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274 | vi - commento alla «chioma di berenice» |
Versi del testo 33-36; della versione 42-45:
Quali impromesse allor non senza vittime
taurine festi a ciascun dio, se al patrio
suol ritornasse il caro sposo e l’Asia
doma in breve aggiungesse al regno egizio.
Versi del testo 43-44; della versione 52-55:
Per lui quel monte sovra tutti altissimo,
cui la chiara calcò di Ftia progenie.
Vedi la nota.
Piena d’eleganze italiane è questa traduzione; ma cede di molto a quella esatta, dello stesso autore, degli Inni di Callimaco, ed alla bellissima de’ Buccolici, la quale io reputo unico esemplare di versioni dal greco.
Parmi piú schietta quella del Conti. I passi confutati vedili nelle note ai vv. 20-22: ne’ seguenti traduce diversamente da noi.
Versi del testo 13-14; della versione 15-1S:
Portando impresse le vestigia dolci
della rissa notturna, poiché sciolta
la fascia verginal ebbe a la suora.
Versi del testo 51-54; della versione 63-68:
... Le poc’anzi tronche
chiome mie suore il mio destin piatigeano,
quando l’alato corridore locrico
ad Arsinoe s’offerse.
Ed in una nota si scolpa egli di avere chiamato piuttosto «locrico» il vento anziché Arsinoe, perché nella Magna Grecia, abitata da’ locri, domina appunto Zefiro. Vedi la nostra interpretazione.
Versi del testo 89-92; della versione 102-106:
Tu, reina, qualor, mirando in cielo,
venere placherai ne’ dí solenni,
non offrir sangue a me che a lei non piace;
non far ch’io sia senza profumi, e tuo
nume mi rendi con piú larghi doni.—
Del bifolco arcade s’è veduto abbondantemente nella nota ai vv. 53-4.