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ne di essa; e molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti e conosciuti essere in vero, perchè egli è tanto discosto da come si vive a come si doverria vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverria fare, impara piuttosto la rovina che la preservazione sua, perchè un uomo che voglia fare in tutte le parti professione di buono, conviene che rovini in fra tanti che non sono buoni. Onde è necessario ad un principe, volendosi mantenere, imparare a poter essere non buono ed usarlo secondo la necessità » 1. La morale si biforca di nuovo come negli antichi: la civile è altra dalla personale. Se il principe ha dei vizi privati, pazienza. Fuggire assolutamente deve « l’infamia di quelli vizi che gli torrebbono lo Stato » 2; e con questo ha la coscienza tranquilla. Egli è costretto a fare ciò che la politica comanda: « non partirsi dal bene, potendo, ma sapere entrare nel male, necessitato » 3. Perchè « nelle azioni di tutti gli uomini e massime de’ Principi, dove non è giudizio a chi reclamare, si guarda al fine... I mezzi saranno sempre giudicati onorevoli e da ciascuno lodati » 4.

La famosa frase è detta; ma una resipiscenza strana fa esitare per un attimo l’ardito scrittore. A proposito di Agatocle siracusano, giunto al principato

  1. (1) Principe, 15.
  2. (2) Principe, 15.
  3. (3) Principe, 18.
  4. (4) Principe, 18.