La Giuditta II/Capitolo II

../Capitolo I

../ IncludiIntestazione 11 dicembre 2023 75% Da definire

Capitolo I La Giuditta II
[p. 269 modifica]

CAPITOLO SECONDO

Ma d’ogn’altro pensier sgombrando il petto
     Vinto Oloferne, tra novello ardore
     3Sempre ha l’anima volta al suo diletto.
Ora speme il solleva, ora timore
     L’abbatte sì, che ’n varie guise oppresso,
     6Di dolcissimo fiel nudrisce il core.
Il sonno agli occhi suoi non vien mai presso,
     Ma per la notte in ogni parte ei mira
     9Della bella Giuditta il volto impresso:
Tutti i suoi detti rimembrando ammira
     Come soavi, come saggi appieno,
     12E quinci palpitando ei ne sospira.
Or quando afflitto del desir vien meno,
     Chiama Bagoa, e gli vuol far palese
     15La chiusa fiamma, che gli avvampa in seno:
Ben apre il varco alle guerriere imprese
     Questa gentil che di Betulia viene
     18Ma sua beltate ha le mie voglie accese;
Tanto da quelle ciglia alme e serene
     S’avventa ardor, che degl’incendi loro
     21Già tutto ho pieno il cor, piene le vene,
Però di tanto mal qualche ristoro
     Vuolsi cercar; contra ragion m’aito,
     24O mio fedel, se incenerisco e moro.
Certo non già; dunque real convito
     Per te s’adorni, indi con lei procura
     27Che non rifiuti del venir l’invito;
Fa seco i prieghi dolci oltra misura,
     E che della mia fè nulla paventi,
     30Ma d’ogni suo desir falla sicura.
Si disse il Perso tra le fiamme ardenti,
     Bagoa la testa umilemente piega,
     33Indi risponde cosí fatti accenti:
Come t’aggrada, la mia vita impiega;
     Ma senta il mio signor di quella amata
     36Ciò che questo suo servo a lui dispiega:
Viene soletta vagamente ornata,
     E promette guidar gente nemica
     39Dentro la patria a sua difesa armata
Ed ella serberà l’alma pudica?
     Stranissimo a pensar, perchè io lo creda,
     42Non sia lingua mortal, che oggi mel dica.
Arde, Signor, di ti si dare in preda;
     Io porrò nondimen l’ingegno e l’arte,
     45Perchè l’effetto allo sperar succeda.
Sì dicendo ei s’atterra, indi diparte,
     E va là, dove di Betulia il Sole
     48Dando lode al suo Dio, l’ore comparte,
Col capo chin, come per lor si suole,
     E colle mani al petto egli l’adora,
     51Poi dimesso formò queste parole:
Donna, di cui simil non vide ancora
     L’occhio non pur, ma nè l’uman pensiero,
     54Là ove il dì cade, ed onde appar l’aurora;
Beati i genitor, che al mondo diero
     Sol di tal meraviglia; e questa etate,
     57Che rischiara suoi giorni al lume altero,
E noi, che in guerra e colle destre armate
     Fra perigli di morte e di tormenti
     60Degni siam rimirar tanta beltate.
Tu, se mercè per le rinchiuse genti
     Muovevi a ripregar, tuoi cari detti
     63Certo lasciar non si doveano a’ venti.
Or che vittorie, or che trofei prometti,
     Qual sarà prova ad onorar tuo merto,
     66Che oggi per te fuor di ragion si aspetti?
Veggio ad ogni tua speme il varco aperto;
     Il Signor: che obbligasti è sì cortese,
     69Che a gran valor gran guiderdon fia certo.
Intanto egli festeggia a far palese
     La gran letizia, che rinchiude in core,
     72E che per l’alma tua venuta ei prese;
Conviti appresta, e delle squadre il fiore
     Fia seco a mensa; e qui mi manda, e prega,
     75Che coll’aspetto tuo gli cresca onore.
Se il gran lume del cielo unqua non niega
     Suoi raggi al mondo, e dall’Occaso all’Orto
     78Ricercando i mortali, ei li dispiega.
E tu degli occhi tuoi danne conforto;
     Da fonte egual di grazïosi rai
     81Eguale grazia non si chiede a torto:
E poi che lieti, e che beati fai,
     O donna, i nostri cor, contra ragione
     84Con esso noi qual prigioniera stai:
Sempre chiusa dimori; un padiglione
     È tuo solo soggiorno, ah non conviensi;
     87D’alquanto rallegrarsi oggi è stagione.
Fa, che il giorno presente almen dispensi
     Al convito real, perchè tu vegna,
     90Son del grande Oloferne i prieghi intensi:
Ei regge l’armi dell’Assiria, e regna
     A pieno arbitrio su cotante schiere,
     93E pur servirti, ed ubbidir non sdegna.
Sì parla, e trarla tenta al suo volere:
     Giuditta il guardo abbassa, e come stella,
     96Che risorga dal mar fassi a vedere,
E con soave voce indi favella:
     Soverchi, Amico, se ne van tuoi detti,
     99Che del grande Oloferne io sono ancella,
E son per farmi incontra a’ suoi diletti.
     Bagoa l’inchina; e muove lieto intorno,
     102Chiamando i duci alla gran festa eletti.
Ma l’alta ebrea, che il desïato giorno
     Scorge da presso, ogni sapere adopra
     105far suo viso oltra l’usato adorno.
Il biondo crine ella innanella, e sopra
     Vi stese oscuro vel, che in varj giri
     108Dall’aura mosso per ischerzo il copra:
Sul bel collo alternò perle, e zaffiri,
     Cerchiò con oro delle belle braccia
     111La neve, ad infiammar gli altrui desiri,
Indi sovra aurea gonna un manto allaccia,
     Sotto i cui fregi via maggior lampeggia
     114L’alma beltà, che le riluce in faccia:
Qual de’ bei gigli infra il candor rosseggia,
     E con bel croco in Orïente ascende
     117L’alba lasciando di Titon la reggia:

