L'epopea della bonifica nel Polesine di San Giorgio/7

La palude irride i primi progetti

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Concepiti nell’incerta terra di confine tra la tecnologia d’avanguardia ed il sogno finanziario, i primi progetti dimostrano l’entità degli ostacoli da superare. Nelle difficoltà a tradurli in realizzazioni la palude protrae il proprio imperio sui polesini ferraresi, come testimonia una pagina emblematica di Raffaele Pareto, ispettore centrale delle bonificazioni e irrigazioni, che nel 1865 propone la medesima visione che ha evocato, con una prosa non meno eloquente, Giuseppe Forlani:

“…il Secondo Circondario può dirsi più disgraziato del primo, perché scaduto, nella sua parte bassa, da uno stato floridissimo in uno miserabile…Nello stato attuale, il Polesine di San Giorgio scola una piccola parte delle sue acque nelle valli delle Gallare di acqua dolce, che versano esse stesse nel Po di Volano, a più bassa marea, e la più gran parte delle acque nel Mezzano, valle estesissima, priva di acqua dolce e recipiente di scoli, ed ora salsa e peschereccia. Per questa ultima condizione, l’acqua vi si tiene alta in quei mesi dell’anno che più sarebbe utile averla bassa per gli scoli del Polesine, il quale vi immette le sue acque con numerosi canali. I proprietari accusano l’estensione della pesca nel Mezzano delle cattive condizioni in cui versano. La valle è separata, dai terreni coltivati, da un argine di cinta, ma questo non può trovarsi in contatto con lo specchio di acqua della valle, perché in tempo di burrasca i marosi vi depongono accanto limo, piccole conchiglie chiamate Capulerio nel paese e altre materie sollevate dai fondi…

I fossi di scolo del Polesine sono forniti di chiaviche al traversar che fanno l’argine di cinta, senza di che, quando le acque sono alte nella valle, verrebbero per riflusso ad inondare i terreni coltivati, ma anche quando sono basse, i detti fossi si trovano chiusi dalla spiaggia o gronda di materie accumulate dai marosi, e conviene aprirvi canaletti di scolo, che si colmano ad ogni nuova mareggiata. Aggiungasi che nella più gran parte dell’anno non possonsi aprire le chiaviche e fare scolare l’acqua, che allorquando un forte vento di levante spinge verso Comacchio le acque della gran valle e produce presso l’argine un sensibile sbassamento di livello…

Riesce quindi evidente che l’unico mezzo per redimere il Polesine di San Giorgio si è l’applicazione qui pure delle macchine idrovore.”