L'epopea della bonifica nel Polesine di San Giorgio/6

Le epiche disavventure del maggiore Merighi

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La storia della bonifica delle paludi ferraresi si illumina dei bagliori dell’epopea quando, all’alba del Regno d’Italia, nel 1863, il maggiore Vittorio Merighi, si unisce ad uno dei protagonisti delle prime esperienze idromeccaniche, il conte Francesco Aventi, e affida a Francesco Magnoni, “ingegnere primario” della Congregazione del primo circondario, il compito di produrre, a sue spese, un progetto generale per il prosciugamento di entrambi i comprensori palustri del Ferrarese. Dopo che i due soci hanno ottenuto, il 6 ottobre 1863, il consenso preliminare del Ministero di agricoltura, industria e commercio, Magnoni elabora piani organici per il prosciugamento del Polesine di San Giovanni e un progetto di massima per quello di San Giorgio, prevedendo di recuperare all’agricoltura, complessivamente, 100.000 ettari delle paludi a nord e a sud del Volano. Il progetto relativo al Polesine di San Giovanni è approvato dal Ministero col reale decreto 30 aprile 1865, che ne dichiara la pubblica utilità, il presupposto per l’esproprio dei terreni i cui proprietari non intendessero partecipare all’opera di prosciugamento.

Alla ricerca di finanziatori con cui condividere un’impresa che si prospetta di impegno immane, qualche mese dopo aver ottenuto la dichiarazione di pubblica utilità Merighi crede di individuare un’intermediaria preziosa nella contessa Teresa Gatteschi, gentildonna dal fascino prorompente, che dichiara di poter coinvolgere nell’impresa lord Westbury, il cancelliere dello scacchiere di Sua Maestà britannica, il cui solo nome sarebbe palesemente sufficiente ad assicurare all’impresa il supporto delle più solide banche della City. Come emissario dell’onnipotente Cancelliere, la gentildonna fiorentina presenta all’intemerato maggiore un gentiluomo viaggiatore, mister John Standley. I due soci ferraresi stilano con l’avvenente signora ed il suo partner d’affari un accordo societario l’8 luglio 1865. Il gentiluomo si rivelerà il più spregiudicato avventuriero internazionale: in buona sintonia con la nobildonna fiorentina si produrrà in una successione di operazioni che estrometterebbero dall’affare Merighi, che riuscirà a tutelare i propri diritti senza riuscire ad evitare, peraltro, colpi durissimi contro la realizzazione del grande progetto.

Il disegno dell’avventuriero con amicizie a Westminster e dell’aristocratica capace di manovrare nei ministeri di Firenze, allora capitale d’Italia, è diverso per i due comprensori da bonificare. Siccome per il primo Comprensorio Merighi e Aventi hanno presentato un progetto esecutivo, secondo le cronache oltre novanta disegni e progetti, la coppia avventurosa deve impedire che la propria società con Merighi acquisti i terreni la cui disponibilità è condizione dell’inizio dei lavori. Per il secondo comprensorio la gentildonna e l’avventuriero si propongono, invece, di sottrarre a Merighi i disegni preliminari, farli completare da tecnici al proprio servizio e presentare un piano esecutivo. Il primo obiettivo che conseguono è il secondo: ottengono da Merighi, nello spirito dell’intesa societaria, i disegni relativi al Polesine di San Giorgio e richiedono l’autorizzazione ministeriale a perfezionare un progetto esecutivo, che grazie alle amicizie della contessa, tra le quali preminente quella del senatore Vacca, viene rilasciata il 9 settembre 1865. La Congregazione del secondo circondario interviene a favore di Merighi invitando il Prefetto, il 28 settembre, a pretendere dai nuovi concessionari piani dettagliati, che la coppia ardimentosa, verificato che la bonifica del primo Circondario è impresa, essa sola, da pretendere tutte le risorse proprie e quelle degli amici di Firenze e Londra, non presenterà mai.

Mirano al secondo obiettivo informando Merighi, il mese successivo, che Lord Cancelliere verserà le somme che ha promesso per l’acquisto dei terreni necessari all’esecuzione del progetto solo se i terreni saranno intestati alla sua persona. Essendo la pretesa contraria agli accordi Merighi non si sottomette, rescinde, nel 1868, la società con la contessa e l’avventuriero, ma la mancanza della disponibilità dei terreni impedisce l’inizio dei lavori, provocando la decadenza della concessione, che nel 1870 risulta destituita di ogni valore.

Privo di finanziatori, decaduta la concessione, l’impavido maggiore non accetta la sconfitta, affronta, mentre la guerra franco-tedesca incendia il cuore del Continente, un fortunoso viaggio a Londra, reperisce altri soci, l’11 aprile 1871 firma a Firenze, con i mandatari della Public Works Construction Company Limited, una convenzione in base alla quale la società inglese realizzerà il progetto di Magnoni. L’intemerato maggiore si è liberato dei due avventurieri e ritiene di essersi assicurato, con l’accordo stipulato, soci capaci di realizzare la grande impresa. Perché la società inglese possa realizzare l’opera occorre, peraltro, che le sia rinnovata la concessione già rilascia a Merighi. Merighi imputerà a due parlamentari disinvolti, Pietro Torrigiani e Carlo Arrivabene, di avere suggerito ai plenipotenziari della società, l’ing. Atkinson Longridge e Ulysses Del Lungo, di denunciare l’inadempienza di Merighi al termine dei venti giorni concessigli per cedere la concessione assicurando che avrebbero suggerito al ministro Gadda di sottoscriverla dopo il termine contrattuale, quando Merighi sarebbe stato, ormai, escluso dall’affare. I soci inglesi avrebbero potuto usare, così, dei progetti di Merighi senza pagarli.

Il 20 luglio 1871 si costituisce, in un ufficio della City, The Ferrarese Land Reclamation Company Limited, di cui sottoscrivono il capitale di 300.000 sterline gli stessi soci del sodalizio che si era accordato con Merighi a Firenze. Uscito di scena l’intraprendente maggiore, gode i benefici dell’impiego dei progetti eseguiti da Magnoni l’antico socio di Merighi, il conte Aventi, che assume il ruolo di fiduciario ferrarese della società. Il fallimento della società angloitaliana, che nonostante l’astronomico capitale sottoscritto dovrà accettare la confluenza in una società torinese, dimostrerà la dubbiosa consistenza del sogno di Merighi, deciso a bonificare, con un duplice progetto, due comprensori uno solo dei quali assorbirà tanto denaro da costringere al fallimento il più solido connubio tra la finanzia inglese e quella italiana.

Come i più nobili, intemerati sognatori incapace di arrendersi all’evidenza, estromesso dai soci inglesi, Vittorio Merighi, che nell’impresa è verosimile abbia giocato le proprie fortune, non abbandonerà i propositi di bonificatore: se al primo cimento ha donato a onnipotenti finanzieri inglesi progetti costati decine di migliaia di lire, esperirà il secondo cimento beneficando uno degli affaristi più facoltosi d’Italia, l’ingegner Girolamo Chizzolini.