L'epopea della bonifica nel Polesine di San Giorgio/18

L’irrigazione

../17 ../19 IncludiIntestazione 28 giugno 2010 75% economia

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L’acqua è condizione di vita delle piante: se il suo eccesso ne impedisce lo sviluppo la sua carenza non costituisce ostacolo meno grave, se intensa e prolungata, alla loro produttività. Espulse dal comprensorio le acque stagnanti, le esigenze dell’agricoltura moderna, che non accetta le alee dell’irregolarità delle precipitazioni, hanno imposto di realizzare gli strumenti per irrigare le colture realizzate nelle antiche terre palustri.

Giorgio Ravalli, dirigente del Consorzio tra gli anni Sessanta e Settanta, presidente tra gli anni Ottanta e Novanta, ha sottolineato che nell’Ottocento le uniche esigenze di acqua delle campagne ferraresi erano correlate alle necessità di riempimento dei maceri, che richiedevano acque pulite, e a quelle di abbeverata dal bestiame. Necessità modeste, quindi, che venivano soddisfatte mediante piccole derivazioni dal Reno e dal Panaro.

Acque in quantità maggiore sarebbero state assicurate alla pianura ferrarese dalle chiaviche realizzate dal Consorzio di Burana alle Pilastresi, dalle quali una convenzione con il Magistrato del Po assicurava agli utenti ferraresi, il 19 aprile 1910, la disponibilità di 4 metri cubi al secondo. Non era un volume sufficiente alle esigenze di un territorio vasto quale la pianura ferrarese. Illustra, nei termini più problematici, la carenza d’acqua della pianura ferrarese, l’anno successivo, l’ingegner Pietro Pasini in una relazione sulle opere necessarie al compimento delle reti di bonifica:

“E’ fenomeno comune a gran parte delle bonifiche la deficienza delle acque e la loro pessima natura nei periodi estivi e di siccità. Le acque che a malapena rimangono nei canali in queste epoche, riscaldate dal sole, non mosse e rinfrescate da afflussi sotterranei, si guastano ed imputridiscono a segno di non poter essere utilizzate neanche per la macerazione della canapa.”

E’ un quadro desolante: dall’analisi che ha sviluppato Pasini desume la proposta di realizzare quattro sifoni nell’argine del Po, capaci di sommare il prelievo di 1 metro cubo al secondo. La misura dimostra che l’approvvigionamento idrico che i responsabili dell’epoca intendono assicurare non corrisponde ancora alle esigenze di distribuzione sistematica alle colture che pretende un’agricoltura moderna, per la quale l’irrigazione è elemento essenziale e imprescindibile.

Autentiche esigenze irrigue emergono tra le ragioni ispiratrici del progetto che, sollecitato da un memoriale del 1926, prevede la ristrutturazione della grande chiavica delle Pilastresi alla Stellata di Bondeno per rendere possibile l’attingimento di 67 metri cubi al secondo. Per la realizzazione viene costituito, nel 1930, un consorzio di secondo grado tra i consorzi ferraresi, il Consorzio generale di bonifica della Provincia di Ferrara. La concessione dell’attingimento sarà suggellata, peraltro, solo nel 1959. Nella ripartizione del volume complessivo tra i consorzi ferraresi, al Secondo circondario viene assegnata la disponibilità di 18,80 metri cubi secondo.

L’utilizzazione pressoché esclusiva dell’acqua irrigua nel comprensorio è, alla fine degli anni Cinquanta, la sommersione delle risaie. Il riso è coltura di tradizione antichissima nel Polesine di San Giorgio, dove per secoli è stata realizzata impiegando le acque stagnanti dei bacini privi di scolo. Nel comprensorio la coltura del riso è stata dichiarata insostituibile, tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta, da agronomi, pedologi e ingegneri idraulici, si può ricordare il professor Aldrovandi, su tutti i terreni anomali del comprensorio, di cui solo la sommersione può correggere le peculiarità negative: la salinità, la propensione all’aridità, conseguenze dell’ossidazione delle torbe. Nel 1953 i tecnici del Consorzio stimano che i terreni per i quali la risaia costituisce l’unica soluzione agronomica o la migliore utilizzazione possibile si estendano a 10.000 ettari, 2.850 posti a Valle Volta, 1.700 a Corba e Bastione, 3.800 nel bacino di Trebba, 2.400 nel bacino Ponti. Considerando che il riso può essere coltivato in rotazione, si calcola una superficie annuale di 2.600 ettari di risaie. I computi idraulici prevedono che la sommersione delle medesime superfici richieda la disponibilità di 15 metri cubi al secondo, la quasi totalità, quindi, dell’acqua a disposizione del Consorzio.

Nel 1947, l’irrigazione imponendosi sempre più come condizione per l’esercizio di un’agricoltura di produttività elevata e di redditività costante, il Consorzio intraprende un vasto programma per la distribuzione di acqua irrigua. Viene prevista l’irrigazione di 1.400 ettari a Valle Volta, di 2.700 a Corba e Bastione, di 6.200 nelle valli Trebba-Ponti e Gallare, di 2.300 nel comprensorio Masi. Le aree interessate corrispondono in parte cospicua alle superfici identificate per la coltura del riso, ma la corrispondenza non è assoluta.

