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270 poesie

Così fatta Giuditta entra le tende,
     Là ’ve tra’ cavalieri arso Oloferne
     120Con lunga brama il suo venire attende:
Nè l’amata bellezza ei pria discerne,
     Che vien tutto pallor, tutto rossore;
     123Vestigio espresso delle fiamme interne,
Poi fa seco sederla a grande onore,
     Siedono poscia i più gentil campioni,
     126Pur volti di Giuditta allo splendore.
Allor di mille cetre allegri suoni,
     E di cantori misurati fiati
     129Odonsi in varie note, e in varj tuoni:
E quale armento in rugiadosi prati
     Divora per l’april paschi fioriti
     132Al dolce mormorar de’ rivi amati;
Cotali in vasi d’or cibi conditi
     Pascean quei Duci, e con gioconde fronti
     135Faceansi a bere graziosi inviti:
Bacco cresciuto al Sol, nato ne’ monti,
     Ad altissima voce ognun chiedea,
     138Ma non chiedeva alcun Ninfa de’ fonti.
Mentre così sé stesso ognun ricrea,
     Sorge Adenghile, e di Leneo spumante
     141Colmava un’ampia coppa, indi dicea:
Chi brama vincitor, chi trionfante
     D’Assiria il Re, chi dalle fredde arene
     144Dell’aspro Eusino all’Africano Atlante,
Di quest’almo licore empia le vene:
     Così dicendo tutto il petto inonda
     147Dell’or, che appena ei con la man sostiene.
Gli atti festosi ogni Guerrier seconda,
     E non so che di lieto e di soave,
     150Oltre l’usato, in Oloferne abbonda.
Ma gli occhi foschi, ed ha la fronte grave,
     Il palco sembra gli si giri intorno,
     153E la favella in sua balía non ave:
E già lasciando entro l’Ibero il giorno,
     La notte in sull’Olimpo era salita,
     156Rinchiusa in manto di gran stelle adorno.
Indi al riposo ogni mortale invita,
     Ed ogni cavalier da sonno preso,
     159Dalla tenda real facea partita.
Lascia nel letto il suo Signor disteso
     Bagoa, che spande dalle nari il fiato,
     162Immobil, come da letargo offeso.
Pigliando poscia da Giudit commiato,
     Esce dal padiglione; alta quiete,
     165Alto silenzio era nel campo armato.
Procurava ogni squadra ombre segrete
     Per le sue piume, e l’aspettato orrore
     168Spargea sopra ogni spirto onda di Lete.
Allor Giuditta alla compagna: Fuore
     Sta delle tende, e fisamente ascolta,
     171E tutto volgi a ben spiare il core.
Così le disse, e verso il ciel rivolta:
     Guarda, Dio Grande, che Israelle adora,
     174Gerusalemme di spavento involta,
E questa inferma destra oggi avvalora.
     Poi slega il brando, che sul letto pende,
     177E giunge: Oh Dio, del tuo socorso è l’ora.
Si colla manca al fier nemico prende
     La chioma, e con la destra alza il coltello,
     180E l’empio collo addormentato fende.
Vien dalle tronche canne ampio ruscello,
     Ed il basto riman qual toro anciso,
     183Che steso sul terren laya il macello.
Gelida pallidezza occupa il viso,
     Che pur dianzi avvampò. L’altera Ebrea
     186Afferra il teschio di sua man reciso,
E portalo a colei, che l’attendea
     Oltre le tende del crudel Tiranno;
     189Poi lasciando la turba iniqua e rea
A consolarne i cittadin sen vanno.

XI

IL BATTISTA

AL SERENISSIMO

FERDINANDO MEDICI

GRAN DUCA DI TOSCANA

CANTO PRIMO

Musa, che su nel cielo alma risplendi
     D’aurea corona, e di stellato manto,
     Vesti le piume sempiterne, e scendi
     Qui dove umil del gran Battista io canto;
     E dimmi tu, che ogni segreto intendi,
     Come più ch’altro glorïoso e santo,
     Il producesse in pria l’alvo materno
     8Con alta prova di favore eterno.

Come tra folti boschi ei si nascose,
     Sì prese il mondo scellerato a schivo,
     Come il nudrir nelle magion selvose
     Mele, e locuste, o dissetollo il rivo;
     Verace Precursor, genti ritrose,
     Popol perverso, e di giustizia privo
     Con saggi detti alla giustizia accese,
     16E ’l vero Agnel di Dio lor fe’ palese.

Ma se l’opre di lui, che in bel sereno
     Con fama eterna ad ora ad or sen vanno,
     Nè vuoi sue glorie raccontarmi appieno,
     Che dell’Occaso paventar non sanno;
     Narrami il pregio della morte almeno,
     Eterna infamia al Galileo Tiranno,
     Che da rie danze lusingato e vinto,
     24Mirar sofferse il sì gran Santo estinto.

E tu, per cui d’Italia il nome altero
     Or più sen va per Universo, aita
     Porgi, gran Ferdinando, al gran pensiero,
     Che a superno Elicona oggi m’invita:
     A te ricorro, ed è ragion s’io spero,
     Che per l’alta bontà, che in te s’addita,
     Ove d’alcun celeste odi le lodi,
     32Del vanto suo, più che del proprio godi.

Tutta gioconda il cor, tutta lucente
     Di gemme, tutta di ghirlande adorna
     Splende Firenze tua, se in Orïente
     Del carissimo Santo il dì ritorna;
     Quinci a lui celebrar divenne ardente,
     Ed ei, che fra le stelle almo soggiorna,
     E per gradir, che non sian scorte indarno
     40Sue Muse dal Giordano al tuo grand’Arno.