La Famiglia De-Tappetti/VI - Ruoli organici
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VI.
Ruoli organici.
Policarpo De-Tappetti ha letto sui giornali che all’ordine del giorno della Camera erano comparse quelle cose girevoli che si chiamano i ruoli organici.
Policarpo ha provato, nelle sue viscere di impiegato straordinario, un rimescolio a cui non doveva certamente essere estranea, insieme con l’affezione rispettosa verso i proprii superiori, una zuppa di fagioli andata a male, per colpa della serva, la quale ha stretto col garzone del salumaio un’untuosa relazione, di cui non si darà certo lettura in apposita commissione parlamentare.
Policarpo De-Tappetti, forte della sua lunga e provata devozione agli ordini costituzionali, ha comunicato al suo caposezione, per debito d’ufficio, una regolare e documentata flussione di denti, grazie alla quale egli ha potuto assistere alla seduta, sia per acquistare la convinzione personale dell’esistenza dei ruoli organici, sia per abituare suo figlio Agenore alla religione d’un progetto di legge, che potrà essere discusso nei giorni in cui Policarpo De-Tappetti sarà sceso sotterra, lasciando un’eredità di affetti e di scarpe di panno, mentre suo figlio Agenore De-Tappetti tirerà il carro dello Stato, o altro veicolo congenere e non meno nazionale.
Policarpo è alla tribuna pubblica, appoggiato all’ultimo banco, e Agenore, che ha trovato posto nel banco sottostante, si volge al babbo e dice:
— Papà, i fagiuoli mi hanno fatto male.
— Non mormorare, figlio mio: anche nell’umiltà dei fagiuoli c’è qualche volta la mano della provvidenza.
Emesso questo pensiero filosofico, Policarpo si concentra in sè stesso, come, al pari forse di Agenore, udisse qualche voce interna non abbastanza amalgamata con quella della coscienza.
Comincia intanto la discussione sugli organici.
— Papà! — domanda Agenore, reprimendo un moto dell’anima, che somiglia ad un sospiro — papà mio, me li fai vedere i ruoli organici?
— Figlio mio: i ruoli organici sono una cosa essenzialmente immateriale: nessuno li può vedere e, pur troppo, nessuno li può toccare. Guarda piuttosto il deputato Plebano, che parla adesso sopra i pubblici bisogni; egli era l’unica persona che avesse un Avvenire sul quale ha scritto tanti articoli, a favore di noi poveri impiegati; ma ormai non c’è più avvenire disgraziatamente per noi, e grazie al cielo neanche per lui.
Momento di pausa.
— Ascolta bene quello che dice l’onorevole Plebano; gli organici non potranno mai essere cosa seria e stabile, se non si organizzano prima i pubblici servizi i quali non rispondono ai pubblici bisogni.
— Papà, quand’è che si provano i pubblici bisogni?
— È meglio passarci sopra, figlio mio; l’argomento è troppo grave. Quando un regnicolo ha un bisogno, questo non è che un bisogno privato, poichè deriva appunto da una privazione. Ma se, invece, un popolo, compenetrato nella propria esistenza di consorzio civile, s’inculca bene nel potere legislativo, e manomette le riforme organiche delle tabelle definitive, allora tutti provano qualche cosa che non si spiega, la quale sarebbe appunto un pubblico bisogno, che deve corrispondere ai pubblici servizi.
— Corrispondere.... che cosa?
— Mi spiegherò con un esempio: un cittadino morigerato prova un bisogno pubblico. Che cosa fa egli in simile frangente? ricorre, col rispetto che si deve, al potere legislativo, e gli dice: io ho il tale bisogno pubblico, la mi faccia un po’ lei corrispondere a quel servizio che di dovere.
— E allora?
— Allora il potere legislativo lo manda a quel servizio.
L’onorevole Treppunti intanto dice che non capisce come si vogliano migliorare gli stipendi senza migliorare i servizi; l’onorevole Cavalletto parla della piaga dei sollecitatori e del sospetto di corruzione; l’onorevole Fortis raccomanda la sorte degli impiegati straordinari; l’onorevole Zeppa sostiene che la sinistra ha migliorate le condizioni della travetteria, e Policarpo De-Tappetti, che ha paura di perdere ogni speranza, comincia, non foss’altro, a perdere la testa.
Agenore, intanto, torcendosi e facendo qualche cosa che somiglia a un singhiozzo, esclama:
— Papà! i fagiuoli.
— Agenore! — risponde Policarpo con accento d’ineffabile malinconia: — ti prego di sospendere, momentaneamente le dolorose manifestazioni di un animo, turbato da legumi troppo coriacei. Noi ci troviamo davanti a un’assemblea legislativa che sta votando un milione in nostro favore....
— Un milione?
— Sì, figlio mio!... un milione, di cui non avrò, naturalmente, neanche un soldo; ma è sempre decoroso, per una famiglia come la nostra, avere partecipato moralmente, idealmente, al possesso d’un milione.
— Dimmi, papà: con questo milione, mi comprerai qualche cosa?
Policarpo intenerito:
— Sì, figlio mio, ti procurerò qualche divertimento: domani ti porterò al Pincio a vedere il tramonto. È bene che gli animi dei giovincelli si ritemprino ai grandi spettacoli della natura.