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102 È CHIAMATO

trina a governare il nuovo istituto: or, qual altro migliore del Piazzi? — onde questi, partito di Palermo, arrivò sul Sebeto. Quivi si diè a tutt’uomo a facilitare, per quant’era da lui, i lavori; studiossi di combinare l’utile e la semplicità, abbandonando ogn’idea di magnificenza soverchia. Travagliati i popoli dalle guerre passate, pensava doversi badare alla sostanza non iscompagnata dal decoro e dalla grazia: col suo spirito d’ordine e di regolarità videsi attendere a cose che parevano, e veramente erano, estranee al suo ufficio: nel che fece pur conoscere che nessun meglio di lui avrebbe saputo far meglio. Scese alle più piccole circostanze intorno alle fabbriche, agli ornati: e così intese e adoprossi, osservando, misurando, computando da sè stesso, ogni parte, ogni spesa, che, come dice lo Scrofani, con un terzo appena di quanto in prima chiedevasi, si trovò eretto quell’edifizio, degno d’una delle più vaste e belle città d’Europa, e atto a gareggiare con qualunque altro del mondo.

Pensò quindi a’ nuovi strumenti e a un degno direttore (in secondo); pel quale scrisse all’illustre suo amico, Barnaba Oriani, da cui gli venne mandato uno de’ migliori allievi, il Brioschi, che rimase poi capo di quell’alto uffizio alla morte del Piazzi, sotto il quale ebbe la fortuna di perfezionarsi, meritandone larghi e ripetuti elogi. E sebbene le difficoltà dell’erario non consentissero alla specola molte larghezze, il Valtellinese seppe fare così retto e saggio uso delle somme assegnate, da acquistarsi stima di buon