L'eroina di Port Arthur/9. La spia giapponese
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9. LA SPIA GIAPPONESE
Shima e Yamaga, dall'alto del faro, avevano assistito, col cuore trepidante, al formidabile duello impegnatosi fra le artiglierie delle corazzate e degli incrociatori di Togo contro quelle delle navi russe e delle batterie costiere, ammirando soprattutto l'esattezza del tiro dei loro compatrioti che anche in quell'occasione avevano dato una prova evidente e si può anche dire stupefacente per gli stessi russi, dei loro meravigliosi progressi nell'organizzazione ed istruzione guerresca.
Mentre quasi nessuna delle enormi granate russe aveva colpito la squadra, le loro avevano invece prodotto danni rilevanti al prepotente nemico, completando così l'audace colpo di testa delle piccole torpediniere, mettendo, almeno pel momento, fuori combattimento due altre navi, la Diana e l'Askold, gravemente danneggiate nelle caldaie dall'ultima carica degli artiglieri giapponesi.
— Ecco un colpo che produrrà una impressione enorme in Europa — disse Yamaga quando l'ultima nave giapponese fu scomparsa fra le nebbie dell'orizzonte. — Togo darà da fare a questi maledetti barbari del lontano Occidente. Cinque navi rovinate. L'Imperatore non si attendeva certo un così brillante e rapido successo.
— E questa splendida vittoria si dovrà in parte alla Morioka di mio fratello — disse Shima cogli occhi fiammeggianti d'orgoglio.
— Sakya è valoroso quanto audace — rispose il giapponese. — Egli un giorno diverrà non meno famoso di Togo.
— Se sfuggirà alla morte — disse Shima con un sospiro. — Temo che Boris sarà fatale a tutta la mia famiglia.
— Ah! Quel russo di cui mi avete parlato. Chi è dunque costui?
— Un uomo che ha già ucciso mio padre — rispose Shima con voce sorda.
— Il gran daimio di Yokohama è morto! — esclamò Yamaga, impallidendo.
— Si è squarciato il ventre cinque giorni fa, per colpa di quel miserabile. Yamaga, trovatemi quell'uomo. Voglio sapere se egli si trova qui.
Pronunciando quelle parole la giovane aveva sul viso una tale espressione di selvaggia ferocia, che il giapponese ne fu profondamente colpito.
— Voi odiate quell'uomo, è vero, Shima? — disse.
— M'abbisogna la sua vita. Come un giorno l'ho immensamente amato, oggi altrettanto intensamente lo detesto, ed io e Sakya abbiamo giurato, sul cadavere ancor caldo di nostro padre, che non tornerà vivo nella sua patria.
— Ignoro che cosa vi ha fatto quel barbaro — disse Yamaga — pure voi potete contare interamente su di me, Shima. Volete sapere se egli si trova qui? Fra qualche ora ve lo dirò, ve lo prometto. Mi preme però che voi non vi lasciate vedere in città; i russi sono eccessivamente sospettosi e potrebbero notare la vostra presenza, quantunque non manchino qui le fanciulle cinesi. D'altronde nessuno verrà qui, essendo io solo il guardiano del faro.
— Non sospettano di voi, è vero, Yamaga?
— Finora no, ve lo dissi già, tuttavia dobbiamo usare la massima prudenza. Qui le spie si fucilano senza misericordia, senza nemmeno giudicarle e mi dorrebbe troppo esporre voi, così bella e così giovane, ad un simile pericolo.
— La mia vita appartiene alla patria.
— Anche la mia l'ho donata all'Imperatore — disse il giapponese — eppure è meglio conservarla il più che è possibile per rendere maggiori servigi al nostro paese. Addio, signora, e non inquietatevi se io tarderò. Ci sarà molta confusione in città dopo un simile avvenimento e non mi sarà facile scovare lì per lì quell'uomo. Io chiuderò a chiave il faro e chiunque si presentasse, non rispondete.
Yamaga strinse la mano alla fanciulla e scese frettolosamente le scale. Un colpo sordo annunciò a Shima che il giapponese se n'era andato.
— Se è qui, Boris troverà la sua morte — disse la giovane con voce cupa. — Morremo forse anche noi, ma nostro padre sarà vendicato e la sua anima riposerà tranquilla all'ombra della cupola azzurra del suo sepolcreto.
S'appoggiò all'enorme lampada che Yamaga aveva poco prima spenta e spinse i suoi sguardi sul mare.
