La Scimitarra di Budda/17. Due giorni nella grotta di Koo-tching
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17.
DUE GIORNI NELLA GROTTA DI KOO-TCHING
La spinta delle acque fu veramente terribile. I viaggiatori, spazzati via, dopo di aver urtato, in meno di dieci secondi, più di venti volte contro le stalattiti delle gallerie, lacerandosi le vesti e ferendosi in più parti, furono sbattuti nel fondo della gran cupola con furia tale da insanguinarsi la faccia e da colare a picco.
Il fuoco si era prontamente spento e l'oscurità era ridiventata perfetta. Nondimeno i quattro uomini, ritornati rapidamente a galla, si misero a nuotare vigorosamente per cercare un rifugio.
Primo pensiero del Capitano fu quello di dirigersi verso la galleria per uscire, ma ben presto dovette convincersi che la via di comunicazione era scomparsa.
Quella scoperta lo spaventò.
– Siamo in una tomba – mormorò.
Cercò di aggrapparsi ad una delle tante stalattiti e si mise a chiamare i compagni che andavano e venivano senza saper dove.
– Ohe! James, Min-Sì, Casimiro! – gridò. – Dove siete?
– Giorgio! – esclamò l'americano. – Come stiamo? Non vedo più nulla e sono mezzo fracassato.
– Cercate un appoggio, compagni, e parlate adagio. L'eco è così forte che non si può intenderci. James, sapete dove vi trovate?
– È impossibile saperlo e non lo saprò nemmeno da qui a un mese. E voi dove siete?
– Se non m'inganno sono sopra la galleria.
– Che? Sopra la galleria, avete detto? Dove si trova essa?
– Sotto di me, a dieci piedi di profondità per lo meno.
– Dieci piedi! – esclamò l'americano con terrore.
– Avete paura di dieci piedi d'acqua?
– Non è questo che mi spaventa, ma penso che se abbiamo tant'acqua sopra la galleria, ne abbiamo assai di più sotto.
– È tutt'uno. Orsù, amici, cerchiamo una di quelle rocce bianche che, a mio parere, non devono esser tutte sott'acqua. Se ben mi ricordo, in mezzo alla grotta ce n'era una alta assai e molto grossa.
– Ma io sono smarrito – disse il polacco.
– Ed io non meno di te, ragazzo mio – disse l'americano. – Se avessi gli occhi d'un gatto!
– Ne farete senza – disse il Capitano. – Orsù, nuotate, mentre io fischio per guidarvi.
Il Capitano si mise a fischiare e gli altri, liberatisi degli stivali che si appesero, dopo molti stenti, alla cintura, si misero a nuotare urtando contro le stalattiti e le stalagmiti.
– Mi sono rotto il naso contro una colonna! – esclamò l'americano, dopo alcune bracciate. – Che il diavolo se la porti! Dove sono io? Non vado più innanzi.
– Corpo d'un cannone! – urlò il polacco, che per poco non si infilò sopra una punta acutissima. – Io mi impalo come un turco. Ahi!... Ahi!...
– Coraggio, amici – disse Giorgio.
– Avete un bel dire, voi – disse l'americano. – Mi pare di essere diventato zoppo.
– Zitto James, o non mi udrete più.
Il silenzio tornò a farsi a poco a poco, e dopo mille giri e rigiri fra le stalattiti, i colonnati e le rocce, il polacco, l'americano e Min-Sì riuscirono a raggiungere il Capitano, che si teneva sempre sopra la galleria.
Compiuta l'unione, si misero in cerca della rupe che doveva trovarsi quasi al centro della grotta. Il Capitano seguì per qualche tratto le pareti, poi piegò verso il largo ove batté il naso contro qualche cosa di duro, che capì essere il tanto sospirato rifugio. Aiutandosi l'un l'altro i quattro nuotatori raggiunsero la cima, che sopravanzava di quasi due metri la superficie dell'acqua.
– Ah! – esclamò l'americano, respirando liberamente. – Cominciavo a perdere le forze!
– Ed io, credete che mi trovassi meglio di voi? – disse il polacco, scuotendosi l'acqua di dosso. – Navigavo come un vascello disalberato, urtando contro mille scogli. Sono scorticato peggio di San Bartolomeo.
– Non ci scorticheremo più, ragazzo mio. Pianteremo casa su questa rupe, mangeremo e dormiremo senza più inquietarci. Se avessi un pranzo tutti i giorni, una botte di whisky e una lampada, mi stabilirei per sempre in questa grotta e fonderei...
