La Donna e i suoi rapporti sociali/Il da farsi
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IL DA FARSI
Poich’ebbi addimostrato che dal dovere nasce il diritto, non essendo questo che mezzo al compimento di quello, mi correva obbligo di parlarvi del diritto; epperò vi mostravo di volo le condizioni della donna in faccia alle istituzioni; e come queste sue condizioni siano tali da renderla affatto impotente al compimento di quel dovere cui è missionata; avvegnachè io vi mostrassi la donna non solamente ne’ suoi rapporti cogli individui, ma eziandio coll’umanità; poichè, se da un lato le incombe gravissimo compito, come sposa e come madre, non meno grave ed indeclinabile, siccome ingenito e ad ogni altro anteriore, le impone un lavoro la qualità di membro sociale.
Epperò questo lavoro io vi mostravo, non manipolato da laterali interessi, non imposto da questa o da quella volontà, non esatto da una forza qualunque soggiogarle, non manufatto da umane organizzazioni che si arrogano diritto di distribuire funzioni, come se quello prima avessero di distribuire attitudini; ma compito e dovere che nasce con voi, con voi cresce e si sviluppa, che prepotentemente vi s’impone nell’imponente e fatale linguaggio delle vostre facoltà che, assecondate, vi conducono a benessere ed a perfettibilità; compresse, vi fanno infelici o demoralizzate.
Io vi mostravo che la negazione del dovere è la negazione del diritto, epperò vi eccitavo a riconoscervi quello, per poi chiedere l’affermazione di questo.
Io non dubito punto che voi tutte, che mi leggete, abbiate ben compreso questa verità, che è la molla e la sintesi del meccanismo sociale; epperò vedo che mi chiedete, ch’io stringa in due parole tutto il da farsi, onde ottenere i mezzi d’azione, dappoichè vi riconoscete il dovere di azione, spogliandovi di quella misera impronta di servilismo e di pusillanimità, che ora deturpa il carattere femminile, scaturita per lo appunto dalla lunga oppressione subita, e dalla incoscienza delle legittime pretese, che ogni essere può, e deve recare innanzi alla società, e determinandovi energicamente all’esercizio della vostra attività; laonde mi riassumo.
Lo Stato nega alla donna l’istruzione, mentre la fa contribuente.
Il codice le nega la capacità in faccia al diritto, mentre ne afferma la responsabilità in faccia alla contravvenzione ed alla pena.
Lo Stato respinge la donna dalla vita politica, mentre ve la fa concorrere coi sacrificii.
La legge subalternizza la donna nel matrimonio e le nega la maternità legittima, mentre la chiama a parte dei pesi domestici e le abbandona tutte le conseguenze della maternità illegale.
Più, chiude ogni via alla sua intelligenza e le sbarra la strada ad ogni professione, disconoscendo così in lei il diritto di lavoro e d’attività.
La donna deve dunque protestare contro la sua attuale condizione, invocare una riforma, e chiedere:
I. Che le sia impartita un’istruzione nazionale con larghi programmi.
II. Che sia parificata agli altri cittadini nella maggiorità.
III. Che le sia concesso il diritto elettorale, e sia almeno elettore, se non eleggibile. IV. Che l’equilibrio sia ristabilito fra i coniugi.
V. Che la separazione dei beni nel matrimonio sia diritto comune.
VI. Che l’adulterio ed il concubinato soggiacciano alle stesse prove legali ed alle stesse conseguenze.
VII. Che il marito non possa rappresentare la moglie in nessun atto legale, senza suo esplicito mandato.
VIII. Che siano soppressi i rapporti d’obbedienza e di protezione, siccome ingiusta l’una, illusoria l’altra.
IX. Che nel caso che la moglie non voglia seguire il marito, ella possa sottoporre le sue ragioni ad un consiglio di famiglia composto d’ambo i sessi.
X. Che il marito non possa alienare le proprie sostanze sia a titolo oneroso, sia gratuito, nè obbligarle in nessun modo, senza consenso della moglie, e reciprocamente. — Dacché il coniuge sciupatore dev’essere mantenuto dall’altro, è ben giusto che la controlleria sia reciproca.
