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FRANCESCO MARIA MOLZA
166 | La Ninfa Tiberina | 1489-†1544 |
Col piè le sponde, e co’ begli occhi affrena
Rapido corso, allor che discolora
4Le piagge il ghiaccio, con sì dolce pena
A seguir le sue orme m’innamora,
Ch’io piango e rido: e non la scorgo appena
Ch’io scopro in lei mille vaghezze ascose,
8E dentro a l’alma un bel giardin di rose.
E se non che acerbetta mi si mostra,
E troppo incontr’amor aspra e fugace,
Dietro il bel piede, che le ripe innostra,
12Avrebbe l’alma interamente pace:
E fuor in tutto d’ogni usanza nostra
Sormonteria, dov’or languendo giace:
Ma sempre insieme mi si scopre e fugge,
16Ed invisibilmente mi distrugge.
E pur che giri gli occhi, o ’l passo mova,
Aprile e maggio, ovunque vuole, adduce;
Chè (sua mcrcede) ratto si rinnova
20Quella virtù che dentro ai fior traluce:
Come nel guardo del fratel suo, nova
Forza racquista la notturna luce:
Pur, ciò che piova da quei dolci rai
24Primavera per me non fu ancor mai.
Chè par che seco scherzi la natura,
E pugnin spesso per udirla i venti:
Ella di ciò non altrimenti cura
28Che di numero il lupo infra gli armenti,
O de le ripe il fiume: così pura,
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