca, e detti.


Stanna.(Io cercherò, ma sempre suol negli ultimi
Giorni di carneval esser difficile
Trovar piccioni; perchè i gentiluomini,
Che tutti feste e conviti apparecchiano,
Dieci dodici dì prima li mercano.19)
Bonifacio.Se la Stanna vorrà far questo offizio
D’esserci spia, sarà buona.
Claudio.                                             Bonissima,
Pur ch’ella voglia.
Bonifacio.                                Ella vorrà, vedretelo.
Stanna.(S’io non ne posso aver, torrò in quel cambio
Un pezzo di vitella, anitre o simile
Cosa. Ma dirò prima a messer Claudio
Questo ch’io gli ho da dire.)
Bonifacio.                                               Ecco, vi nomina:
Vedrete, al fin, che gli è come m’immagino.
Stanna.(Ma qui lo veggo a tempo.) Messer Claudio,
Mio padron, che v’avéa per Bonifacio
Fatto invitare per oggi, ora dicevi
Ch’oggi non può darvi mangiar, che giontegli
Son novelle importanti, che lo sforzano
Andare in villa: un’altra volta al debito
Sodisfarà.
Claudio.                Come gli piace.
Stanna.                                          Priegavi
Che voi gli perdoniate.
Claudio.                                     Non accadono
Qui perdonanze. Egli ove è?
Stanna.                                               Partitosi
È già un pezzo, e va in villa.

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Bonifacio.                                                  Debb’io credere
Che sia così indiscreto, che venuteli
Essendo gentildonne a casa, vogliale
Lassar sole?
Stanna.                    Che gentildonne?
Bonifacio.                                                  Abbiamole,
Nol negar, ben vedute, e siam certissimi
Che non è Eurialo in villa: anzi, se mossosi
Fusse per irvi, e sentisse che fossero
Venute, egli vorría, per tornar subito,
Volar, che non parría bastasse a correre.
Ed ha più che ragion; chè quella giovane
È, per dio, molto bella, e mostra all’aria
Esser non men gentil.
Stanna.                                    A fede,20 avetele
Vedute?
Bonifacio.              Ambe le viddi quando vennero,
La madre e la figliuola. Accarezzatele
E fate lor onore, e per lor meriti
E per rispetto poi di messer Lazzaro;
Al qual odo che Eurial ha immortal obbligo.
Stanna.Non manchiamo far lor ciò che è possibile.
Gli è ver che son venute quando Bartolo
Non ci è, che tutti ci trova in disordine.
Bonifacio.Non dir tutti, ch’io so, quando in disordine
Ben fussin gli altri, tu sei sempre in ordine.
Stanna.Voi volete la baja.
Bonifacio.                              Questo è il solito
De’ vecchi; tôr, quando dar non la possano.
Ma lasciamo le ciance: vien qui. Vuônne tu
Far, Stanna, un piacer grande? e promettemoti
Tener segreta; ed appresso guadagniti
Una saja21 con noi, ch’abbia le maniche
Di seta, chè non fusti mai sì orrevole.
Stanna.Ben bisogno n’aréi: pur senza premio
Son per farvi, ov’io possa, ogni servizio.
Bonifacio.Voglio che, per mio amore e per tuo utile,
Usi, Stanna mia cara, diligenzia
Di chiarirti s’Eurialo in questa giovane

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È innamorato. Facilmente accorgere
Te ne potrai.
Stanna.                      Ch’accade a voi d’intenderlo?
Bonifacio.Te lo dirò. Sappiam che ’l padre darglila
Vorrebbe, ed anco v’è inclinato Bartolo:
Ma se ’l parlar d’Eurialo avemo a credere,
Non par se ne contenti; e noi, per dirti la
Verità, mal gli crediamo. Tu studia
D’informarti del ver.
Stanna.                                  Senza altro studio,
So che non dice il vero, e son chiarissima
Che gli è come pensate. Insieme s’amano,
Ed è fra loro altro che ciance.
Claudio.                                                (Ah misero!
Posto avrò il dito nel vespajo.)
Stanna.                                                    E dicovi
Più; che la madre istessa è consapevole
Di questo amor. Ma, per dio, Bonifacio,
Non se ne parli: non fate che Eurialo
Sappia ch’io l’abbia detto, che espressissima-
mente m’ha comandato ch’io stia tacita,
E faccia in guisa che nè questo giovane
Nè voi possiate saper che ci siano.
Bonifacio.Non ero io qui nella via, quando vennero?
Non temer ch’egli il sappia. Ma che indizio
Hai tu che sia come ci affermi?
Claudio.                                                    (Ah misero!
Avrò cercato quel che rincrescevole
E nojoso mi fia di trovar.)
Stanna.                                           Dicovi,
Quando testè le donne in casa vennero,
Io mi trovai che tutta era di polvere
Piena, e brutta di fumo e di caligine,
Ch’avéa spazzato il cammino e la camera
Dove sono alloggiate; e, vergognandomi
Ritrarmi altrove, io corsi in la medesima
Stanza, dentro un scrittoio chiuso di tavole,
Per le quai, dove insieme si congiungono,
Si può guardar per le fissure, e vedesi
Ed ode ciô che si fa nella camera.
Ecco, stando quiv’io, venir Eurialo,
E poi le donne; l’ultimo era Accursio:

