La Famiglia De-Tappetti/VII - Il Natale
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VII.
Il Natale.
È la mattina di domenica. Dalle nove alle undici, consulto tra Eufemia, Policarpo e Rosa, per decidere il programma del pranzo natalizio. Solamente alle undici e un quarto la lista definitiva rimane composta così, a base di patate:
- Gnocchi al sugo,
- Patate con contorno di pollo,
- Arrosto di manzo con contorno di patate,
- Patate fritte con contorno di spinaci,
- Cicoria e patate per insalata,
- Mezzo fiaschetto di Aleatico,
- Caldallesse, invece di marrons glacés troppo indigesti,
- Sei soldi di cialdoni,
- Tre mele e quattro soldi di formaggio.
Policarpo vorrebbe aggiungere alla lista due tazze di caffè: ma resta spaventato dalla propria audacia.
Combinato il pranzo, la famiglia De-Tappetti procede al proprio abbigliamento festivo.
Agenore, col pennello da barba, insapona religiosamente una spalliera di seggiola, e ogni tanto strilla, con voce acutissima:
— Papà, oggi che è Natale, mi ci porti al teatro meccanico?
Policarpo fruga in ogni ripostiglio e grida:
— Eufemia.
Eufemia. — Che hai, che strilli?
Policarpo. — In nome di quei doveri di sposa e di madre, a cui si deve ispirare la tua condotta, mi sai dire dove diamine hai ficcato il lustro per le scarpe?
Eufemia (alla serva). — Rosa: dove avete messo il lustro per le scarpe? dov’è il mio talma, quello con le perline nere?
Policarpo (esterrefatto). — Gesummio! Si sarebbe perduto il tuo talma! dunque la mia famiglia è sopra un abisso?
Agenore. — Papà oggi ch’è Natale, mi ci porti al teatro meccanico?
Policarpo, volgendosi verso Agenore, lo vede più che mai dedicato all’insaponatura della spalliera, e gli grida:
— Nequitosa creatura, tu sperperi in tal modo quella schiuma che è precisamente destinata al mento del genitore? e tu mi rovini, con tanta animadversione, quella seggiola, che servì di base alla santa memoria di tuo nonno? e tu manometti con precoce impulso di brutale malvagità, quel pennello cui può solamente adibire la barba paterna?
Eufemia (minacciando Agenore). — Metti subito via il pennello se no ti tiro quello che mi viene alle mani.
Policarpo. — Ed io quello che mi viene ai piedi, che poi sarebbe il frutto della mia legittima indignazione.
La serva con faccia stordita, esce, tutta impolverata, dalla cucina e dice:
— Signora, il lustro non si trova.
Policarpo. — Come: non si trova? Bisognerà trovarlo per forza. I miei mezzi non permettono enormi spese voluttuarie in tante scatole di lustro. Ne abbiamo comprata una, che non sono neppure tre mesi. (agitato da fiero sospetto) Ma dunque voi me lo mangiate?
Agenore. — Papà: oggi che è Natale mi ci porti al teatro meccanico?
La signora Eufemia, tutta rossa, scalmanata:
— Ecco qua: l’ho trovato io il lustro, (porgendolo a Policarpo) era fra le tue carte.
Policarpo (alzando il lustro e gli occhi al cielo). — Fra i miei documenti! Fra quelle pagine immarcescibili, che sono il testimonio oculare della mia integrità cittadina! (principiando a lustrare) Un giorno, di questo passo, lo troveremo nella sporta del pane, o nella concolina in cui ci laviamo le fisonomie familiari, o su quel cuscino, ch’è il capezzale delle mie notti. Eufemia: casa De-Tappetti è nella piú assoluta decadenza. (scopettando con rabbia) Agenore: lascia stare il gatto! Te l’ho detto cento volte.
Agenore. — Papà: l’ho mandato via perchè era sullo scendiletto e stava facendo....
Policarpo (con amarezza). — Anche l’altro giorno era sul mio soprabito blú e fece....quel gatto non ha principio di educazione!
Agenore. — Papà: oggi ch’è Natale, mi ci porti al teatro meccanico?
