L'astronomo Giuseppe Piazzi/Capitolo VIII
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VIII.
Tramontata allora, per non più risorgerò, su’ campi sanguinosi di Waterloo, la stella napoleonica, trascinava in sua caduta l’impero del Cesare novello, di quell’uomo che compì grandi imprese, e commise moltissimi errori. I monarchi da esso lui spodestati risalirono su’ troni degli avi: a Napoli tornarono i Borboni, a Torino casa di Savoja, i Lorenesi a Firenze; Modena venne data a un principe austriaco, Francesco, erede di Ercole Rinaldo, duca Estense; Parma e Piacenza alla sposa dell’illustre prigioniero di Sant’Elena, Maria Luisa, pur essa di casa d’Austria; il pontefice Pio VII, liberato di sua cattività in Francia, riedè a Roma; Genova passò al Piemonte; Venezia con la Lombardia venne congiunta all'impero d’Austria, la cui preponderanza durò funestissima al «Bel Paese» sino ai nostri giorni.
Alla quale inchinaronsi ossequenti tutti i regnanti d’Italia, per iscopo di avere appoggio e forza nella restaurazione degli ordini de’ loro domini, per ritornarli come trovavansi all’epoca di loro cacciata. E i sudditi a rifarsi: donde i moti rivoluzionari de’ Carbonari, e della Giovine Italia; i tentativi mazziniani in Savoja; que’ degli Abruzzi, di Bologna, di Rimini; e finalmente la grande rivoluzione italica del 1848.
Torniamo al Piazzi.
È fuori del nostro compito e al di là del nostro breve ingegno recare un esame accurato e degno sulle opere scientifiche di Giuseppe Piazzi, e sopra i metodi da lui seguiti; il che, d’altra parte, ci trarrebbe assai al di là dei limiti imposti. Or, come potrebbesi dai profani penetrare con lui ne’ misteri dell'obbliquità dell'eclittica? con lui investigare la parallasse d’alcune delle principali stelle? spiegare la precessione degli equinozi, o la misura dell'anno tropico solare? rettificare i movimenti propri delle stelle fisse, o l'aberrazione della luce? La profondità delle materie, la ragione che le svolge, la critica che le contempla, sono proprie di speciali uomini e di severi intelletti ai quali lasciamo volentieri il carico, più consentaneo anche e più proficuo nella cerchia di studi della stessa natura ed indole.1 E tuttavia, sebbene votato a speculazioni alte e severe, non fu di coloro i quali, solo presi a’ principî e de’ fatti, non credessero far servire il bello delle forme, ossia la vesta gentile e lusinghiera delle lettere, ai freddi ed astrusi teoremi della scienza. Onde consacrando ore speciali alle due letterature, italiana e latina, fu in entrambe assai versato e profondo; nè lasciava scorrere anno senza rileggere il suo Dante e l’Ariosto, per opposto senso a lui carissimi; e dedicandosi agli scrittori latini — Virgilio, Orazio, Cicerone, Lucrezio Caro e Tacito — , mostratane la simpatia ne’ crocchi famigliari, dove o come gli tornasse, con ripeterne a mente gli squarci migliori, utile esercizio di sana coltura. I due cataloghi delle stelle fisse, scritti nella lingua del Lazio, gli attribuiscono in quell’epoca il primato nella lingua; nelle quali opere l’avere preferito l’idioma latino gli venne suggerito dalla opinione che, trattandosi di scienze come le matematiche e le astronomiche, non atte alla comune intelligenza, fosse da adoprarsi una lingua generale, usata allora specialmente dai dotti, e da ogni dotto conosciuta. Nei quali suoi lavori, oltre la ordinata disposizione dello materie, è mirabile la chiarezza d’espressione, la proprietà delle voci, la lor dignità ed abbondanza. Nè di pregio minore, se non più grande, nelle opere italiane, dove la purità dello stile va di pari passo con la giustezza de’ vocaboli, la precision loro, la scelta; e ne fu prova l’accoglienza stessa incontrata in Italia dai suoi Elementi d’Astronomia, e più l’invito giuntogli dall’Accademia della Crusca di lavorare, con altri pochi eletti, nella parte scientifica, alla correzione del Vocabolario. Onde vedemmo di recente i compilatori di esso, per la quinta impressione, sapientemente valersi, come testo di lingua, delle Lezioni elementari di Astronomia di Giuseppe Piazzi. — Vincenzo Monti, letterato e poeta, chiarissimo, difficile, come tutti gli uomini di sua condizione, alla lode nelle quistioni di lingua, e specchiatissima autorità in questa materia, gliene rendette pomposo omaggio con le seguenti parole: «E dove mettete le opere d’un Oriani e d’un Piazzi, a’ di cui nomi i dotti di Europa s’alzano con rispetto?.... E non è nostro egualmente quell’altro gran lume dell’Astronomia, lo scuopritore di Cerere, che col suo nuovo catalogo di 7000 stelle, da lui tutte replicatamente osservate, ed esattamente descritte, ha sepolto in eterna dimenticanza tutti i cataloghi antecedenti? Immenso lavoro, che negli annali astronomici fa epoca gloriosa; nè devesi preterire, che la scoperta di Cerere diede ad altri rinomati astronomi occasione di ritrovare successivamente tre altri nuovi pianeti.»