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Sto cheta, e veggo Eurialo il capo volgere
Di qua, di là, due volte o tre, e poi correre
A braccia aperte, e porle a quella giovane
Al collo, ed ella a lui, e insieme aggiungersi
Le bocche, che paréan quando due rondini
Imboccan figli.
Claudio.                         E la madre vedevali?
Stanna.Come voi me. Ma questo è nulla.
Claudio.                                                       Abbiamone
Pur troppo, e non vogliam ora più intendere.
Bonifacio.Sta pur intenta, Stanna, e referiscine
Ciò che tu vedi.
Stanna.                            Volete altro?
Claudio.                                                  Eurialo
È in casa?
Stanna.                  E dove può star meglio?
Bonifacio.                                                            Dettoci
Avevi ch’era ito in villa.
Stanna.                                          Puot’essere
Che a Ficaruolo, o di là da Garofalo,
Or sia alla Pelosella...22
Claudio.                                      Per dio, mandala
Via, ch’ella mi distrugge.
Bonifacio.                                           Orsù, non perdere
Tempo, vanne. Ben noi faremo il debito.
Stanna.Sempre il debito è fatto.
Bonifacio.                                        Messer Claudio,
Poichè l’invito e ’l desinar d’Eurialo
È stato qual gli monachetti giovani
Che van digiuni in dormitor, si sognano,
Bisogna far come al caldo le chiocciole;
Del nostro umor in casa nostra vivere:
Sicchè vô ritornare, e far rimettere
Le starne nel schidone.
Claudio.                                        Andate, fatene
Quel che vi par, ch’io per me ho guasto il stomaco,

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Nè spero mai, mai più, di racconciarlomi.
Bonifacio.Oh che! volete voi per questo affliggervi?
Morir per questo? Quasi che le femmine
Debban mancare al mondo! Sête giovane,
Ricco e bello: n’avrete in abbondanzia
Ancora tal, che vi verrà a fastidio.
Claudio.Ah lasso! io vô morir.
Bonifacio.                                    Fate buon animo.
Claudio.Volete voi farmi piacer? Lasciatemi
Qui sol.
Bonifacio.             Cotesto non ricerca il debito
Dell’amor ch’io vi porto.
Claudio.                                          Non amandomi
Colei che sola al mondo amo, e mancandomi
Colui di fede di chi sol fidavomi,
Non curo nè d’amor nè d’amicizia
Di persona del mondo. M’abbia in odio
Ognuno, ognuno ingannimi e tradiscami;
Chè anch’io vô odiar ognuno, e mai non essere
Ad alcuno fedele; e donne ed uomini,
Sia chi si vuol, menar tutti a una regola.23
Bonifacio.Questo non è parlar d’uomo ch’abbia animo
Maschio.
Claudio.              Non so s’io l’abbia maschio o femina:
So ben ch’io l’ho mal contento, e che d’essere
Meco gl’incresce; ed è per far ogni opera
D’abbandonarmi tosto, abbandonatomi
Avendo quella che a suo modo volgere
Lo potéa.
Bonifacio.                Tal’ parole non convengono
A voi, ch’altrui mostrar la sapïenzia
Dovreste, essendo sempre nelle lettere
Involto e in tanti esempî di filosofi.
Claudio.Ne’ libri, oimè! si leggeno o si scrivono
Molte cose, che in fatti poi non reggono. 24
Bonifacio.Venite almeno in casa, e disfogatevi
Come vi par, e non state qui in pubblico,
Come fanciul battuto, a versar lagrime:

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Che se, al fin pur, non volete ricevere
Da me conforto nè consiglio, vogliovi
Esser compagno a lagrimar e piangere.
Claudio.Nè in casa nè in Ferrara, Bonifacio,
Mi vô fermar, se non quanto si carichi
La robba mia, che sia condotta a Mantova,
Per drizzarla a Verona; e voglio ir subito
Per questo al porto; e poi cercar di bestia
Che via mi porti; ne più qui nè a Padoa
Nè a Bologna nè in terra che s’abiti.
Mi vô lasciar veder; nè mai più leggere
Testi nè chiose; e Baldi, Cini o Bartoli,
E gli altri libri stracciar tutti ed ardere.
Che maledetto il dì e l’ora possa essere
Ch’io venni al mondo, e la puttana balia
Che nel bagnar non mi fece sommergere!
Bonifacio.Oh, egli è ben disperato! Pover giovane,
E pover’ tutti gli altri che si lasciano
Tôr da questo assassino ch’amor chiamano,
La mente, il maggior ben che gli uomini abbiano!
Ma ecco torna la Stanna. Trovastine
Pur?
Stanna.        N’ho trovati senza troppo avvolgermi;
E sono buoni, in fè di Dio. Toccateli.
Bonifacio.Oh, come son ben sodi!
Stanna.                                         Non vi dico di
Questi, che non sono però da cuocere.
Bonifacio.Da cuocer no, ma sì ben da goderseli
Vivi e sani.
Stanna.                    Saría pasto da giovane,
E non da voi; chè vi potrebbon nuocere
Più che giovar.
Bonifacio.                         Odi, Stanna.
Stanna.                                             Lasciatemi
Ir, c’ho troppo da far senz’anco spendere
Il tempo in ciance.
Bonifacio.                              E se fatti ci fussero?
Stanna.Mi levarei di notte per attenderci.


Note

  1. Locare, per Dare a fitto o a pigione (usato anche nel verso 4 dell’atto primo), manca al Vocabolario.
  2. E qui pure, tre volte, l’autografo: vengano.
  3. Senza traslogare gli accenti, può non elidersi l’ultima di venire. Molte impressioni però, tra Or e mangino, aggiungono: «si.»
  4. Così l’autografo, nè certamente senza senso; sebbene riesca più chiara la lezione di Gabriele, e del comune delle stampe: «che (chè, o ch’e’) non volse.»
  5. I manoscritti e le antiche stampe pongono intero: «come.» Le moderne soppressero il vi.
  6. Pare da intendersi: ma il proibisca egli a sua posta, voglio a voi dirlo.
  7. Così i manoscritti e le antiche stampe, con relazione a forestieri e a medesimi (rileggasi indietro), piuttosto che a mogliere e figliuola, in compagnia delle quali credevasi essere anche il servo Accursio.
  8. Villa del Mantovano sul Po di Lombardia alla destra, poco discosta da’ confini ferraresi. — (Barotti.)
  9. L’autografo ha veramente (e così la stampa del Grifio): «Debbe essere, che è misero:» lezione priva di senso. La lieve correzione da noi fatta fa spiccare un modo non illodevole della lingua parlata, e frequentissimo ancora in Toscana, ove sogliono così trasporsi le parole che altri proferirebbe: Oh che misero (spilorcio) debbe esser costui ec.! Vuolsi però confessare, che dallo stesso Gabriele Ariosto procede la variante adottata dai più: «Esser non dê che misero.»
  10. Mancano undici versi nell’autografo.
  11. Mancano altri nove versi nel medesimo.
  12. Per Certo. Esempio notabile.
  13. Comincia nell’autografo una lacuna lunghissima, la quale si estende sino al verso che indicheremo nella scena III dell’atto terzo.
  14. Pare che il senso dovrebbe completarsi colle parole: molto a tornarsi a casa.
  15. G. A.: «Mi ha.»
  16. Noti chi fa suo studio le cagioni de’ costumi e de’ vizi degli uomini.
  17. La gente forestiera, volendosi significare in ispecie le donne, come mostrano i versi seguenti.
  18. Così nel manoscritto di Gabriele, seguíto nelle edizioni del Giolito, del Pitteri ec. Quella del Grifio pone: s’havevate; e il Molini, seguendo il Pezzana: s’aveste.
  19. Esempio notabile.
  20. Per lo stesso che Affè, Per mia fede e simili: modo sin qui non osservato.
  21. Per Veste fatta di saja: significazione che pur gioverebbe di avvertire.
  22. Equivoci da fantesca. Ficaruolo chiamasi una terra del Ferrarese sul Po di Lombardia, alla sinistra. Della villa di Garofalo è parlato nell’atto II, scena 1, dei Suppositi in versi (pag. 233). Pelosella, nome corrotto in grazia dell’equivoco da Polesella, villaggio ancor esso sulla sinistra del Po sopraddetto, poco sotto a Garofalo, entro al Polesine di Rovigo; che tuttavía nelle antiche carte trovasi detta, Pellesella e Pelosella. — (Barotti.)
  23. Frase degna di osservazione.
  24. Reggere è qui posto con significazione nell’uso comunissima, ma nei vocabolari non ben dichiarata. Anche la sentenza di questi versi è tale, che, ai giovani specialmente, dovrebbe spesso ricordarsi.