La Chioma di Berenice - Discorsi e considerazioni (1913)/Nota

Nota

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Discorso quarto - Della ragione poetica di Callimaco Considerazione prima - Epistola di Catullo ad Ortalo

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NOTA

Di due altre versioni ho saputo, dopo ch’era giá stampato il Discorso primo, ove s’è detto di quelle che mi eran note. Una in terzine, di Saverio Mattei; l’altra in versi sdruccioli, del Pagnini. Ecco alcun saggio della prima.

Versi del testo 7-9; della nostra versione 6-12:

                    Me quell’istesso ancor saggio Conone
               splender giá vide, e a tutti afferma e dice
               ch’io son nella celeste regione,
                    Io che chioma giá fui di Berenice:
               ma poi le bianche braccia al ciel distese,
               e offrimmi a ’numi in voto, ahi! l’infelice.

Ma non è prezzo del tempo il proseguire a leggere ed a confrontare. Bastavano i nomi di Saverio Mattei e del benemerito abate Rubbi ὁ πάνυ, che raccolse questa versione nel suo Parnasso de’ traduttori, per persuaderci ch’ella dovea pur essere una cosa sguaiata.

Il metro eletto dal Pagnini snerva il vigore e la maestá latina. Due passi male intesi vedili notati nelle note ai vv. 67-8 e 77-8. Gli altri, ove intende diversamente da noi, sono i seguenti: Versi del testo 9-11; della versione 11-14:

          E dessa, a molti dii le terse e nitide
          braccia tendendo, in voto allor promisemi
          che il re distretto appena a lei co’ vincoli
          d’Imeneo..

.

Versi del testo 21-22; della versione 27-29:

               Forse non tu solinga il letto vedovo
               ma del caro german
l’amara e flebile
               division piangesti.

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Ove vedi la nota.

Versi del testo 33-36; della versione 42-45:

          Quali impromesse allor non senza vittime
          taurine festi a ciascun dio, se al patrio
          suol ritornasse il caro sposo e l’Asia
          doma in breve aggiungesse al regno egizio.

Versi del testo 43-44; della versione 52-55:

               Per lui quel monte sovra tutti altissimo,
               cui la chiara calcò di Ftia progenie.

Vedi la nota.

Piena d’eleganze italiane è questa traduzione; ma cede di molto a quella esatta, dello stesso autore, degli Inni di Callimaco, ed alla bellissima de’ Buccolici, la quale io reputo unico esemplare di versioni dal greco.

Parmi piú schietta quella del Conti. I passi confutati vedili nelle note ai vv. 20-22: ne’ seguenti traduce diversamente da noi.

Versi del testo 13-14; della versione 15-1S:

               Portando impresse le vestigia dolci
               della rissa notturna, poiché sciolta
               la fascia verginal ebbe a la suora.

Versi del testo 51-54; della versione 63-68:

               ... Le poc’anzi tronche
               chiome mie suore il mio destin piatigeano,
               quando l’alato corridore locrico
               ad Arsinoe s’offerse.

Ed in una nota si scolpa egli di avere chiamato piuttosto «locrico» il vento anziché Arsinoe, perché nella Magna Grecia, abitata da’ locri, domina appunto Zefiro. Vedi la nostra interpretazione.

Versi del testo 89-92; della versione 102-106:

          Tu, reina, qualor, mirando in cielo,
          venere placherai ne’ dí solenni,
          non offrir sangue a me che a lei non piace;
          non far ch’io sia senza profumi, e tuo
          nume mi rendi con piú larghi doni.—

Del bifolco arcade s’è veduto abbondantemente nella nota ai vv. 53-4.