Ormai il nome di Piazzi era acquistato all’immortalità, e il mondo scientifico lo aveva in quella riverenza ch’è dovuta agli uomini di genio.
Se gli onori non costituiscono il merito, ed anzi spesse volte servono soltanto per cuoprire ambizioni meschine, quelli tributati al Valtellinese riuscirono specialmente a lustro di chi li conferiva, essendo un omaggio al più profondo sapere e alle più modeste virtù.
È noto di quali benevolenze il fece segno il re di Napoli: lo stesso imperatore d’Austria gli assegnava un’annua pensione, meritandone doppia gratitudine e pregio mercè la cortesia e la dignità dell’offerta. Altra gliene venne dallo stesso Istituto di Francia, che, com’è detto, avendolo ascritto tra’ suoi corrispondenti, non sì tosto avvenne la morte del celebre Werner, lo collocò al posto di questo come Socio straniero, qualità a cui annettevasi emolumento in denaro. Inoltre, le primarie Società della dotta Europa gareggiarono di nobile zelo per averlo nel loro seno, e tributargli omaggi di simpatia e di rispetto.
Tra esse: la Società reale di Londra, a voti comuni; la Società Italiana; l’Istituto delle Scienze di Milano; l’Accademia reale delle Scienze di Gottinga; l’Accademia reale delle Scienze di Berlino; l’Accademia reale delle Scienze di Pietroburgo; la reale Accademia Ercolanense di Napoli, per il suo secondo anno, suo Presidente, ecc.
Ritornando sul trono di Napoli re Ferdinando, pensò dar compimento all’Osservatorio di questa metropoli, opera già cominciata dal precedente governo. Gli era mestieri d’un uomo superiore, atto per ingegno e dottrina a governare il nuovo istituto: or, qual altro migliore del Piazzi? — onde questi, partito di Palermo, arrivò sul Sebeto. Quivi si diè a tutt’uomo a facilitare, per quant’era da lui, i lavori; studiossi di combinare l’utile e la semplicità, abbandonando ogn’idea di magnificenza soverchia. Travagliati i popoli dalle guerre passate, pensava doversi badare alla sostanza non iscompagnata dal decoro e dalla grazia: col suo spirito d’ordine e di regolarità videsi attendere a cose che parevano, e veramente erano, estranee al suo ufficio: nel che fece pur conoscere che nessun meglio di lui avrebbe saputo far meglio. Scese alle più piccole circostanze intorno alle fabbriche, agli ornati: e così intese e adoprossi, osservando, misurando, computando da sè stesso, ogni parte, ogni spesa, che, come dice lo Scrofani, con un terzo appena di quanto in prima chiedevasi, si trovò eretto quell’edifizio, degno d’una delle più vaste e belle città d’Europa, e atto a gareggiare con qualunque altro del mondo.