– Una colonia americana – s'affrettò a dire il polacco, smascellandosi dalle risa.
– Sì, burlone.
– Lasciamo gli scherzi e pensiamo a uscire di qui – disse il Capitano. – La nostra situazione è tutt'altro che buona; se l'acqua cresce, non so come la finiremo.
– Ho un gran piano che ci farà uscire e molto presto – disse l'americano.
– Quale?
– Si tratta di forare le pareti.
– Un piano da americano, James, ma pel momento non effettuabile. Vorrei vedervi a forare col vostro coltello dieci, venti, forse cento metri di roccia.
– La miglior cosa che possiamo fare è quella di dormire aspettando che le acque si ritirino – disse il cinese. – Uscire non potremo finché la galleria è chiusa.
– E quanti giorni dovremo aspettare? – chiese James.
– Forse due, forse tre, forse cinque e fors'anche otto.
– Otto giorni! Allora chiudo gli occhi e dormo.
– E se le acque si alzano? – chiese Casimiro.
– Creperemo dormendo. Orsù, a letto, signori. Toh, non c'è nemmeno bisogno di spegnere il lume!
L'americano, Giorgio, Casimiro e Min-Sì si cacciarono dentro a certe buche che pareva fossero state fatte espressamente per loro e cercarono di dormire.
Non erano trascorse sei ore che il Capitano si svegliava. Provava un malessere inesplicabile, sbadigliava in modo tale da correre il pericolo di slogarsi le mascelle, il polso gli batteva lentamente, la vista gli si offuscava e provava una specie di sbalordimento e qualche capogiro.
– Che significa ciò? – si chiese, passandosi una mano sulla fronte madida di sudore. – Si direbbe che i miei polmoni soffrano e che funzionano male. Cosa succede?
Uscì dalla buca e stese le mani a sinistra, dove udiva un compagno a respirare penosamente.
– Che avete? – gli chiese scuotendolo.
– Siete voi, Giorgio? – domandò l'americano.
– Sì, amico mio. Perché rantolate?
– Perché?... Non so cosa abbia, ma non sto troppo bene. Si direbbe che io abbia una pietra da cento tonnellate sullo stomaco. Provate nulla voi?
– Sì, James, provo dei capogiri e un malessere generale.
– A cosa attribuite ciò?
– Non lo so.
Casimiro e il cinese, udendo i compagni a discorrere, si alzarono. Anch'essi non stavano bene e aspiravano l'aria con furia senza riuscire a colmare i polmoni.
– Min-Sì, – disse il Capitano – sono insalubri le acque del Pe-Kiang?
– No – rispose il cinese. – Tutti le bevono e le trovano eccellenti.
– È strano!
I quattro avventurieri tacquero, porgendo orecchio al monotono sgocciolìo dell'acqua e cercando la spiegazione di quel singolare fenomeno.
Ad un tratto il Capitano mandò una sorda esclamazione.
– Che c'è? – chiese l'americano.
– Min-Sì, a quale altezza trovasi la galleria dal livello del piano esterno? – chiese il Capitano.
– Se non m'inganno, l'arco della vôlta trovasi a soli quattro piedi d'altezza – rispose il cinese.
– Che significa questa domanda? – chiesero l'americano e il polacco.
– Significa, amici, che noi siamo separati dall'aria esterna da cento e più metri d'acqua.
– Da cento metri d'acqua! E che importa? – chiese l'americano, che non capiva ancora.
– Ciò vuol dire che i dolori di capo e l'oppressione che proviamo sono cagionati dalla mancanza d'aria.
– Ma allora siamo perduti! – disse James.
– Forse – rispose il Capitano.
– Forse!... Avete un piano adunque voi? Gettatelo fuori!
– Fuori il piano! – esclamarono ad una voce Min-Sì e il polacco.
– Ascoltatemi bene – disse il Capitano. – La galleria è lunga, se non erro, ottanta metri, e la grotta esterna altri trenta: in tutto centodieci metri d'acqua da attraversare. Mi pare che l'impresa non sia molto difficile.
– Centodieci metri d'acqua da attraversare senza una boccata d'aria – esclamò l'americano. – È troppo!
– Bisogna tentare la traversata, James. Chi rimane qui è uomo morto. Io mi proverò pel primo.
– Non fatelo, Giorgio, vi annegherete.
– Sono troppo forte nuotatore per annegarmi. Orsù, amici, abbracciatemi.
– Giorgio! – esclamò l'americano atterrito. – Se non ritornaste più?
– Ritornerò, non corro pericolo alcuno. Abbracciatemi.
