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III. Lo Stato superiore alla morale

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III.


LO STATO SUPERIORE ALLA MORALE.


Lo Stato dunque ha una base razionale e sfrutta razionalmente, il misticismo per dominare. Ma da questo concetto puramente umano del governo, il Machiavelli giunge ad una conclusione che in Livio non c’era neppure come germe, alla conclusione che tutto è lecito pel bene dello Stato, perchè non c’è nessuna legge al disopra di lui, tanto che il suo interesse stesso diventa la legge.

Il celebre Valentino, divenuto come un simbolo, è per il Machiavelli il modello di Principe che bisogna imitare. « Chi giudica necessario nel suo Principato nuovo assicurarsi degli inimici, guadagnarsi amici, vincere o per forza o per fraude » 1 faccia come il Borgia. Non bisogna dimenticare che gli uomini e le cose sono come sono e non come dovrebbero essere: gli uomini malvagi e sciocchi, le cose difficili. « M’è parso più conveniente andar dietro alla verità effettuale della cosa che all’ [p. 96 modifica] immaginazione di essa; e molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti e conosciuti essere in vero, perchè egli è tanto discosto da come si vive a come si doverria vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverria fare, impara piuttosto la rovina che la preservazione sua, perchè un uomo che voglia fare in tutte le parti professione di buono, conviene che rovini in fra tanti che non sono buoni. Onde è necessario ad un principe, volendosi mantenere, imparare a poter essere non buono ed usarlo secondo la necessità » 2. La morale si biforca di nuovo come negli antichi: la civile è altra dalla personale. Se il principe ha dei vizi privati, pazienza. Fuggire assolutamente deve « l’infamia di quelli vizi che gli torrebbono lo Stato » 3; e con questo ha la coscienza tranquilla. Egli è costretto a fare ciò che la politica comanda: « non partirsi dal bene, potendo, ma sapere entrare nel male, necessitato » 4. Perchè « nelle azioni di tutti gli uomini e massime de’ Principi, dove non è giudizio a chi reclamare, si guarda al fine... I mezzi saranno sempre giudicati onorevoli e da ciascuno lodati » 5.

La famosa frase è detta; ma una resipiscenza strana fa esitare per un attimo l’ardito scrittore. A proposito di Agatocle siracusano, giunto al principato [p. 97 modifica] della sua città per mezzo di inaudite efferatezze e di ignobili tradimenti, il Machiavelli scrive: « Non si può chiamare ancora virtù ammazzare li suoi cittadini, tradir li amici, essere senza fede, senza pietà, senza religione; li quali modi possono fare acquistare imperio, ma non gloria. Perchè se si considerasse la virtù di Agatocle nell’entrare e nell’uscire dei pericoli e la grandezza dell’animo suo nel superare e sopportare le cose avverse, non si vede perchè egli abbia a esser tenuto inferiore a qualsiasi eccellentissimo capitano. Nondimanco la sua efferata crudeltà ed inumanità, con infinite scelleratezze, non consentono che sia tra li eccellentissimi uomini celebrato » 6.

Il fine non giustifica dunque tutti i mezzi?

Che vuol dire questa improvvisa limitazione?

Fu probabilmente un grido strappato alla coscienza morale del Machiavelli, subito zittito dalla sua infatuazione politica. Infatti, poco dopo, cercò questi limiti pretesi dalla sua morale. Ma chi scende un pendio così scosceso non si può fermare. Non trovando i limiti nella morale, si rivolse alla vita pratica, come se questa potesse offrire una misura di se stessa. E s’accorse che le crudeltà si dividono in due categorie: le crudeltà bene usate e le crudeltà male usate. « Bene usate si possono chiamare quelle (se del male è lecito dir bene) che si fanno una sol volta per necessità dell’assicurarsi e di poi non [p. 98 modifica]

vi si insiste dentro, ma si convertiscono in più utilità dei sudditi che si può; le male usate sono quelle, quali, ancora che da principio siano poche, crescono piuttosto col tempo che le si spenghino » 7 cosicché, l’occupatore di uno Stato « deve discorrere e far tutte le crudeltà in un tratto per non avere a ritornarvi ogni dì » 8.

Per dirla più chiaramente: ben usate sono le crudeltà che riescono, mal usate quelle che esasperano senza risultati.

