La Scimitarra di Budda/18. I nuotatori
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18.
I NUOTATORI
Cos'era avvenuto? Da dove proveniva quella corrente d'aria che strappava alla morte i quattro disgraziati? Erasi aperta una fessura nella collina, oppure le acque, dopo di aver raggiunto il massimo livello, si erano ritirate lasciando libera la galleria? Non era possibile saperlo pel momento e nessuno, del resto, si curava di cercarlo. Respiravano, sentivano l'aria entrare liberamente, e per loro bastava.
– Respiriamo! Respiriamo! – ripeteva l'americano, che apriva una boccaccia tale da spaventare anche un pescecane. – Respiriamo, ché ve n'è per tutti.
E respiravano, assorbivano l'aria come soffietti, quasi paventassero che venisse nuovamente a mancare. Quando però sentirono che i polmoni agivano e che l'aria non veniva meno in quella caverna, che per poco non diventava la loro tomba, si misero a cercare il foro pel quale penetrava.
– Ci deve essere una comunicazione coll'esterno – disse il Capitano. – Cerchiamola, amici, e se possiamo, abbandoniamo questo brutto luogo.
– Questo brutto sepolcro – corresse l'americano. – Non avrei mai creduto che una boccata d'aria fosse così necessaria. Mi sono sentito tutto d'un colpo tornare in vita. E io che aveva la pistola in mano e stavo per farmi saltare le cervella! Oh che pazzo!
Il Capitano si rizzò in piedi e guardò sotto di sé, sopra, a destra e a sinistra, ma non vide alcuna fessura; tutto era oscuro come la canna d'un cannone.
– È strano! – esclamò. – Non vedo nessun raggio di luce che indichi un foro.
– Che venga dalla galleria? – chiese il polacco.
– Può essere – rispose il Capitano. – Vediamo a quale altezza è l'acqua.
L'americano lo afferrò per i polsi e lo calò giù con precauzione, ma non riuscì a toccare il liquido.
– Le acque si sono ritirate – disse, facendosi issare. – L'aria penetra per la galleria.
– Allora potremo battercela – disse l'americano, che non pensava più di rimanere là dentro fino al termine della stagione piovosa.
– Non so, del resto, se potremo passare. Ho trovato un ostacolo assai grosso fermato fra le stalattiti, quando cercai di guadagnare la prima grotta.
– Pure bisognerà uscire. Volete rimanere qui in eterno?
– Tutt'altro, James; io ricomincerò la prova – disse il polacco. – Possono essersi rifugiati degli animali feroci nella prima grotta.
– Ed io vi accompagnerò.
– Animali feroci! – esclamò l'americano. – Ma allora vengo anch'io colle mie pistole e colla mia carabina.
– È inutile, James – disse il Capitano. – Del resto, sareste costretto a bagnare le vostre armi. Spogliati, Casimiro.
I due marinai, armatisi dei coltelli, si calarono giù dalla rupe e si immersero con precauzione in quelle acque ingombre di frammenti di bambù, di rami d'alberi e di lunghe erbe. Quel secondo viaggio fu più difficile. Tre volte i due marinai dovettero compiere il giro della caverna, prima di trovare la galleria che era nascosta da un ammasso di erbe e di cortecce d'albero.
Scopertala, si cacciarono coraggiosamente sotto la nera vôlta, quasi interamente sommersa, ingombra di aguzze stalattiti, di tronchi d'alberi, di rottami d'ogni specie, contro i quali i nuotatori battevano la testa.
Percorsi cinquanta passi, si arrestarono dinanzi ad una massa enorme che sbarrava completamente il passaggio.
– È questo l'ostacolo che avete incontrato? – chiese il polacco volgendosi verso il Capitano che gli veniva dietro.
– Credo che sia quello lì – rispose Giorgio.
– Cos'è? Pare un enorme pezzo di rupe.
– Prova a spingere.
Il polacco appoggiò le mani contro quella nera massa, la quale cedette.
– Corpo di una bombarda! – esclamò. – Indovinate cos'è?
– Non lo so davvero.
– È uno dei nostri cavalli.
– Non si può toglierlo?