Il progetto esecutivo per Valle Volta viene siglato nel 1947. Prevede la captazione dal Naviglio del Volano a Vecchio Sostegno di Tieni. Le opere sono ultimate nel 1955 con la spesa di lire 162.500.000. Il progetto per Corba e Bastione è approvato nel 1948, prevede una presa a Massafiscaglia. Nel 1955 i lavori hanno realizzato il 70 per cento delle opere, che saranno completate successivamente. Viene approvato nel 1948, inverce, il progetto per le Gallare e Trebba Ponti, dove entro il 1955 sarà speso 1,5 miliardi di lire, con la realizzazione di metà delle opere previste. Gli impianti saranno completati negli anni successivi. Nella realizzazione della rete di Trebba Ponti e Gallare viene impiantata un moderno sistema di condutture in pressione per l’irrigazione “a pioggia”, la pratica che consente un risparmio ingente di acqua rispetto alla “sommersione” diffusa nel comprensorio. Purtroppo la rete, che era stata estesa, con uno sforzo finanziario ingente, su 2.700 ettari, presenterà cospicui inconvenienti, e sarà abbandonata. Una nuova rete di distribuzione di acqua in pressione per l’impiego “a pioggia” sarà realizzata, successivamente, sui 2.500 ettari di Valle Pega. Nel 1950 il Consorzio del Secondo circondario redige, in collaborazione con quello di Valle Isola, non ancora accorpato, un progetto per l’irrigazione nel medesimo comprensorio, che verrà realizzato mediante l’appalto di tre lotti successivi di lavori, che saranno compiuti, relativamente, nel 1957, nel 1962 e nel 1970. Dove vengono coltivate piante fruttifere l’acqua non serve solo, in estate, per irrigare, serve altresì, all’inizio della primavera, nella prevenzione degli effetti del gelo. Quando le gemme hanno iniziato il rigonfiamento che precede il germogliamento l’abbassamento di temperatura sotto lo zero ne provoca l’alterazione o la morte. In condizioni meteoriche favorevoli alle gelate, irrorando, la notte, le chiome fino a quando la temperatura dell’ambiente si innalzi, si produce un velo di ghiaccio la cui formazione stabilizza la temperatura degli organi vegetali. Il Consorzio conduce le prime esperienze di servizio dei canali per distribuire l’acqua nel periodo del rischio, che non portano a scelte definitive per rendere la disponibilità idrica primaverile sistematica siccome distribuire acqua in funzione antibrina richiede un cospicuo impegno organizzativo, essendo le aziende frutticole disseminate sul territorio, e dovendosi utilizzare un numero cospicuo di canali per raggiungerne la totalità. Il pericolo delle brinate si manifesta, peraltro, sulle soglie della primavera, in una stagione in cui l’eventualità di grandi piogge impone un uso irriguo dei canali oltremodo controllato, per assicurarne comunque, in occasione di precipitazioni, la funzionalità primaria, costituita dallo scolo.

All’alba del nuovo Millennio il Consorzio dispone di una dotazione complessiva dal Po di circa 32 metri cubi al secondo, gestisce e manovra 37 prese di derivazione (23 chiaviche e 14 sifoni) e distribuisce l’acqua all’interno del comprensorio mediante una rete irrigua indipendente da quella di scolo, a quota dominante rispetto al piano campagna, dello sviluppo complessivo di 400 chilometri, e mediante l’impiego complementare di 1.200 chilometri di canali di scolo. L’acqua viene distribuita sul 40% della superficie mediante i tradizionali “rotoloni”, su un ulteriore 40% mediante la subirrigazione realizzata usando a scopo irriguo le reti di drenaggio, un sistema di grande economicità che nel comprensorio ha conosciuto la più vasta diffusione, caratterizzato, peraltro, da consumi idrici ingenti, sul 5% della superficie mediante moderni apparati ranger e pivot.

Nello scenario del nuovo Millennio l’acqua costituisce bene conteso da una pluralità di impieghi concorrenti, civili ed industriali, e si deve prevedere che sarà in futuro sempre più difficile assicurare all’irrigazione i volumi che è stato possibile fornirle in passato. Distinguendo, peraltro, il volume necessario ai processi fisiologici, 250 litri per chilogrammo di sostanza secca di una coltura di frumento, 166 per una coltura di mais, 700 per una coltura di medica, e verificato che i sistemi irrigui tradizionali impongono, a ragione della dispersione nel terreno e dell’evaporazione, di raddoppiare o triplicare i volumi richiesti in termini biologici, è palese che il contrarsi delle disponibilità imporrà la diffusione dei sistemi di microirrigazione, i soli in grado di avvicinare i volumi erogati a quelli corrispondenti alle esigenze fisiologiche. Nel primo decennio del Duemila la microirrigazione è diffusa, nel comprensorio, per la frutta, esperienze pionieristiche sono state realizzate, per le piante di pieno campo, per il pomodoro: in futuro è verosimile che la pratica dovrà estendersi anche a colture diverse, tra le quali la prima a sperimentare le nuove tecniche potrebbe essere quella del mais.

Il contrarsi delle disponibilità di acqua rispetto alle esigenze ha indotto il Consorzio, negli anni più recenti, a verificare le possibilità e le modalità di impiego delle acque reflue dei depuratori urbani, acque che uniscono ad un carico fertilizzante potenzialmente favorevole un carico inquinante che può comprendere sostanze nocive il cui accumulo nel suolo ne può determinare il progressivo degrado.