Sulla limpida linea dell'orizzonte, verso il sud-est, si scorgevano vagamente delle nuvolette di fumo oscuro che non si potevano scambiare per nebbie.
— È la squadra di Togo che spia il nemico — mormorò. — Sì, distruggi questa razza maledetta che io così intensamente odio.
Volse gli occhi verso l'avamporto che in quel momento era solcato da numerose scialuppe che portavano verso le navi danneggiate dal fulmineo attacco delle torpediniere e dal bombardamento i comandanti, ed un sorriso di gioia le increspò le labbra.
La Czarewitch, il Rewisan e la Pallade giacevano presso la spiaggia, goffamente coricate sui loro fianchi squarciati dai siluri giapponesi. Per impedire che affondassero o che le onde le demolissero, i russi le avevano fatte arenare, e anche la Diana e l'Askold apparivano assai maltrattate.
Le loro torri erano a pezzi, l'alberatura giaceva sui ponti fracassata dalle enormi granate delle corazzate avversarie, insieme a gruppi di cadaveri atrocemente mutilati e che i russi, troppo preoccupati a constatare i danni subiti dalle loro navi, non avevano ancora tolti.
Era già da parecchio tempo che Shima contemplava quell'orribile spettacolo, quando vide salire il giapponese.
— Ciò si chiama aver fortuna — disse comparendo sull'ultimo pianerottolo della scala. — Non speravo di tornare così presto, signora.
— È qui? — chiese la fanciulla, muovendogli rapidamente incontro.
— Sì — rispose Yamaga, — e l'ho anche veduto, quell'uomo che tanto odiate.
— Sarà proprio lui?
— Non vi è nessun altro ufficiale fra la guarnigione di Port-Arthur che si chiami Boris, e poi so che egli è sbarcato dall'Amur e che veniva da Yokohama dove era addetto presso il consolato russo.
— È solo? — chiese Shima cogli occhi scintillanti.
Yamaga parve esitare un momento.
— Vi è una fanciulla con lui, è vero, Yamaga? — gridò Shima, afferrandogli le mani.
— Sì, e quello che è peggio, quella fanciulla è una nostra compatriota, una ghesha m'hanno detto. Ho anzi udito vagamente parlare di un prossimo matrimonio fra il tenente e quella donna.
Un rapido pallore si era diffuso sulle gote di Shima. Aveva chiusi gli occhi, come per impedire al giapponese di leggerle il pensiero che in quel momento la crucciava e quando li riaperse, erano umidi come se una lagrima li avesse bagnati.
— Piangete? — disse il giapponese profondamente commosso dall'espressione dolorosa della fanciulla.
— Tutto è passato — rispose Shima, posandosi una mano sulla fronte, come per allontanare un triste ricordo. — Non piango.
— Quella donna, quella ghesha, sarebbe stata vostra rivale?
— L'avete indovinato — rispose Shima.
— E quell'uomo ha preferito quella suonatrice a voi, figlia d'un gran daimio, bella come i nostri più bei crisantemi? E quella donna ha fatto piangere i vostri occhi? Io andrò a uccidere quella miserabile che ha osato sovrapporsi a voi e che si è unita ad un nemico della nostra patria. Lo volete, Shima?
La fanciulla lo guardò senza rispondere. Dall'espressione tetra del suo viso e dall'increspamento della sua fronte, si capiva che in quel momento una tremenda bufera imperversava sulla sua anima ardente e vendicativa.
— Non voi, io la colpirò — disse poi con un accento che fece fremere il giapponese. — A Sakya la vita di Boris, a me quella della ghesha.
— Voi, esporvi ad un simile pericolo? — esclamò Yamaga, con spavento. — Verreste subito scoperta e fucilata. Lasciate a me l'incarico di attirarla sulle calate e di affogarla nelle acque della baia. Lo volete, Shima? Anche se scoperto, nulla mi farebbero i russi, perché io sono per loro un cinese mentre quella ghesha è una giapponese che nessuno di certo vedrà di buon occhio qui.
Per la seconda volta la fanciulla era rimasta muta, come se un profondo pensiero la turbasse.
— Yamaga — disse ad un tratto, come se avesse preso una pronta decisione. — Voglio vedere quella donna.
— Voi! E se vi tradisse?
— Ho un pugnale nascosto nel petto e saprei servirmene.
— È una pazzia, signora.
— Voglio vederla, checché avvenga. Dove abita? L'avete saputo?