– Resiste a tutti i miei sforzi.
– Passiamo di sotto.
I due nuotatori si tuffarono, guizzarono fra le gambe della carogna e tornarono alla superficie dieci passi più innanzi. Con quattro vigorose bracciate raggiunsero la grotta spingendosi fino all'apertura.
Fin dove giungeva lo sguardo non scorgevasi che acque fangose, rossicce, sulle quali galleggiavano e si urtavano centinaia di tronchi d'alberi, alcuni di dimensioni gigantesche, barche sfondate, rottami di giunche, tetti di capanne, pezzi di palizzate, montagne di bambù, radici smisurate, ammassi di cespugli e cadaveri di buoi, di cavalli, di tapiri e di cervi.
Su quelle strane zattere, che andavano lentamente alla deriva, non senza un brivido i due marinai scorsero intere famiglie di tigri che banchettavano allegramente.
– Che distruzione! – esclamò il polacco. – La piena ha rovinato tutta la provincia. Poveri cinesi!
– E che banchetti per le tigri! – aggiunse il Capitano. – Appena l'acqua si sarà ritirata si getteranno su queste innumerevoli carogne.
– Corriamo un brutto pericolo. Questa caverna diverrà il ricettacolo di tutte le belve dei dintorni.
– Niente paura, Casimiro. James si incaricherà di allontanarle.
– Quando potremo partire?
– Fra ventiquattro o trentasei ore. Non v'è che un metro d'acqua sulla pianura.
I due nuotatori avrebbero voluto rimanere qualche ora all'aperto a «ubriacarsi di sole», come diceva Casimiro; ma, pensando che i loro compagni li attendevano con viva impazienza, si decisero a ritornare.
Dato un addio al sole e alla gran pianura che a poco a poco andava scoprendosi per il continuo ritirarsi delle acque, ritornarono nella fredda galleria e di là passarono nella seconda grotta.
– Siete voi? – domandò l'americano appena udì batter l'acqua. – Vi credevo alle prese colle tigri e stavo per venire in vostro aiuto.
– Non vi sono tigri nella grotta – rispose il Capitano, arrampicandosi sulla roccia.
– Siete usciti, adunque?
– Sì, e vi dirò che le acque si ritirano rapidamente.
– Dovete avere visto degli alberi, dei rottami...
– E molti buoi e molti tapiri e cervi annegati – aggiunse il polacco.
– E non avete rimorchiato un tapiro?
– Non lo si può, James – disse il Capitano. – La galleria è quasi interamente sbarrata da uno dei nostri cavalli.
– C'è pericolo di crepare asfissiati?
– Niente affatto e faremo bene a ripigliare il sonno intanto che le acque si ritirano.
– Non domando di meglio.
I quattro avventurieri, che si sentivano proprio spossati, non tardarono a riaddormentarsi.
Il cinese, svegliatosi per primo dopo una tirata di ben ventiquattro ore, fu assai sorpreso nello scorgere un vivo chiarore rossastro riflettersi sulle colonne alabastrine.
– Toh! – esclamò. – Da dove viene quella luce? Capitano, sir James!
Giorgio, l'americano e il polacco, a quelle chiamate prontamente si svegliarono. Se il cinese era meravigliato, essi non lo furono meno.
– Ecco una bella scoperta – disse l'americano. – Che sia un raggio di sole?
– No – rispose il Capitano. – È un fuoco acceso dinanzi la galleria.
– Ma chi può averlo acceso?
– Degli uomini certamente.
– Ma quali?
Il Capitano stava per rispondere, quando uno scroscio di risa giunse fino alla caverna.
– Oh! – esclamò l'americano. – Si ride!
– Ciò indica che quelle persone sono allegre – disse il Capitano.
– Bisogna andar a vedere chi sono quei gentiluomini e acquistare da loro dei viveri e dei liquori.
– E se quei gentiluomini fossero banditi belli e buoni? – osservò il piccolo cinese.
– Tanto meglio! – esclamò l'americano. – Ci nasconderemo nella galleria e faremo fuoco su di loro.
– Vi siete dimenticato che un cavallo la sbarra? – chiese il Capitano.
