La Dalmazia e l'Italia: ora o non più
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LA DALMAZIA E L’ITALIA:
ora o non più.
Risposta ad alcune obbiezioni.
per cura dell’associazione nazionale pro dalmazia italiana
firenze
casa editrice italiana di a. quattrini
1915
LA DALMAZIA E L’ITALIA:
ora o non più.
Scriviamo pel popolo queste pagine, col cuore pieno di fede nella bontà della causa nostra, ma stretto altresì dal dolore e dall’umiliazione di dover difendere l’italianità di una terra che venti secoli di storia, i monumenti dell’arte, la favella degli abitanti, tutto concorre a far chiamare incancellabilmente nostra.
Anche gli stranieri, anche i nostri avversari, riconoscono la Dalmazia come italiana.
Quando lo Czar, il maggior monarca slavo, offriva al Governo nostro la cessione dei prigionieri austriaci di nazionalità italiana, tutta la stampa europea più autorevole, con a capo quella della Triplice Intesa, comprendeva esplicitamente i dalmati fra gl’irredenti italiani da restituirci.
Solo pochi uomini nostrani s’affannano a volere assegnare gratuitamente la Dalmazia ai croati ed ai serbi. Sull’ara della futura alleanza italo-slava si vuol sacrificare un lembo palpitante della patria ed un manipolo di eroi.
Noi desideriamo di rispondere succintamente alle obbiezioni che ci si muovono. Vogliamo che il popolo si persuada della bontà delle ragioni etniche, storiche linguistiche, militari che suffragano la causa nostra. Vedremo ciò che si potrà rispondere ai fatti ed alle cifre.
Il bel paese là dove il sì suona.
I. La Dalmazia, affermano i nostri contradditori, non appartiene geograficamente all’Italia. È questo il loro argomento principe. Non disse forse Dante che il Quarnaro bagna i termini d’Italia?
L’obbiezione è più apparente che reale. L’Italia è il «bel paese là dove il sì suona»: essa non è una regione fisica, ma una regione etnografica-storica. I versi dell’Aleardi «Iddio con immortali Caratteri di monti e di marine Ha segnato le patrie», sono soltanto dei bei versi, scientificamente parlando. I confini delle nazioni e degli stati voglion essere stabiliti col criterio, lentamente variabile nel tempo, della comunanza di storia, di tradizioni, di sentimenti della maggioranza della popolazione, o della sua parte intellettualmente e socialmente più progredita; comunanza attestata di solito, ma non sempre, dalla lingua.
E poi, si vuol forse sostenere che geograficamente la regione dalmata appartenga alla Croazia? No, certamente, perchè da essa la dividono nientemeno che i Monti Velebit e le Alpi Dinariche. Forse alla Serbia? Meno che meno: catene altissime di montagne separano le due regioni. Se mai, secondo il sogno del maggiore dalmata moderno, la Dalmazia potrebbe costituire uno Stato autonomo, vero ponte fra l’Europa occidentale e la Balcania. Nobile utopia pure questa, da relegarsi per ora nel mondo delle chimere, se non vuol ripetersi la triste esperienza della povera Albania e del tragicomico principe di Wied!
Si grida all’ingiustizia contro coloro che parlano di una Dalmazia italiana, ma i nostri buoni avversari non si scandalizzano affatto di vederla appartenere alla lontana ed estranea Austria. Ci dicano piuttosto se, fisicamente e linguisticamente, credano francese l’Alsazia, per la quale la Francia ha aspettato mezzo secolo la sua rivincita, se credano serba quella Macedonia, per cui la Serbia giuoca la sua stessa esistenza in questo momento. E pure la Dalmazia è straordinariamente più italiana di quel che non sia francese l’Alsazia o serba la Macedonia. La Francia non ha avuto Strasburgo che ai tempi di Luigi XIV, cioè due secoli fa o poco più: prima era terra tedesca. L’Italia ebbe sua la Dalmazia ancor avanti dell’èra volgare, e, a traverso le dominazioni romana e veneta, può dirsi non l’abbia più lasciata fin quasi ai nostri giorni, vale a dire fino Campoformio.
Un irredentismo slavo?
II. Un altro argomento che ci si oppone spesso è questo: annettendo la Dalmazia all’Italia avremmo inevitabilmente un irredentismo slavo da fronteggiare.