— In una casa situata presso la quarta calata. Me l'hanno mostrata ed ho veduto la ghesha sul terrazzo vestita come un'europea.
— Questa sera mi condurrete da lei.
— La troveremo sola? È bensì vero che questa notte tutti gli ufficiali saranno a bordo delle navi e delle torpediniere, onde tenersi pronti ad impedire ai nostri di forzare l'avamporto, tuttavia...
— Potrete informarvi se Boris sarà di servizio. Che cosa comanda?
— Una torpediniera, mi hanno detto.
— Allora sarà impossibile che questa sera si trovi presso la ghesha.
— Parrebbe anche a me — disse Yamaga. — E poi noi potremo ugualmente saperlo anche rimanendo qui.
— In qual modo? — chiese Shima.
— Mi hanno detto che comanda la Strakny, una torpediniera che io ben conosco. Se al tramonto la vedremo perlustrare l'avamporto noi potremo recarci con piena sicurezza presso la ghesha. Andate ora a coricarvi, Shima; voi non vi reggete più e avete estremo bisogno di riposo.
— Per essere più forte nella lotta — rispose Shima.
Yamaga la condusse nella sua cameretta dove vi era un comodo letto, le fece cenno di coricarsi, poi rinchiuse la porta e risalì nella cupola, mormorando:
— Povera fanciulla, le hanno spezzato il cuore.
E si mise in osservazione aspettando silenziosamente che la notte calasse. All'orizzonte fumavano sempre le torpediniere giapponesi, tenendosi fuori di vista, mentre nel porto i russi lavoravano alacremente intorno alle navi danneggiate e piazzavano grossi pezzi dietro le scogliere per premunirsi contro un nuovo attacco.
Il sole stava per tramontare in mare, quando Yamaga vide le torpediniere russe, che si erano rifugiate nel porto interno, sciogliere gli ormeggi.
— Si preparano a uscire — disse.
In quattro salti scese nella sua cameretta e chiamò Shima, dicendole:
— Affrettatevi, signora.
La fanciulla era già sveglia e si preparava a scendere dal letto.
— Che cosa succede, Yamaga? — chiese, ravviandosi con un sol colpo di mano i capelli.
— I russi lasciano l'ancoraggio e la Strakny fuma. Forse potrete vederlo sul ponte di comando o nella torre. Sarei più tranquillo se lo riconosceste. Almeno avremo in tal modo la sicurezza di sorprendere la ghesha sola nella sua casa.
Shima era diventata pallidissima come se il pensiero di dover rivedere quell'uomo le avesse dato un gran colpo al cuore.
Salirono fino alla cupola della lanterna e s'affacciarono ad una delle ampie finestre che prospettavano verso la rada.
Tutta la squadriglia delle torpediniere russe si avanzava in quel momento nell'avamporto dirigendosi verso l'alto mare per prendere probabilmente il contatto con quelle avversarie, e sorvegliare le mosse delle corazzate e degli incrociatori fumanti sempre all'orizzonte.
— Guardate la quinta — disse Yamaga. — È quella la Strakny.
Shima fissò i suoi occhi sulla torpediniera che il giapponese le indicava e mandò un breve grido soffocato.
Aveva scorto Boris, presso la torre di comando, con un cannocchiale in mano, che stava in quel momento puntando verso l'uscita dell'avamporto.
— È lui — disse con voce sorda.
— L'amate ancora o l'odiate? Ditemelo, signora — disse Yamaga.
— No, non l'amo più.
— Me lo giurate?
— Ve lo giuro, Yamaga.
— Sta bene.
Il giapponese scese rapidamente la scala, entrò nella sua stanza, poi risalì tenendo in mano un fucile Remington.
— Che cosa fate, Yamaga?! — esclamò Shima.
— Lo uccido — rispose freddamente il giapponese. — Non lo mancherò, non dubitate.
Shima gli abbassò l'arma.
— No — disse. — Quell'uomo appartiene a Sakya e non avrà la morte che per mano di mio fratello. E poi compromettereste me e voi, mentre Togo aspetta da noi dei servigi preziosi che daranno la vittoria alla sua flotta.
— Avete ragione — rispose Yamaga, deponendo l'arma. — Non avevo pensato che vi avrei perduta.
Seguì cogli occhi le torpediniere che filavano a piccolo vapore, poi, quando le vide scomparire dietro le scogliere, disse:
— Ceniamo, Shima, poi andremo dalla ghesha.