Pensò quindi a’ nuovi strumenti e a un degno direttore (in secondo); pel quale scrisse all’illustre suo amico, Barnaba Oriani, da cui gli venne mandato uno de’ migliori allievi, il Brioschi, che rimase poi capo di quell’alto uffizio alla morte del Piazzi, sotto il quale ebbe la fortuna di perfezionarsi, meritandone larghi e ripetuti elogi. E sebbene le difficoltà dell’erario non consentissero alla specola molte larghezze, il Valtellinese seppe fare così retto e saggio uso delle somme assegnate, da acquistarsi stima di buon amministratore, merito tanto più apprezzabile in un uomo sempre intento alle astrattezze della scienza e alla ragione di studi specialissimi. Nella quale circostanza un ministro valente, ch’era egregio intenditore nell’amministrazione del pubblico erario, ebbe a dire del Piazzi, «ch’ei non aveva conosciuto altro uomo il quale a tanto ingegno unisse tanta economia, tanta vigilanza e integrità.»
- ↑ Ecco l'elenco delle opere di Piazzi. stampate:
1 Genova, 1770: Tesi di filosofia; 2 Ravenna, 1774: Tesi di filosofia e matematica; 3 Parigi, 1788: Lettere a M. de la Lande, sur les ouvrages de M. Ramsden (trovasi inserita nel Journal des Savans del mese di novembre 1788); 4 Londra, 1789: Result of calculation of the Eclipse of the Sun (memoria, come s’è detto, pubblicata nel vol. 79° delle Transazioni filosofiche della Società Reale di Londra); 5 Palermo, 1790: Discorso su l’Astronomia; 6 » 1792: Della Specola Astronomica; I. IV; 7 » 1794: » » » ; I. V; 8 Milano, 1794: Observationes in Panormitana Specula Insitutæ, dove sono gli elementi della cometa del 1793, inserite nelle Effemeridi di Milano, 1794; 9 Palermo, 1798: Dell’Orologio Italiano ed Europeo. 10 » 1801: Risultamenti della nuova stella (memorietta che contiene le prime osservazioni e i primi calcoli del pianeta Cerere Ferdinandea); 11 » 1802: Della scoperta del nuovo pianeta Cerere Ferdinandea (è la storia della scoperta); 12 » 1803: Præcipuarum stellarum positiones mediæ, etc. (è il gran catalogo, frutto di dodici anni d’indefessa e non interrotta fatica, premiato dall’Istituto nazionale di Francia); 13 Modena, 1804: Dell’obbliquità dell’eclittica (memoria inserita nel Tomo XI degli Atti della Società Italiana, e che ottenne il premio della medesima); 14 Milano, 1804: Della precessione degli equinozi (inserita nelle Effemeridi di Milano); 15 Modena, 1805: Della misura dell’anno tropico solare (memoria inserita nel tomo XIII degli Atti della Società Italiana); 16 » 1805: Ricerche su la parallasse d’alcune principali stelle fisse (memoria inserita negli Atti della Società Italiana, tomo XII); 17 Bologna, 1806: Saggio su i movimenti propri delle stelle fisse (memoria inserita nel tomo I delle Memorie dell’Istituto nazionale italiano); 18 Palermo, 1806: Del Regio Osservatorio, I. VI; 19 » 1809: Sistema metrico per la Sicilia, presentato a S. M. il Re di Napoli: 20 » 1811: Della cometa di quell’anno; 21 » 1814: Præcipuarum stellarum positiones mediæ, ecc. (opera che comprende i risultamenti di 24 anni d’osservazioni, la quale per convenzione generale di tutti gli astronomi sorpassa di lunga mano quanto s’era fatto sino a quell’epoca; premiata dall’Istituto delle Scienze di Francia); 22 » 1816: Elementi d’Astronomia; 23 Milano; 1869: Su le scoperte di Herschel (Atmosfera di Venere), lettere edite per cura di B. E. Maineri, riportate in questo volume. Molte lettere, osservazioni, pensieri del Piazzi sopra materie astronomiche, matematiche, ecc. trovansi sparse in vari giornali, effemeridi, ecc. E, lui morto, si dispose tosto per la stampa della sua Istoria celeste, 2 grossi volumi in-foglio, che comprendono tutte le prove delle sue osservazioni, ecc.; e il VII libro del Regio Osservatorio.