Policarpo. — Quanto sei noioso e degenere, figlio mio!
Eufemia (irritata). — E tu rispondigli una volta, senza farlo svociare.
Policarpo (al figlio). — Che vuoi? parla! e parla senza omologare di singhiozzi il tuo ragionamento.
Agenore. — Papà: oggi ch’è Natale, mi ci porti al teatro meccanico?
Policarpo (con voce solenne). — Prima di tutto, dobbiamo andare a spasso, e per via decideremo quale spettacolo convenga alla puerizia. I soli divertimenti educativi dovranno, onestamente, ricreare questo connubio nell’atto che, manoducendo la sua prole, si permetterà di gavazzare, senza intempestivo dispendio.
Entra Rosa con un cencio nero in mano, che butta in braccio alla signora Eufemia.
Rosa. — Ecco il talma con le perline nere.
Eufemia. — Dov’era?
Rosa. — Era.... era....
Policarpo. — Siate veridica nei vostri domestici referti.
Rosa. — Io non so chi ce lo abbia messo, ma era sulla cesta del carbone.
Eufemia. — Il mio talma sulla cesta del carbone!
Policarpo. — Il carbone sul talma della cesta di mia consorte?
Rosa sparisce di corsa, in cucina.
Policarpo fissa sul talma due occhi pieni di lagrime.
La signora Eufemia incretinisce a vista d’occhio.
Policarpo (con gesto pieno di nobiltà e di energia). — Mostriamoci forti e parati sempre, nelle più dure controversie della vita. Mettiti quel talma che ci costa tanti dolori e usciamo. Nulla turbi la nostra festiva giocondità natalizia.
La signora Eufemia eseguisce meccanicamente. Escono tutti e tre.
Poca gente nelle vie.
Policarpo trascina Eufemia, che trascina Agenore, che trascina un carrettino sfiancato mediante un pezzo di spago.
La famiglia De-Tappetti si reca al Pincio. Sono le dodici e mezzo, e in tutto il Pincio non si vedono dieci persone. Policarpo costringe il figlio a leggere i nomi dei grandi uomini in marmo; indi gli infligge un’ammirazione di un quarto d’ora avanti ai cigni del laghetto. In ultimo dilapida la somma di tre soldi per procurargli cinque minuti d’altalena.
Dal Pincio, la famiglia De-Tappetti corre a San Pietro. Sulla piazza non c’è anima viva. Policarpo spiega il sistema ingegnoso col quale fu eretto l’obelisco, mediante funi riscaldate, secondo lui, mentre il Papa gridava: Fuori i barbari!
Da San Pietro, la famiglia De-Tappetti corre a piazza di Termini per vedere i cartelloni del serraglio delle belve.
Da piazza di Termini, la famiglia De-Tappetti corre nella chiesa d’Aracoeli, dove Agenore declama la seguente poesia davanti al presepe:
Queste feste natalizie
Faccia il ciel che concilii
Le sue grazie più propizie
Come ciò che ci ha concesso
Dopo avercelo promesso
Ch’apparisce alla capanna
E nascesseci il Messia;
Tra gli evviva tra gli osanna
Gridiam tutti e così sia.
Versi, manco a dirlo, di Policarpo.
Dall’alto della scalinata dell’Aracoeli, la famiglia De-Tappetti si precipita verso casa.
Policarpo (con gioia repressa dalla dignità). — Che ne dici, moglie mia? ci siamo divertiti abbastanza?
Eufemia (cascando a pezzi). — Quanto a me....
Policarpo. — E tu, Agenore, ti sei divertito?
Agenore. — No, papà.
Policarpo. — Ecco le conseguenze dell’abuso dei piaceri! Agenore, ti do cinque minuti di tempo, per rettificare la tua primitiva asserzione.
Agenore. — Ma io mi sono seccato.
Policarpo. — E io, forse, non mi sono seccato più di te? Ma oggi è festa, e tu devi imitare la paterna ilarità. Ti ordino di essere contento, e di abbandonarti a segni di giubilo manifesto. Vuoi ubbidirmi, sì o no?
Agenore. — Ti ubbidisco subito, papà.
E si mette a piangere come una fontana.