Il polacco, l'americano e perfino il cinese si gettarono nelle sue braccia, dopo di che l'ardito marinaio, spogliatosi, si calò giù.
– Tornate presto! – gli gridò l'americano. – Vicino a voi, sento che morrei più tranquillo.
Il Capitano tagliò le negre acque sollevando un'onda che andò a infrangersi contro le stalattiti e contro le pareti con cupo fragore. Tirò innanzi evitando con cura le cento punte che minacciavano di infilzarlo e s'arrestò alla parete opposta, proprio sopra la galleria.
– Amici, – diss'egli – mi inabisso. Che Dio mi aiuti!
– Che la fortuna vi guidi! – risposero in coro i compagni.
Aspirò quanta aria poté e si tuffò infilando la galleria.
I suoi compagni, anelanti, in preda alle più orribili angosce, mezzo asfissiati, si erano trascinati fino all'orlo della roccia e di là, cogli occhi fissi sulle profonde tenebre, la bocca aperta, il cuore sospeso, gli orecchi tesi, ascoltavano. Passò un minuto lungo quanto un secolo. L'americano afferrò convulsamente la mano del polacco.
– Odi nulla? – gli chiese con voce rotta.
– No... aspettiamo – rispose il polacco. – È forte, forte quanto lord Byron...
Passò un altro mezzo minuto. L'americano si sentì mancare le forze.
– Che gli sia toccata una disgrazia? – balbettò.
Proprio in quel momento, in fondo alla grotta, si udì il rumore che fa un corpo salendo a galla.
I tre uomini scattarono in piedi urlando:
– Giorgio! Giorgio! Giorgio!
Una voce strozzata rispose alla chiamata. Tosto due braccia batterono vigorosamente l'acqua.
– Siete voi, Capitano? – chiese Casimiro abbassandosi verso la nera superficie.
– Sì... sono io... sono io... – rispose una voce che fu riconosciuta per quella di Giorgio.
– Ebbene? – chiesero ansiosamente i loro compagni.
Il Capitano non rispose a quel terribile «ebbene», e continuò a nuotare con maggior energia finché arrivò alla roccia. I suoi compagni lo issarono che rantolava.
– Amici – disse il poveretto per tre quarti asfissiato. – La galleria è chiusa... Vi sono degli ostacoli... degli alberi... degli animali... Non so... Amici miei... ogni speranza è perduta!
– Perduta! – esclamò l'americano, girando intorno uno sguardo feroce. – E noi dovremo morire... morire in questa oscura grotta?... Non è possibile... bisogna uscire da questa tomba. Ma non v'è proprio speranza alcuna?...
– Sì, che le acque si ritirino – balbettò Giorgio. – Chissà... Aspettiamo... e speriamo.
– Aspettare! – esclamò il polacco. – E non abbiamo altra speranza?
Il Capitano non rispose e si lasciò cadere nella sua buca. I suoi compagni, atterriti, già mezzo asfissiati, si accoccolarono accanto a lui in preda ad una cupa disperazione.
La morte si avanzava a passi di gigante. In capo a mezz'ora il Capitano, il cinese e il polacco avevano perduti i sensi e giacevano inerti dentro le loro buche.
Solo l'americano ancora resisteva, ma era in preda ad un forte delirio.
Ruggiva come una fiera, empiva l'antro di urla furiose e si dibatteva come se lo si volesse strangolare.
Passarono ancora pochi minuti. Ad un tratto lo yankee, con uno sforzo disperato, si sollevò. Aveva in mano una pistola.
Si puntò la canna in fronte, ma si arrestò, col dito sul grilletto, in preda a quella perplessità che coglie l'uomo più risoluto dinanzi all'estremo passo.
Già stava per far partire il colpo, quando sentì un buffo di aria umida, fresca, respirabile, salirgli in volto, entrargli in gola, empire e rianimare i polmoni.
Lasciò cadere l'arma e si precipitò innanzi colle braccia tese, gli occhi sbarrati, credendo di sognare. No, non sognava! Una corrente d'aria pura invadeva la caverna ed egli la sentiva scendere nei polmoni carica d'ossigeno.
Un grido, il più formidabile grido che siasi mai udito, gli uscì dalle labbra:
– L'aria! L'aria!
– L'aria! L'aria! – ripeterono i suoi compagni, tornati rapidamente in vita.
E respirarono a pieni polmoni, senza una parola, senza un gesto per non perdere una sola boccata. Pareva che volessero ubriacarsi «d'aria»!