La Giuditta II/Capitolo II
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CAPITOLO SECONDO
Ma d’ogn’altro pensier sgombrando il petto
Vinto Oloferne, tra novello ardore
3Sempre ha l’anima volta al suo diletto.
Ora speme il solleva, ora timore
L’abbatte sì, che ’n varie guise oppresso,
6Di dolcissimo fiel nudrisce il core.
Il sonno agli occhi suoi non vien mai presso,
Ma per la notte in ogni parte ei mira
9Della bella Giuditta il volto impresso:
Tutti i suoi detti rimembrando ammira
Come soavi, come saggi appieno,
12E quinci palpitando ei ne sospira.
Or quando afflitto del desir vien meno,
Chiama Bagoa, e gli vuol far palese
15La chiusa fiamma, che gli avvampa in seno:
Ben apre il varco alle guerriere imprese
Questa gentil che di Betulia viene
18Ma sua beltate ha le mie voglie accese;
Tanto da quelle ciglia alme e serene
S’avventa ardor, che degl’incendi loro
21Già tutto ho pieno il cor, piene le vene,
Però di tanto mal qualche ristoro
Vuolsi cercar; contra ragion m’aito,
24O mio fedel, se incenerisco e moro.
Certo non già; dunque real convito
Per te s’adorni, indi con lei procura
27Che non rifiuti del venir l’invito;
Fa seco i prieghi dolci oltra misura,
E che della mia fè nulla paventi,
30Ma d’ogni suo desir falla sicura.
Si disse il Perso tra le fiamme ardenti,
Bagoa la testa umilemente piega,
33Indi risponde cosí fatti accenti:
Come t’aggrada, la mia vita impiega;
Ma senta il mio signor di quella amata
36Ciò che questo suo servo a lui dispiega:
Viene soletta vagamente ornata,
E promette guidar gente nemica
39Dentro la patria a sua difesa armata
Ed ella serberà l’alma pudica?
Stranissimo a pensar, perchè io lo creda,
42Non sia lingua mortal, che oggi mel dica.
Arde, Signor, di ti si dare in preda;
Io porrò nondimen l’ingegno e l’arte,
45Perchè l’effetto allo sperar succeda.
Sì dicendo ei s’atterra, indi diparte,
E va là, dove di Betulia il Sole
48Dando lode al suo Dio, l’ore comparte,
Col capo chin, come per lor si suole,
E colle mani al petto egli l’adora,
51Poi dimesso formò queste parole:
Donna, di cui simil non vide ancora
L’occhio non pur, ma nè l’uman pensiero,
54Là ove il dì cade, ed onde appar l’aurora;
Beati i genitor, che al mondo diero
Sol di tal meraviglia; e questa etate,
57Che rischiara suoi giorni al lume altero,
E noi, che in guerra e colle destre armate
Fra perigli di morte e di tormenti
60Degni siam rimirar tanta beltate.
Tu, se mercè per le rinchiuse genti
Muovevi a ripregar, tuoi cari detti
63Certo lasciar non si doveano a’ venti.
Or che vittorie, or che trofei prometti,
Qual sarà prova ad onorar tuo merto,
66Che oggi per te fuor di ragion si aspetti?
Veggio ad ogni tua speme il varco aperto;
Il Signor: che obbligasti è sì cortese,
69Che a gran valor gran guiderdon fia certo.
Intanto egli festeggia a far palese
La gran letizia, che rinchiude in core,
72E che per l’alma tua venuta ei prese;
Conviti appresta, e delle squadre il fiore
Fia seco a mensa; e qui mi manda, e prega,
75Che coll’aspetto tuo gli cresca onore.
Se il gran lume del cielo unqua non niega
Suoi raggi al mondo, e dall’Occaso all’Orto
78Ricercando i mortali, ei li dispiega.
E tu degli occhi tuoi danne conforto;
Da fonte egual di grazïosi rai
81Eguale grazia non si chiede a torto:
E poi che lieti, e che beati fai,
O donna, i nostri cor, contra ragione
84Con esso noi qual prigioniera stai:
Sempre chiusa dimori; un padiglione
È tuo solo soggiorno, ah non conviensi;
87D’alquanto rallegrarsi oggi è stagione.
Fa, che il giorno presente almen dispensi
Al convito real, perchè tu vegna,
90Son del grande Oloferne i prieghi intensi:
Ei regge l’armi dell’Assiria, e regna
A pieno arbitrio su cotante schiere,
93E pur servirti, ed ubbidir non sdegna.
