La Canzone del Paradiso/IX. Lusignuolo e Falconello

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IX.
LUSIGNUOLO E FALCONELLO

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Or ella va con la canestra in capo,
lungo la verde Savena, ai serragli,
alle aspre porte, alla città turrita,
recando l’uva paradisa, d’oro.
5Ora non canta: canta sì la verla;
fischiano sì le pispole di passo;
anco le rondini: elle vanno in branco
dolce garrendo a ripulirsi al fiume.
Vede ella i meli rosseggiar di pomi,
10vede curvare i peri a terra i rami;
l’api bombire, ode ronzar le vespe
e i calabroni in mezzo al dolce fico.
Ella non canta, ma le canta il cuore,
che c’era un re ch’era di giorno un uomo,1
15ma diventava capougello a sera;
volava allora ai boschi ai campi ai fiumi.

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E Flor d’uliva lo sapea, chè sempre,
sull’imbrunire, qua e là, sentiva
parlar più forte, tutti insieme, a gara,
20perchè piatìano innanzi al re, gli uccelli.
In cuore ha il re, ch’ora ha rimesso l’alie,
per certo, e vola al regno suo lontano,
al suo castello in mezzo al mare azzurro,
il falconello, e il cielo empie di gioia.2
25O forse è là, tra i suoi cavelli d’oro,
in mezzo ai conti, ch’hanno il pugno al mento,
     che dorme per incantamento...

E Flor d’uliva giunge al limitare,
all’alte scale del Palagio nuovo;
30e qui Zuam Toso la sogguarda e dice:
«Già t’ho, ricordo, a Santo Zuam, veduta».
«Eo son Lucia, ma detta Flor d’uliva,3
da Vidaliagla» ella risponde: «sclava
non più, misèr, sì libera...» «Va, dunque.
35Scritto è ’l to nome già nel Paradiso».4
Ella non sa: monta le scale, ed entra,
da niuno vista, dove alle pareti
stanno addossati i muti cavalieri.
Stante, in un raggio è fiso il Re, di sole.
40E Flor d’uliva presso a lui depone

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la sua canestra, e scopre dalle arsite
pampane i cerei grappoli dell’uva,
tacitamente. Ed ha il corollo in capo.
Il Re si volge a lei che aspetta e tace,
45con sui morati riccioli le rosse
pampane; l’uva al piè si vede; e guarda
lei. Gli occhi neri scontrano gli azzurri.
«Deh! forosella, eo già te vidi ’n sogno,
ch’ero addormito, e tu portasti fiori
50et erbe e frutta. Et eo sognavo un campo
grande, di grano. E da le folte spighe
spuntavi, come un flore, tu; vestita
non più che un fiore. E c’era il sole e il vento,
     e l’ire o stare a suo talento».

55Re Enzio prende un grappolo dorato,
e dolcemente gli acini ne spicca,
zuppi di sole. E poi riguarda e dice:
«Apersi gli ocli ma tu plu non c’eri.
Seppi, qual eri. Io prigionier, tu sclava».
60E Flor d’uliva: «Ora non plu! Riebbi
la libertà... Non anco vui, meo Sire?»
Ed Enzio dice: «Eo m’era il Falconello
d’un tempo: aveva il vento tra i cavelli
e il sole entorno. Apersi li ocli un tratto:

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65non c’eri plu...» «Ma sono a vui tornata».
Ed Enzio dice: «Or viemmi dietro e taci».
E s’incammina ver’ la sua cellata:
dietro ai suoi passi muove Flor d’uliva:
segue il Re morto, uscito dal lavello,
70pallido, sì, chè v’era da sette anni,
et or la schiava va con lui che l’ama.
L’ha tanto amato, e notte e giorno ha pianto;
tre notti e giorni sotto l’arcipresso,
mescendo a gara, più della fontana.
75Or è con lui nel grande suo palagio.
Nullo divieto i giovani custodi
fanno, per la dolcezza del lor sangue.
Dicono: «E noi sediamo a tavoliere».
«Ben ha ghermito» dice Bonfiliolo
     80«il falconello il lusignolo».

Note

  1. [p. 85 modifica]Trasformazione solita nelle novelline e fiabe. Vedi, per es., Novelle Pop. Tosc. del Pitrè. (Firenze, 1885, pag. 27, e al.).
  2. [p. 86 modifica]È ora di chiarite questo “falconello„. — Questo Henzio era somigliantissimo al padre, prode sin troppo, largo, attivo, cortese... Falconello fu detto Henzio, perchè era pronto a tutto, agile di sua persona. — Thom. Tusc., 515, citato nel Koenig Enzio di H. Blasius (Breslau, 1884).
  3. [p. 86 modifica]Lucia da Viadàgola (nelle antiche carte Vidaliagla da Vitaliacula). Ricorro al solito libro del Frati (La prig. del r. E., pag. 12 e segg.): — Leggesi in una cronaca bolognese del secolo XV quest’aneddoto come segue: “Nota che il ditto Re se inamorò di una contadina da Viadagola che havea nome Lucia; la qual era la più bella giovine che si potesse vedere, e quando la ditta Lucia veniva in piazza il Re diceva: anima mia, ben ti voglio. Pietro Asinelli, che ogni giorno stava con lui, si adoperò e la fe’ venire dal Re, et in somma se ingravidò e partorì un putto maschio et posele nome Bentivoglio. Del quale ne discese la nobil casa di Bentivoglio„. Già fu osservato dal Sansovino e confermato dal Litta, dal Blasius e da altri, che questa leggenda non ha alcun fondamento di verità. Troviamo infatti che la famiglia Bentivoglio ha un’origine assat più antica... — Sta bene, ma inventata di sana pianta la storiella non pare. Per compiacere ai Bentivoglio l’inventore avrebbe cercato e facilmente trovato qualcosa, a suo parere, di meglio che una bella contadina. E in fine Enzio ebbe pure in sua prigionia due figlie! Su che vedi il medesimo Frati, a pag. 36.
  4. [p. 86 modifica]Nel libro, voleva dire Zuam, intitolato Paradisus voluptatis, Vedi nota a pag. 35 e segg.