– Dannato animale! Bisognerà proprio tuffarsi per uscire?
– Sì, James, e tuffandoci bagneremo fucili e pistole.
– Andrò ad aggredirli col mio bowie-knife.
– Per farvi uccidere?
– E chi andrà a vedere che gente è quella?
– Io – rispose Min-Sì.
– Bravo, mio piccolo cannoniere-spaccamonti – disse il Capitano. – Tu puoi sapere meglio di noi se sono banditi od onesti trafficanti.
Il cinese si spogliò e si calò nell'acqua che erasi ancora abbassata. Guidato da quel chiarore, che le stalattiti e le rocce riflettevano, si diresse verso la galleria, dinanzi alla quale si arrestò.
– Cosa vedi? – chiese l'impaziente americano.
– Un gran fuoco, sir James.
– Se hai bisogno di un buon compagno, non hai che da chiamare.
Il cinese non rispose e si cacciò dentro la galleria, nuotando con somma precauzione per non far rumore. Man a mano che procedeva, udiva distintamente parecchie voci d'uomini, esclamazioni, risa fragorose e nitriti di cavalli.
Passò sotto la carogna e nuotò verso una specie di colonna nascondendovisi dietro. Di là poté vedere un gran fuoco che ardeva quasi dinanzi alla galleria e attorno ad esso, seduti su sassi o sdraiati a terra, dieci o dodici uomini di truce aspetto, coperti da zimarre azzurre lacere e infangate e da giacche gialle con larghe maniche e armati di archi, di sciaboloni, di coltellacci, di pistoloni e di vecchi archibugi a miccia e a pietra. Il piccolo cinese, con un solo sguardo, capì che quei brutti figuri erano briganti tonchinesi.
Stette alcuni minuti ad ascoltare le sanguinose storie che quegli uomini si raccontavano, storie di saccheggi, di delitti, di combattimenti e di agguati; poi si lasciò cadere nell'acqua e fece ritorno alla rupe.
– Ebbene? – domandò l'americano aiutandolo a salire. – Cos'hai visto, mio piccolo cannoniere?
– Dei briganti della peggior specie, sir James – rispose il cinese.
– Son molti?
– Una dozzina.
– Con cavalli?
– Con cavalli e molte armi.
– Giorgio, se li attaccassimo?
– Pazzie, James – disse il Capitano.
– Se non si scacciano non si uscirà più di qui.
– Con un po'...
– Zitto! – disse il polacco.
Il Capitano e l'americano tacquero e tesero gli orecchi. Si udivano i cavalli scalpitare e nitrire e i banditi gridare e far scoppiettare le loro corte fruste.
– Partono – disse il cinese, che ascoltava attentamente chino sull'orlo della roccia.
– Sì, partono – confermò il Capitano.
– Che disgrazia! – esclamò l'americano sospirando.
Le grida e i nitriti andavano allontanandosi rapidamente e la luce tramandata dal falò impallidiva. Il Capitano e i suoi compagni si caricarono dei fucili, delle coperte, delle pentole, delle vesti, di quei pochi viveri che ancora possedevano, della pentola miracolosamente salvata dall'americano, lasciarono la roccia e imboccarono la galleria.
Due minuti dopo, i quattro avventurieri, scampati all'inondazione, all'asfissia e da ultimo ai banditi, giungevano nella grotta che era già perfettamente asciutta e nella quale bruciavano ancora alcuni tizzoni. In due salti si slanciarono verso l'uscita.
I dodici banditi, montati sui loro cavalli, galoppavano verso il nord e così rapidamente, che in pochi istanti sparvero nelle nebbie dell'orizzonte.
– Dove si dirigono? – chiese James a Min-Sì.
– Verso l'Yun-Nan – rispose il cinese.
– Dov'è questa nuova provincia?
– Guardate laggiù quella linea di montagne; essa divide le due province di Kouan-Sì e di Yun-Nan.
– Dunque domani cambieremo paese?
– Sì, se l'Ente Supremo ci aiuterà.
– Ci aiuterà, mio bravo cinese. Orsù, ancora un po' di riposo e domani forza alle gambe e diretti a Yuen-Kiang.