La Ninfa Tiberina (Lucas)

Francesco Maria Molza

XVI secolo Indice:The Oxford book of Italian verse.djvu Poesie Letteratura La Ninfa Tiberina Intestazione 26 marzo 2022 75% Poesie

Questo testo fa parte della raccolta The Oxford book of Italian verse


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L
A bella Ninfa mia, che al Tebro infiora

Col piè le sponde, e co’ begli occhi affrena
               Rapido corso, allor che discolora
               4Le piagge il ghiaccio, con sì dolce pena
               A seguir le sue orme m’innamora,
               Ch’io piango e rido: e non la scorgo appena
               Ch’io scopro in lei mille vaghezze ascose,
               8E dentro a l’alma un bel giardin di rose.
          E se non che acerbetta mi si mostra,
               E troppo incontr’amor aspra e fugace,
               Dietro il bel piede, che le ripe innostra,
               12Avrebbe l’alma interamente pace:
               E fuor in tutto d’ogni usanza nostra
               Sormonteria, dov’or languendo giace:
               Ma sempre insieme mi si scopre e fugge,
               16Ed invisibilmente mi distrugge.
          E pur che giri gli occhi, o ’l passo mova,
               Aprile e maggio, ovunque vuole, adduce;
               Chè (sua mcrcede) ratto si rinnova
               20Quella virtù che dentro ai fior traluce:
               Come nel guardo del fratel suo, nova
               Forza racquista la notturna luce:
               Pur, ciò che piova da quei dolci rai
               24Primavera per me non fu ancor mai.
          Chè par che seco scherzi la natura,
               E pugnin spesso per udirla i venti:
               Ella di ciò non altrimenti cura
               28Che di numero il lupo infra gli armenti,
               O de le ripe il fiume: così pura,

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               Le grazie, c’ha d’intorno ognor presenti,
               Poco sente e gradisce, e lieta e vaga
               32Sol di sè stessa sè medesma appaga.
          Nè rugiada già mai fresca di notte,
               Quando la luna i campi arsi rintegra,
               E l’assetate piagge e dal sol cotte,
               36Copie d’argento, e i sacri boschi allegra,
               A Giove l’erbe a supplicar condotte
               Così ristora, e rende ogni ombra integra,
               Come la chiara vista o ’l vago piede
               40Di questa, che nel cor mio regna e siede.
          Velloso armento, che bel piato pasce,
               Ov’ella di sedersi ha per costume,
               Quanto più rode, più tanto rinasce
               44D’erboso e vago per sì chiaro lume:
               Tal valor portò seco dalle fasce
               Questa Fenice da l’aurate piume:
               Dunque, pastori omai casti e divoti,
               48Porgete a lei e non a Pale i voti.
          Chè potrà quella terra di leggero,
               Ch’ella col piede pargoletto preme,
               Risponder largo ad ogni avaro impero,
               52E colmar dei bifolchi ogni alta speme:
               Chè fioriran per qualunque sentiero
               Via maggior frutti che non porta il seme:
               Nè potrà danneggiar grandine, o belva,
               56O di loglio o d’avene orrida selva.
          Nè, perchè il verno i solchi aspro non rompa,
               E la sementa non offenda il gelo,
               Nè per continua pioggia si corrompa
               60Sovra l’umido suo terrestre velo,
               Accolti in lunga e coronata pompa.
               Sparger i prieghi vi fia d’uopo al cielo;

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               Chè questa con la vista umile e piana
               64Ogni altra indegnità vi fa lontana.
          Dunque duo altar su la più verde sponda,
               Uno a Pomona, e a lei un altro alzate:
               E quei conspersi pria di lucid’onda,
               68Cantando il sue bel nome al ciel portate:
               Tal ch’ogni antro d’intorno vi risponda,
               E suoni il lito l’alta sua beltate:
               U’ Damon co’ bei versi imiti Orfeo,
               72E i Satiri saltando Alfesibeo.
          Altri, nude le braccia orride e forti,
               A lottar coraggioso si prepari:
               Altri voi lauri e mirti assieme attorti
               76(Poichè posti in tal guisa arabi e cari
               Odor giungete a gli altri odori) apporti,
               E fiori mieta amorosetti e rari:
               Altri del fiume le sacre onde intatte
               80A lei sparga di caldo e puro latte.
          In dieci pomi di fin oro eletto,
               Ch’a te pendevan con soave odore,
               Simile a quel che dal tuo vago petto
               84Spira sovente onde si nutre amore,
               Ti sacro umil: e se n’avrai diletto,
               Doman col novo giorno uscendo fuore,
               Per soddisfare in parte al gran disío,
               88Altrettanti cogliendo a te gl’invio.
          E d’ulivo una tazza, ch’ancor serba
               Quel puro odor che già le diede il torno,
               Nel mezzo a cui si vede in vista acerba
               92Portar smarrito un giovinetto il giorno;
               E sì il carro guidar, che accende l’erba
               E sin al fondo i fiumi arde d’intorno:
               Stolto, che mal tener seppe il viaggio

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               96E il consiglio seguir fedele e saggio.
          Ecco Giove, che in ciel fra mille lampi
               Da folgorando il segno, e lo percuote:
               Ecco i destrier per gli aerosi campi
               100Fuggir turbati a parti più remote,
               Là dove par che minor fiamma avvampi
               Così dal carro ardente, e da le ruote
               Cadde il misero in Po nel fiume avvolto,
               104Tardi pentito de l’ardir suo stolto.
          L’umor, che col cader si frange, e parte
               Là ’ve più molle ha il Re de’ fiumi il piede,
               Rassomiglia sì il ver, che dirai: l’arte
               108Quivi d’assai pur la natura eccede.
               Con sì alto sapor l’opra comparte,
               Chi che si fosse, che tal pegno diede
               Del saggio ingegno suo chiaro e gradito,
               112E mosse a fama gloriosa ardito.
          Da l’altra parte v’è intagliato il pianto
               Che fan le sue dolenti e pie sorelle
               Lungo il gran fiume, ove si dolser tanto
               116Ch’il cordoglio n’andò sovra le stelle:
               Onde, cangiato il lor corporeo manto,
               Le vaghe membra, e le chiome irte e belle,
               Come il ciel per pietà dispose c volse,
               120Tenera fronde e duro legno avvolse.
          Le braccia in rami andaro, in fronde il crine,
               E i piedi diventâr ferme radici;
               Cotal ebbe il lor pianto acerbo fine,
               124E le luci già sante, alme, beatrici,
               E le polite membra e pellegrine,
               Ch’altri sperar godendo esser felici,
               Per divina sentenza in breve forza
               128Una amara converse e dura scorza.

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          Indi poco lontan sovra un gran sasso,
               Cui verde musco d’ogni intorno appanna.
               Con gli occhi fitti giù nell’onda al basso,
               132E in man tenendo una tremante canna,
               Canuto vecchio, e per molt’anni lasso,
               Con l’amo i pesci d’allettar s’affanna:
               Vero argento pareggia a chi ben mira
               136La preda, che a lo scoglio aduna e tira.