Sì parla, e trarla tenta al suo volere:
Giuditta il guardo abbassa, e come stella,
96Che risorga dal mar fassi a vedere,
E con soave voce indi favella:
Soverchi, Amico, se ne van tuoi detti,
99Che del grande Oloferne io sono ancella,
E son per farmi incontra a’ suoi diletti.
Bagoa l’inchina; e muove lieto intorno,
102Chiamando i duci alla gran festa eletti.
Ma l’alta ebrea, che il desïato giorno
Scorge da presso, ogni sapere adopra
105far suo viso oltra l’usato adorno.
Il biondo crine ella innanella, e sopra
Vi stese oscuro vel, che in varj giri
108Dall’aura mosso per ischerzo il copra:
Sul bel collo alternò perle, e zaffiri,
Cerchiò con oro delle belle braccia
111La neve, ad infiammar gli altrui desiri,
Indi sovra aurea gonna un manto allaccia,
Sotto i cui fregi via maggior lampeggia
114L’alma beltà, che le riluce in faccia:
Qual de’ bei gigli infra il candor rosseggia,
E con bel croco in Orïente ascende
117L’alba lasciando di Titon la reggia:
Così fatta Giuditta entra le tende,
Là ’ve tra’ cavalieri arso Oloferne
120Con lunga brama il suo venire attende:
Nè l’amata bellezza ei pria discerne,
Che vien tutto pallor, tutto rossore;
123Vestigio espresso delle fiamme interne,
Poi fa seco sederla a grande onore,
Siedono poscia i più gentil campioni,
126Pur volti di Giuditta allo splendore.
Allor di mille cetre allegri suoni,
E di cantori misurati fiati
129Odonsi in varie note, e in varj tuoni:
E quale armento in rugiadosi prati
Divora per l’april paschi fioriti
132Al dolce mormorar de’ rivi amati;
Cotali in vasi d’or cibi conditi
Pascean quei Duci, e con gioconde fronti
135Faceansi a bere graziosi inviti:
Bacco cresciuto al Sol, nato ne’ monti,
Ad altissima voce ognun chiedea,
138Ma non chiedeva alcun Ninfa de’ fonti.
Mentre così sé stesso ognun ricrea,
Sorge Adenghile, e di Leneo spumante
141Colmava un’ampia coppa, indi dicea:
Chi brama vincitor, chi trionfante
D’Assiria il Re, chi dalle fredde arene
144Dell’aspro Eusino all’Africano Atlante,
Di quest’almo licore empia le vene:
Così dicendo tutto il petto inonda
147Dell’or, che appena ei con la man sostiene.
Gli atti festosi ogni Guerrier seconda,
E non so che di lieto e di soave,
150Oltre l’usato, in Oloferne abbonda.
Ma gli occhi foschi, ed ha la fronte grave,
Il palco sembra gli si giri intorno,
153E la favella in sua balía non ave:
E già lasciando entro l’Ibero il giorno,
La notte in sull’Olimpo era salita,
156Rinchiusa in manto di gran stelle adorno.
Indi al riposo ogni mortale invita,
Ed ogni cavalier da sonno preso,
159Dalla tenda real facea partita.
Lascia nel letto il suo Signor disteso
Bagoa, che spande dalle nari il fiato,
162Immobil, come da letargo offeso.
Pigliando poscia da Giudit commiato,
Esce dal padiglione; alta quiete,
165Alto silenzio era nel campo armato.
Procurava ogni squadra ombre segrete
Per le sue piume, e l’aspettato orrore
168Spargea sopra ogni spirto onda di Lete.
Allor Giuditta alla compagna: Fuore
Sta delle tende, e fisamente ascolta,
171E tutto volgi a ben spiare il core.
Così le disse, e verso il ciel rivolta:
Guarda, Dio Grande, che Israelle adora,
174Gerusalemme di spavento involta,
E questa inferma destra oggi avvalora.
Poi slega il brando, che sul letto pende,
177E giunge: Oh Dio, del tuo socorso è l’ora.
Si colla manca al fier nemico prende
La chioma, e con la destra alza il coltello,
180E l’empio collo addormentato fende.
Vien dalle tronche canne ampio ruscello,
Ed il basto riman qual toro anciso,
183Che steso sul terren laya il macello.
Gelida pallidezza occupa il viso,
Che pur dianzi avvampò. L’altera Ebrea
186Afferra il teschio di sua man reciso,
E portalo a colei, che l’attendea
Oltre le tende del crudel Tiranno;
189Poi lasciando la turba iniqua e rea
A consolarne i cittadin sen vanno.