La Nascita della Tragedia/Saggio di un'autocritica/VII.

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La Nascita della Tragedia/Prefazione a Riccardo Wagner IncludiIntestazione 13 gennaio 2019 75% Da definire

Saggio di un'autocritica - VI. Prefazione a Riccardo Wagner
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VII

La volontà di annientamento.

La consolazione metafisica. — Il riso di Zarathustra.


Ma, signor mio, che cosa mai è romantico a questo mondo, se il vostro libro non è romantico? L’odio profondo al « tempo d’oggi », alla « realtà » e alle « idee moderne » può forse essere spinto più oltre, che non sia nella vostra metafisica da artista? la quale crede più volentieri al Nulla, più volentieri al diavolo, che non all’« oggi »? Forse che sotto tutta la vostra arte degli accordi contrappuntistici e la vostra ammaliazione degli orecchi, non brontola come nota [p. 16 modifica] fondamentale del basso la collera e il gusto di annientamento, una furiosa risolutezza contro tutto ciò che è « oggi », una volontà che non è affatto troppo lontana dal nichilismo pratico e che sembra dire: « è meglio che sia vero il Nulla, piuttosto che voialtri abbiate ragione, piuttosto che la vostra verità vinca! »? Tendete gli orecchi, signor pessimista e deificatore dell’arte, a una sola voce scelta dal vostro libro, in quel luogo abbastanza eloquente dell’uccisor di draghi, che all’udito e al cuore dei giovani deve suonare insidioso e trappolante: come? Non è cotesta la schietta spiccicata profession di fede romantica del 1830 sotto la maschera del pessimismo del 1850? non preludia sotto di quella il solito finale romantico, caduta, rovinio, ritorno e genuflessione all’antica fede, ai piedi dell’antico Iddio? Come? il vostro libro pessimista non è forse esso stesso un esemplare di anti-ellenismo e di romantica, esso stesso qualcosa di « altrettanto ubbriacante che offuscante », comunque, un narcotico, anzi un esemplare di musica e di musica tedesca? Ma si ascolti:

«Figuriamoci una generazione venuta su con questa intrepidità di sguardo, con questo impeto eroico pel prodigioso: figuriamoci il passo ardimentoso di questi uccisori di draghi, la superba temerità con cui voltano le spalle a tutte le pusillanimità dottrinali dell’ottimismo, per « vivere risolutamente » in tutto e per tutto: non sarebbe necessario, che l’uomo tragico di siffatta cultura, per la sua propria educazione alla fortezza e al terribile, domandasse un’arte [p. 17 modifica] nuova, l’arte della consolazione metafisica, la tragedia, come l’Elena a lui dovuta, ed esclamasse come Faust:

E non dovrei io, la più anelante delle potenze,
Condurre alla vita la più sublime delle apparizioni?»

«Non sarebbe necessario?». No, tre volte no, o giovani romantici: non è affatto necessario! È invece molto verosimile che la vada a finire, che voi andiate a finire così come è scritto, cioè « consolati », ad onta di tutta la vostra iniziazione alla fortezza e al terribile; « consolati metafisicamente », vale a dire, finiate, come finiscono tutti i romantici, nel bacio del cristianesimo. No! Voi dovreste prima imparare l’arte della consolazione del di qua; dovreste imparare a ridere, o miei giovani amici, se, comunque, volete serbarvi affatto pessimisti; e forse allora, ridendo, manderete una volta al diavolo la consolazione metafisica e con essa la metafisica! O, per dirla con le parole di quello stregone dionisiaco che si chiama Zarathustra:

«In alto i cuori, o fratelli, alzateli in alto, sempre più in alto! E non vi scordate le gambe! Alzate anche le vostre gambe, o voi buoni danzatori, e alzatele sempre meglio; anzi piantatevi addirittura sulla testa!

Questa corona del riso, questa corona inghirlandata di rose, io stesso me la son messa in capo, io stesso ho dichiarata santa la mia risata. Io oggigiorno non ho trovato nessun altro abbastanza eroico a tal cómpito. [p. 18 modifica]

Zarathustra il danzatore, Zarathustra il leggero, che fa cenno con le ali, maestro di volo, che dà il segno a tutti gli uccelli, presto e destro, beato volatico:

Zarathustra il veridico, Zarathustra dal vero riso, niente affatto insofferente, niente affatto assoluto; uno che ama i salti e gli scansi: io stesso mi sono incoronato con questa corona!

Questa corona dell’uomo che ride, questa corona inghirlandata di rose: a voi, o fratelli, io gitto questa corona! Io ho detto santo il riso: voi, uomini superiori, imparate da me a ridere!». (Così parlò Zarathustra, VI, 428-430).

Sils-Maria, Alta Engadina, agosto 1886.