L'avvenire!?/Capitolo ventesimo

Capitolo ventesimo

../Capitolo diciannovesimo ../Capitolo ventunesimo IncludiIntestazione 5 ottobre 2016 100% Da definire

Edward Bellamy - L'avvenire!? (1888)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1891)
Capitolo ventesimo
Capitolo diciannovesimo Capitolo ventunesimo
[p. 114 modifica]

CAPITOLO VENTESIMO




Quello stesso dopopranzo Editta mi chiese alla sfuggita, se non avevo ancora riveduto il locale sotterraneo ove mi avevano trovato.

«Non ancora», risposi; «per dirvelo francamente, fino ad ora non ho avuto il coraggio di farlo perchè temevo che quella [p. 115 modifica]vista ridestasse vecchie memorie e mi facesse perdere il mio equilibrio».

«Oh sì», disse ella, «credo che avete fatto bene a non andarvi; avrei dovuto pensare a ciò e non parlarvene».

«No», aggiunsi, «mi fa piacere che ne abbiate parlato; il pericolo, se pur ve ne fu, esisteva soltanto durante i due primi giorni; a voi specialmente devo di essermi abituato a questo nuovo mondo e se volete accompagnarmi e scongiurare gli spiriti maligni, visiterò volentieri quella camera».

Editta ebbe dapprima alcuni scrupoli; ma poi, vedendo che lo desideravo proprio, acconsentì ad accompagnarmi. Dalla casa si poteva vedere, attraverso agli alberi, il terrapieno formato dallo scavo; sicchè, in due passi, giungemmo sul luogo. Ogni cosa vi era rimasta, come quando i lavori erano stati interrotti per la scoperta dell’abitante della camera; la porta soltanto era aperta e la tegola del tetto era ancora fuori di posto. Discendemmo il leggiero pendio ed entrammo nella stanza semioscura.

Tutto vi era disposto con lo stesso ordine da me veduto 113 anni addietro, prima di chiudere gli occhi. Stetti un pezzo silenzioso guardandomi intorno e la mia compagna mi osservava con un’aria inquieta e compassionevole; io le stesi la mano ed ella vi pose la sua, e le sue dita corrisposero con una tranquilla pressione alla mia stretta. Finalmente mormorò: «Non sarebbe meglio che uscissimo? Non dovete impressionarvi troppo; come ogni cosa deve parervi strana!»

«Al contrario», soggiunsi: «ciò che più mi sorprende si è di non trovar nulla di strano in tutto ciò».

«Nulla di strano?» ripetè ella.

«No, nulla», risposi. «Non provo l’agitazione che temevate per me e di cui io stesso mi credevo suscettibile prima di questa visita; comprendo tutto, ma non mi sento turbato e ciò non può stupirvi più di quanto sorprende me stesso. Da quella terribile mattina in cui mi soccorreste, ho evitato di pensare alla mia vita passata, come ho pure evitato di venire qui, per timore delle conseguenze. Io sono come un uomo che abbia tenuto immobile un membro offeso, per timore di dolore e che, provando di muoverlo, si accorge che esso è impedito». [p. 116 modifica]

«Credete di aver dimenticato?»

«Niente affatto: mi ricordo di tutto quanto ha relazione con la mia vita trascorsa; ma senza provarne alcun sentimento vivace; mi ricordo chiaramente di tutto, come fosse ieri, le mie impressioni però sono talmente deboli che mi sembra che i miei sensi siano invecchiati di cent’anni. Forse tutto ciò si spiega benissimo: l’effetto prodotto da un cambiamento in quanto ci circonda, somiglia a quello di un tempo lontano; ci pare che il passato stia ad una gran distanza. Quando mi destai, la mia vita antecedente mi parve datare dal giorno prima, ora invece che mi son famigliarizzato con tutti i maravigliosi cambiamenti operatisi nel mondo, rendendomene conto, mi sembra cosa facile il persuadermi che ho dormito un secolo. Potete figurarvi una cosa simile: vivere cent’anni in quattro giorni? Mi sembra proprio che sia così e quest’esperienza mi fa parere assai lontana ed impossibile la mia vita passata. Potete voi comprendere come sia ciò?»

«Lo comprendo,» rispose Editta pensosa, «e credo che dobbiamo tutti essere lieti di ciò, chè così vi saranno risparmiati molti dolori».

«Immaginate,» dissi, sforzandomi di spiegarle la stranezza del mio stato mentale, «immaginate che un uomo sappia dopo molti anni, una mezza vita, di aver subito una perdita; credo che i suoi sentimenti somiglieranno ai miei. Se penso ai miei antichi amici ed al dispiacere a loro cagionato dalla mia scomparsa, sento per loro una seria pietà, piuttosto che un vero dolore, come se si trattasse di un lutto molto lontano».

«Non ci avete ancora detto niente dei vostri amici,» disse Editta, «ne lasciaste molti a piangere la vostra morte?»

«Non avevo, grazie al cielo, che pochi parenti, soltanto alcuni nipoti,» replicai. «Ma v’era una persona, che non mi era parente, ma io l’amava più che qualsiasi altro congiunto; si chiamava come voi e doveva fra breve divenir mia moglie».

«Oh poveretta!» sospirò Editta, «quanto deve aver sofferto!»

La profonda compassione dimostratami da quella cara fanciulla, fece vibrare una corda nel mio cuore, e i miei occhi si empirono [p. 117 modifica]di lagrime che lasciai scorrere. Quando mi fui calmato, osservai che ella pure aveva pianto.

«Dio benedica il vostro tenero cuore», dissi. «Desiderate vedere il suo ritratto?»

Portavo al collo un piccolo ciondolo appeso ad una catenella d’oro; in esso stava il ritratto di Editta Bartlett, ritratto che, durante il mio lungo sonno, era rimasto poggiato sul mio cuore; lo aprii e lo porsi alla mia compagna. Essa lo prese con islancio e guardò lungamente quel volto soave, quindi se lo appressò alle labbra.

«Era buona e cara, e merita certamente le nostre lagrime,» disse, «ma pensate che il suo dolore ha cessato da un pezzo, e che, già da quasi un secolo, ella è in cielo».

Sì, ciò era vero. Per quanto grande sia stato il suo dolore, è già un secolo che ella ha cessato di piangere: la mia subita commozione si calmò e le mie lagrime cessarono di scorrere. Editta Bartlett era stata molto cara nella mia vita passata; ma da allora erano scorsi cento anni!

Forse si troverà che questa confessione indica mancanza di sentimento; io però credo che, chi non si è trovato nel mio caso, non può giudicarmi. Mentre ci accingevamo ad uscir dalla camera, i miei sguardi caddero sulla gran cassa-forte, resistente al fuoco, posta in un angolo; la feci osservare alla mia compagna e dissi: «Questa non fu soltanto la mia camera da letto; ma anche la mia tesoreria; in quell’armadio vi sono parecchie migliaia di dollari ed una grossa somma in carte-valori. Se, coricandomi quella sera, avessi saputo di fare un sonnellino tanto lungo, sarei stato con animo tranquillo pei miei futuri bisogni, perchè l’oro ivi racchiuso poteva certamente bastarmi. Non sarei mai giunto a supporre che sarebbe venuta un’epoca, in cui l’oro avrebbe perduto il suo valore; eppure ecco che mi sono trovato, svegliandomi, in mezzo ad un popolo dal quale, per un carro di oro, non otterrei un solo pane».

Come era da aspettarsi, ciò non parve ad Editta una cosa straordinaria; ella chiese soltanto: «Perchè mai dovrebbe essere altrimenti?»