Certo, non può negarsi che entrerebbero a far parte della famiglia nostra non poche migliaia di slavi, croati e serbi. Ma noi domandiamo se una nazione di quaranta milioni di individui, una nazione civile ed illustre, debba temere la presenza di una trascurabile minoranza estranea. Anche a tacere del fatto probabilissimo che i sedicenti slavi di Dalmazia s’italianizzerebbero ben presto in gran parte (la loro non è che una vernice slava, ma in fondo sono dei dalmati e nient’altro), l’Italia darebbe loro una così ampia libertà di cultura, di scuole, di vita nazionale (vedasi l’esempio delle molte decine di migliaia di albanesi, di sloveni, di valdostani viventi indisturbati e soddisfatti fra noi), che ogni timore di future agitazioni è irragionevole. E ci si dica di grazia se i vari popoli slavi, che mirano ad impadronirsi di Trieste, di Fiume, di Zara si son mai preoccupati dell’irredentismo italiano che inevitabilmente seguirebbe.
Sempre così, i nostri dottori: piangere non richiesti sui torti fatti ad altri, e non darsi cura dei sacrifici ingiusti dei loro connazionali!
Gli abitanti della Dalmazia.
III. Si afferma che la Dalmazia è popolata quasi esclusivamente da serbo-croati.
Innanzi tutto, invitiamo il lettore a non prestare una fede assoluta ai censimenti manipolati dall’Austria. Gli italiani sono stati macellati come pecore. Era nel piano dell’Austria lo slavizzare con ogni mezzo lecito o illecito la nobile regione. Quindi truffe nell’anagrafe, truffe nei risultati elettorali, cambiamenti forzati di nomi di persone e di luoghi, soppressione barbara di tutte le scuole italiane. Dove il municipio è slavo si sopprimono, sulla carta, i nostri connazionali. La verità è che, su seicentomila dalmati, circa i due terzi sono montanari, morlacchi o uscocchi estremamente rozzi, privi di qualsiasi sentimento di nazionalità: e di loro una parte di origine valacchi, affini ai romeni. Dei restanti duecentomila, cioè la parte relativamente colta e cosciente della Dalmazia, una metà hanno una cultura ed una civiltà miste, slava e italiana (con enorme prevalenza di quest’ultima); gli altri sono in gran maggioranza italiani: sessantamila contro forse quarantamila slavi. Le nostre cifre non sono sballate a caso. Gl’italiani han raccolto nelle ultime elezioni a suffragio universale oltre seimila voti. Siccome appena il 50 per cento degli elettori si presentò alle urne, può calcolarsi che gl’italiani aventi diritto di voto sieno almeno dodicimila. E siccome, in Austria e altrove, fu matematicamente calcolato esservi in media un elettore ogni cinque abitanti, è facile stabilire che i nostri connazionali dalmati sono, nella peggiore delle ipotesi, sessantamila. Ad ogni modo gli italiani prevalgono assolutamente nelle città costiere, ove si accentra la vita e la civiltà di Dalmazia.
E almeno gli slavi dalmati fossero tutti compatti, formassero un gruppo unico e solido contro la latinità! Essi sono straziati da insanabili dissidi politici, etnici e religiosi: al nord e al centro sono partigiani dell’unione con la Croazia, austriacanti e cattolici; al sud si proclamano apertamente serbi, adoperano i caratteri cirillici, odiano mortalmente i croati e sono di religione greco-ortodossa. Vi è fra croati e serbi un abisso incolmabile, che porterebbe inevitabilmente, alla guerra civile permanente, tipo macedone. Si «balcanizzerebbe» la Dalmazia, cioè si farebbe decadere senza rimedio, cedendola agli slavi.
I quali poi, sia detto ben chiaro, non sono che degli immigrati. La popolazione indigena dalmata è d’origine italica, e quando, verso il mille dell’èra nostra, dal volgare latino si formarono lentamente gli attuali idiomi romanzi (l’italiano, il francese, lo spagnuolo ecc.) in Dalmazia nacque e fiorì un dialetto italiano, il dalmatico, vissuto fino ai dì nostri (il Bartoli ne ha pubblicata una grammatica e un glossario), ora scomparso solo per cedere il posto al.... veneziano, come a Trieste e come quasi dappertutto altrove. E anche i sedicenti slavi (spesso italiani rinnegati, perfino italiani del regno dimentichi della loro origine) parlano comunemente fra loro l’italiano, e soltanto l’italiano.
L’eroica resistenza italiana.
IV. Ma gli italiani di Dalmazia, sento dirmi malignamente, non sono irredentisti; essi non agognano ad aggregarsi alla madre patria: temono forse un peggioramento economico. (Si noti che la Dalmazia è la peggio trattata delle terre soggette all’Austria; che Vienna per ragioni politiche l’ha fatta mancare di strade, di ferrovie, di industrie, di commerci, e che venendo a noi sarebbe socialmente ed economicamente rigenerata).