[p. 270 modifica]

Così fatta Giuditta entra le tende,
     Là ’ve tra’ cavalieri arso Oloferne
     120Con lunga brama il suo venire attende:
Nè l’amata bellezza ei pria discerne,
     Che vien tutto pallor, tutto rossore;
     123Vestigio espresso delle fiamme interne,
Poi fa seco sederla a grande onore,
     Siedono poscia i più gentil campioni,
     126Pur volti di Giuditta allo splendore.
Allor di mille cetre allegri suoni,
     E di cantori misurati fiati
     129Odonsi in varie note, e in varj tuoni:
E quale armento in rugiadosi prati
     Divora per l’april paschi fioriti
     132Al dolce mormorar de’ rivi amati;
Cotali in vasi d’or cibi conditi
     Pascean quei Duci, e con gioconde fronti
     135Faceansi a bere graziosi inviti:
Bacco cresciuto al Sol, nato ne’ monti,
     Ad altissima voce ognun chiedea,
     138Ma non chiedeva alcun Ninfa de’ fonti.
Mentre così sé stesso ognun ricrea,
     Sorge Adenghile, e di Leneo spumante
     141Colmava un’ampia coppa, indi dicea:
Chi brama vincitor, chi trionfante
     D’Assiria il Re, chi dalle fredde arene
     144Dell’aspro Eusino all’Africano Atlante,
Di quest’almo licore empia le vene:
     Così dicendo tutto il petto inonda
     147Dell’or, che appena ei con la man sostiene.
Gli atti festosi ogni Guerrier seconda,
     E non so che di lieto e di soave,
     150Oltre l’usato, in Oloferne abbonda.
Ma gli occhi foschi, ed ha la fronte grave,
     Il palco sembra gli si giri intorno,
     153E la favella in sua balía non ave:
E già lasciando entro l’Ibero il giorno,
     La notte in sull’Olimpo era salita,
     156Rinchiusa in manto di gran stelle adorno.
Indi al riposo ogni mortale invita,
     Ed ogni cavalier da sonno preso,
     159Dalla tenda real facea partita.
Lascia nel letto il suo Signor disteso
     Bagoa, che spande dalle nari il fiato,
     162Immobil, come da letargo offeso.
Pigliando poscia da Giudit commiato,
     Esce dal padiglione; alta quiete,
     165Alto silenzio era nel campo armato.
Procurava ogni squadra ombre segrete
     Per le sue piume, e l’aspettato orrore
     168Spargea sopra ogni spirto onda di Lete.
Allor Giuditta alla compagna: Fuore
     Sta delle tende, e fisamente ascolta,
     171E tutto volgi a ben spiare il core.
Così le disse, e verso il ciel rivolta:
     Guarda, Dio Grande, che Israelle adora,
     174Gerusalemme di spavento involta,
E questa inferma destra oggi avvalora.
     Poi slega il brando, che sul letto pende,
     177E giunge: Oh Dio, del tuo socorso è l’ora.
Si colla manca al fier nemico prende
     La chioma, e con la destra alza il coltello,
     180E l’empio collo addormentato fende.
Vien dalle tronche canne ampio ruscello,
     Ed il basto riman qual toro anciso,
     183Che steso sul terren laya il macello.
Gelida pallidezza occupa il viso,
     Che pur dianzi avvampò. L’altera Ebrea
     186Afferra il teschio di sua man reciso,
E portalo a colei, che l’attendea
     Oltre le tende del crudel Tiranno;
     189Poi lasciando la turba iniqua e rea
A consolarne i cittadin sen vanno.