La Nascita della Tragedia/Saggio di un'autocritica/VI.

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Saggio di un'autocritica - V. Saggio di un'autocritica - VII.
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VI

Lo spirito di Dioniso. — L’anima tedesca.


Si comprende ora quale fu il cómpito che già in questo libro io mi arrisicai ad imprendere? Come lamento, adesso, di non aver avuto allora il coraggio (o la baldanza?) di permettermi in ogni riguardo anche un linguaggio mio personale per queste intuizioni e questi ardimenti tanto personali! di aver faticosamente cercato di esprimere con formole schopenhaueriane e kantiane le strane e nuove valutazioni, che contrastavano dal fondo allo spirito di Kant e di Schopenhauer, altrettanto che al loro gusto! Invero, che cosa pensava lo Schopenhauer della tragedia? «Ciò che conferisce al senso tragico il suo particolare impulso all’elevazione,» egli afferma (II mondo come volontà e rappresentazione, II, 495) «è l’acquisto della persuasione, che il mondo, che la vita non possa dare nessuna vera [p. 14 modifica] soddisfazione, e che perciò non meriti il nostro attaccamento: in ciò consiste lo spirito tragico, il quale conduce quindi alla rassegnazione». Oh, come diversamente parlò a me Dioniso! Oh, quanto era allora lungi da me proprio cotesto spirito di rassegnazione! Ma in questo libro, e devo lamentarlo anche più, vi è qualcosa di peggio, che l’aver offuscato e guasto con formole schopenhaueriane le precursioni dionisiache: vi è, soprattutto, che con l’intrusione di vedute modernissime io in sostanza deformai il grandioso problema greco, quale esso mi si era presentato alla mente! Che concepii speranze dove nulla era a sperare, dove tutto anche troppo chiaramente accennava alla fine! Che, fondandomi sull’ultima manifestazione della musica tedesca, principiai a favoleggiare dell’ « anima tedesca », come se questa fosse in procinto di scoprirsi e di ritrovarsi; e ciò in un tempo, in cui lo spirito tedesco, che poco dianzi aveva mostrato la volontà di dominare l’Europa e la forza di conquistare l’egemonia sull’Europa, all’ultimo andava volontariamente e legittimamente a finire in una rinunzia, e, sotto il pomposo pretesto della fondazione dell’Impero, compiva la propria conversione all’accomodante mediocrità, alla democrazia e alle «idee moderne»! Col fatto, io frattanto imparai a sciogliermi la mente da ogni speranza e riguardo verso cotesta « anima tedesca », del pari che verso la presente musica tedesca, come quella che va sempre più rivelandosi come romantica, [p. 15 modifica] come la meno greca di tutte le possibili forme di arte: per giunta, è una logoratrice di nervi di prima forza, e doppiamente pericolosa a un popolo che ama il bicchiere e venera l’oscurità come una virtù; vale a dire, è pericolosa nella sua duplice proprietà di narcotico ubbriacante e, insieme, offuscante. Ma, lasciando da parte tutte le speranze affrettate e le fallaci applicazioni alle esigenze del momento, con cui allora rovinai il mio primo libro, rimane sempre più intatto, quale io allora lo posi, il grande problema dionisiaco anche rispetto alla musica: in che modo dovrebbe essere conformata una musica, la quale non fosse più di origine romantica come la tedesca, sibbene di origine dionisiaca?