Turpe menzogna, che troppo spesso si ripete per Trento, per Trieste, per Zara! I sacrifici che gli italiani di Zara e delle altre città dalmate han fatto per serbar sè all’Italia, sono semplicemente meravigliosi. Stretti tutti intorno alla bandiera della «Lega Nazionale» essi hanno eroicamente lottato contro l’Austria e contro la marea slava. Tutte le scuole italiane, eccetto a Zara, sono state soppresse dalle autorità (e ciò in un paese dove la lingua nostra è sovranamente preponderante). Ebbene gli italiani, con privazioni e con sforzi incredibili, son riusciti a mantenere scuole italiane a Spalato, a Sebenico, a Borgo Erizzo, a Curzola. Han fondato a Zara un Collegio Convitto per i giovani che frequentano le scuole medie: asili infantili e ricreatorii dappertutto. Zara, una città ove gl’italiani non son più di diecimila, dà sessantamila corone annue alla «Lega Nazionale»: qualche cosa come se Napoli desse quattro o cinque milioni all’anno alla «Dante Alighieri»! A Spalato in una sola notte, al ballo della Lega, si raccolgono circa quindicimila corone!
In ogni secolo la Dalmazia ha prodotto dei forti ingegni, i quali si sono tutti illustrati nell’arte, nelle scienze, nelle lettere italiane, non mai in quelle croate o serbe. È dalmata Luciano da Laurana, illustre architetto del Rinascimento, maestro del Bramante, autore del meraviglioso Palazzo ducale di Urbino; è dalmata il più insigne conoscitore dei tesori della lingua italiana, Nicolò Tommaseo. Fra i contemporanei, sono dalmati Arturo Colautti, scrittore di eccezionale robustezza, e Antonio Cippico, docente di letteratura italiana negli atenei inglesi. Che possono contrapporre gli slavi di Dalmazia ad una così meravigliosa fioritura di ingegni prettamente italiani?
La Serbia e l’Adriatico
V. Ma la Serbia, si dice ancora, ha diritto ad uno sbocco sull’Adriatico. E chi nega il riconoscimento di questa legittima aspirazione serba? Se al valoroso, eroico Stato non basteranno le coste settentrionali dell’Albania coi porti di Durazzo e di S. Giovanni di Medua, l’Italia potrà generosamente accordare anche, contro qualche compenso da stabilire, una parte della costa della Dalmazia meridionale, ricca di golfi e d’insenature meravigliosi. Quella parte del litorale dalmata che si stende a sud delle foci del fiume Narenta può essere fraternamente divisa fra i due popoli, fra le due civiltà. Noi non neghiamo il diritto dei Serbi, ma non vogliamo che ad esso si sottoponga quello ben più saldo, ben più fondato degli Italiani. Le nazioni forti e fiduciose del loro avvenire possono trattare da pari a pari con le altre, non già rinunciare preventivamente e gratuitamente a tutto quanto loro spetta. Egual cosa si dica per un eventuale sbocco marittimo della Croazia, a sud di Fiume fino ad Obrovazzo. Non sarà già l’Italia di Mazzini e di Garibaldi che vorrà conculcare gli altrui diritti, deludere le speranze altrui.
⁂
Prima di chiudere questo breve scritto, che vorremmo inspirasse nel popolo un poco di quella fede che ci anima, desideriamo far presente agli italiani anche un’altra considerazione importantissima. L’Adriatico non appartiene in realtà se non a chi è padrone della Dalmazia. Se l’Italia permetterà che un altro Stato possegga i porti magnifici, le baie sicure, i ricoveri inaccessibili delle mille isole e della costa di Dalmazia, avrà rinunciato per sempre alla difesa non irrisoria della sua sponda da Venezia a Santa Maria di Leuca, sponda tutta pianeggiante, tutta aperta, completamente priva di porti ampi e di basi sicure per la sua flotta.
Lontani come siamo da ogni sentimento di imperialismo, rispettosi delle straniere nazionalità, amici dei popoli slavi finchè restano in casa loro, noi diciamo all’Italia che con sicura coscienza essa può rivendicare a sè la terra di Dalmazia, sua per tradizione due volte millenaria, sua per la schiatta degli abitatori primi, sua per le incancellabili vestigie dell’arte e delle lettere, sua per il dialetto italico ivi spontaneamente rampollato dal tronco latino, sua per le necessità insopprimibili della sicurezza e della pace avvenire di tutta quanta la nazione.
Fermamente decisa a rispettare i diritti dei nuclei slavi che saranno incorporati, l’Italia non può permettere che il martirio dei suoi nobili figli di Zara, di Sebenico, di Traù, di Spalato e delle altre città dalmate sia stato invano sofferto. L’ingiusta onta di Lissa dev’esser vendicata dagli italiani se non vogliono diventare l’ultimo dei popoli, se hanno serbato in cuore fede nei destini della Patria e della Giustizia.
AURIFEX.