XI. Che la madre sia contutrice, secondo lo vuole diritto naturale.
XII. Che il padre morendo elegga egli stesso un contutore, e la madre a sua volta elegga una contutrice ai suoi figli.
XIII. Che sia ammessa la ricerca della paternità, e soggiaccia alle prove legali, alle quali soggiace l’adulterio.
XIV. Che si faccia più severa la legge sulla seduzione, e protegga la donna fino ai venticinque anni.
XV. Che sia la donna ammessa alla tutela ed al consiglio di famiglia.
XVI. Che abbia la tutrice gli stessi diritti del tutore; e, dove v’abbia discordia, giudichi in prima istanza il consiglio, di famiglia, quindi il tribunale pupillare.
XVII. Che siano aperte alla donna le professioni e gl’impieghi. XVIII. Che possa la donna acquistare diritti di cittadinanza altrimenti che col matrimonio.
Se ho ammesse qua e colà delle limitazioni ai diritti competenti ad ogni cittadino, dichiaro esplicitamente, che non è già perchè io li sconfessi,
rispettivamente alla donna.
Ho già detto, ch’io credo dovere la donna apporre il suggello del suo genio sopra tutte le umane istituzioni, che fin qui non si possono che abusivamente chiamar tali, opera quali sono di una casta appartenente alla metà dell’uman genere; e non potrassi mai pensare altrimenti, finchè la specie nostra, come tutte le altre, sarà composta di due termini.
Se m’arresto a questo punto, e mi rassegno a queste limitazioni, gli è perchè, sono queste le riforme, che credo possibili e mature. Cosichè, pronta a rivendicare domani ogni altro diritto quando vedessi opportuno di farlo, m’arresto in oggi dove vedo nei pregiudizii generali, e nello spirito dei tempi ancora bambini all’attuazione delle dottrine del diritto, segnati i confini della possibile redenzione femminile.
Ma questo pochissimo è necessario ed urgente.
Se le nazioni vogliono camminare alla libertà, è duopo, che non si trattengano in seno terribile ingombro e potente avversario, un elemento impersuaso e malcontento così numeroso, qual’è il femminile.
Veda la donna associarsi la sua libertà a tutte l’altre, ed allora ella profonderà tesori di devozione e d’entusiasmo per la causa generale; ed è nella speranza e nel desiderio vivissimo, che questa verità sia compresa dai governanti, ch’io m’accomiato da voi, mie giovani sorelle.
Giovine io pure, sto spiando con ansio interesse l’apparizione d’ogni idea, che favoreggi in qualche senso la santa causa della libertà; e spero di tornarvi a stringer la mano, per congratularci mutuamente del progresso, che la dottrina del diritto avrà fatto fra gli uomini, ed anzitutto del bene, che voi avrete fatto all’umanità a giusto compenso dell’averla dessa in voi riconosciuta ed onorata.
Gli è in questa ferma fede che depongo la penna inviando, a nome di tutto il mio sesso, un saluto di simpatia ed un pubblico tributo di riconoscenza a tutti gl’ingegni dell’uno e dell’altro sesso, che propugnarono la causa della redenzione femminile colla parola e col fatto.
Onore e lode pertanto a voi, Giuseppe Mazzini, Salvatore Morelli, Ausonio Franchi! Grazie a voi tutti, scrittori della Ragione e della Révue Philosophique! Grazie a voi, Bazard, Enfantin, Léroux, Fourier, Légouvé, St. Simon, e Fauvety!
Grazie a voi tutti uomini generosi, che propugnate tutte le libertà e tutte le redenzioni, elevandovi sopra le meschine ispirazioni degli interessi; e che colla parola, colla penna o coll’opera, affermate i diritti della donna! Essa farà tesoro dei vostri nomi, e li tramanderà ai suoi figli e nepoti circondati di gloria e d’onore!
Grazie e grazie vivissime a Madama Sand, a Madama d’Hericourt, a Madama Deroin! Onore alle ceneri di madama Roland!
Onore a voi tutte, donne del progresso; che, trattando con gloria le arti e la penna, affermate col fatto l’attitudine e la capacità femminile!
Possa il vostro nobile esempio scuotere dall’inerzia la massa neghittosa, e chiamarle sul volto il rossore dell’aver tollerato in silenzio una sì lunga servitù.
FINE.