Quale è, dunque, in politica, il criterio del bene e del male? L’abilità e il successo. Ci pare che la famosa frase « il fine giustifica i mezzi », con cui si esprime la politica machiavellica, possa essere sostituita da quest’altra « il successo giustifica i mezzi ». Chi vince ha ragione. Questo hegelianismo precoce giustifica tutte le frodi. « Non può, pertanto, un signor prudente nè debbe osservar la fede quando tale osservanza gli torni contro, e che sono spente le cagioni che lo feciono promettere » 9. Finché ha forza sforzi. « È cosa veramente molto naturale e ordinaria desiderare di acquistare, e sempre quando gli uomini lo fanno che possino, ne saranno laudati e non biasimati, ma quando non possono e vogliono farlo in ogni modo, qui è il biasimo e l’errore » 10.

Nè si creda che questi consigli siano dati soltanto al Principe il quale, perchè si è impadronito [p. 99 modifica] dello Stato colla violenza, non può rispettare nessun limite al di fuori della forza propria ed altrui. La dottrina del Machiavelli è applicata ad ogni governo senza distinzioni, anche alle repubbliche, se pure in misura minore. Tutte queste massime offerte alla meditazione dei principi, le ritroviamo nei discorsi stessi per illuminare coloro che vogliono fondare o debbono governare delle repubbliche.

I Discorsi cominciano con questo consiglio, a proposito dei luoghi più adatti per fondare una città. « Non potendo gli uomini assicurarsi, se non con la potenza, è necessario fuggire questa sterilità del paese, e porsi in luoghi fertilissimi, dove potendo per la ubertà del sito ampliare, possa difendersi da chi l’assaltasse, e sopprimere qualunque alla grandezza sua si opponesse » 11.

Questo, rispetto agli Stati stranieri, non vuol forse dire: ciascuno fa quello che vuole ed il più forte distrugge il più debole?

La politica interna è retta dagli stessi principi. Il Machiavelli osserva, per esempio: « A coloro che in una città sono preposti per guardia della sua libertà, non si può dare autorità più utile e necessaria quanto è quella di poter accusare i cittadini al popolo, o a qualunque magistrato o consiglio, quando che peccassino in alcuna cosa contro allo stato libero » 12. Questa abitudine è utile specialmente perchè così « si dà via onde sfogare a quelli umori [p. 100 modifica] che crescono nelle cittadi, in qualunque modo, contro qualunque cittadino; e quando questi umori non hanno onde sfogarsi ordinariamente, ricorrono a modi straordinari, che fanno rovinare in tutto una repubblica » 13.

Qualche volta le accuse sono false, ma non importa, « perchè se ordinariamente un cittadino è oppresso, ancora che gli fosse fatto torto, ne seguita o poco o nessuno disordine in la repubblica ».

Così, è giustificato Romolo del suo fratricidio, perchè « uno prudente ordinatore di una repubblica... debbe ingegnarsi d’avere l’autorità solo, nè mai uno ingegno savio riprenderà alcuno di alcuna azione istraordinaria, che per ordinare un regno o costituire una repubblica usasse » 14.

Il diritto della forza illegale è riconosciuto persino ai cittadini privati, ma quando, per essere a capo di un esercito, appaiono come dei piccoli sovrani.

Il capitano che torna vittorioso da una guerra — la gran preoccupazione del Rinascimento — ha solo due cose saggie da fare: «O subito dopo la vittoria lasci lo esercito e rimettasi nelle mani del suo Principe, guardandosi da ogni atto insolente o ambizioso » per non insospettire il suo signore, « o, quando questo non gli paia di fare, prenda animosamente la parte contraria, e tenga tutti quelli modi per li quali creda che quello acquisto sia suo proprio e non del Principe suo, facendosi benevoli i [p. 101 modifica] soldati ed i sudditi; e faccia nuova amicizia coi vicini, occupi con li suoi uomini le fortezze, corrompa i Principi del suo esercito e di quelli che non può corrompere si assicuri, e per questi modi cerchi di punire il suo signore di quella ingratitudine che esso gli userebbe » 15.

  1. Principe, 7.
  2. (1) Principe, 15.
  3. (2) Principe, 15.
  4. (3) Principe, 18.
  5. (4) Principe, 18.
  6. (1) Principe, 8.
  7. (1) Principe, 8.
  8. (2) Principe, 8.
  9. (3) Principe, 18.
  10. (4) Principe, 3.
  11. (1) Discorsi, I, 1.
  12. (2) Discorsi, I, 7.
  13. (1) Discorsi, I, 7.
  14. (2) Discorsi, I, 9.
  15. (1) Discorsi, I, 30.