L'armata nova der Zommo Pontecife
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1831
L’ARMATA NOVA DER ZOMMO PONTECIFE.
Com’è ita a ffinì la ribbijjone,
C’aveva da sfascià Ppiazzacolonna?1
Ce l’ha mmesse le mane la Madonna!
È vvienuto Sanpietro cór bastone!
La bbarca de la fede nun z’affonna,
Nun ha ppaura un c.... de bbarbone:2
Duncue chi vvò alloggià ssenza piggione,3
Ce viènghi a rriprovà cco’ la siconna.
Pe’ ffà mmejjo addannà4 li ggiacobbini,5
Mo ss’ariveste ’n’antra truppa vera,6
E sse so’ ttrovi ggià li tammurrini.
Già s’arippezza a nnovo la bbanniera;
E ddoppo a li sordati papalini
Je s’ha da fà ’na statua de scera.7
In legno, da Baccano alla Storta, |
Note
- ↑ In Piazza Colonna accadde il movimento rivoluzionario alla prima ora di notte del giorno 12 febbraio 1831, ultimo sabato di carnovale. [Cioè, dieci giorni dopo l’elezione di Gregorio XVI; e sbaglia il Farini, affermando che accadesse “nel tempo in cui i cardinali stavano congregati in conclave.„ (Op. e vol. cit., pag. 31.) Ecco’ come lo racconta il Coppi, onesto fautore del Governo papale, e che ebbe sott’occhio gli atti processuali: "Mentre il Sommo Pontefice dirigeva queste paterne ammonizioni ai Sollevati delle Province, si congiurava nella Capitale. I Faziosi, rimasti occulti nel mese di decembre dell’anno precedente, rinnovarono le trame per sollevarsi nel giorno cinque di febbraio. Divisarono di unirsi nella sera in numero circa di duecento presso il tempio detto di Vesta, sorprendere il vicino Campidoglio, impadronirsi di alcune armi colà conservate, correre al teatro, suscitare tumulto, ed in tal guisa sollevare la città. Pochi peraltro si recarono all’indicato luogo, quindi nulla poterono intraprendere. Incoraggiati poscia dalle notizie della rivoluzione di Bologna, ragunaronsi nella sera dei nove sul Gianicolo, e deliberarono di eseguire le loro operazioni nel giorno seguente, mentre molto popolo e la maggior parte della truppa erano per la strada del Corso allo spettacolo del carnevale. Stabilirono di sorprendere con trenta armati il Castello di Sant’Angelo (nel quale avevano alcuni complici), sparare un colpo di cannone, ed a tal segno gli altri Congiurati sparsi per il Corso avrebbero fermate le carrozze che soglionvi essere in gran numero, suscitato tumulto, disarmata la truppa divisa in piccioli posti, ed innalzata la bandiera tricolore italiana. Il Governo però, che sospettava di qualche pericolo, raddoppiò la vigilanza al Castello, ed i Congiurati non ardirono di tentarne la sorpresa. Allora modificarono il loro disegno, e determinarono d’incominciare la sollevazione nell’indicato modo per il Corso, e quindi marciare a sorprendere il Castello. Intanto altri sarebbero corsi ad innalzare la bandiera italiana sul Campidoglio, dove poscia si sarebbe ristabilito il Senato. Fissarono la esecuzione ai dodici di febbraio. Ma finalmente il Governo nella mattina dello stesso giorno scoprì che doveva tentarsi un tumulto durante lo spettacolo del carnevale, ed allora lo fece sospendere. I Congiurati sconcertati, ma non avviliti da questa misura, determinarono di tentare il colpo nella stessa sera due ore dopo il tramontare del sole, incominciando dal disarmare la Gran Guardia che era alla Piazza Colonna. Mentre però si ragunavano nei luoghi vicini, i carabinieri (gendarmi), insospettiti dal vedere crocchi straordinari, arrestarono due individui (Gabrielli e Testori, ambedue Corsi e Congiurati), che sembravano più turbolenti, e li condussero alla Gran Guardia. Allora circa trenta Congiurati, che erano prossimi alla medesima, vedendosi in pericolo imminente, non tardarono a dar principio al tumulto collo sparare colpi di pistola contro una pattuglia che girava per la piazza, e col gridare “Luigi Filippo,„ motto fra loro concertato. Que’ soldati però e gli altri della Gran Guardia gli risposero colle schioppettate, ne ferirono diversi, fra’ quali un Giulio Pasqualini„ (una palla uccise il guardaportone del Palazzo Piombino), “ne arrestarono otto e dispersero i restanti. Alcuni altri rei o sospetti furono quindi arrestati nei giorni seguenti. — Questo tentativo di rivoluziono in Roma, sebbene represso, spaventò il Governo, tanto più che in quel fermento generale non poteva conoscerne la estensione ed i veri autori. D’altronde, conoscendo la debolezza de’ suoi mezzi ordinari, si appigliò allo straordinario„ (e brigantesco) “di muovere contro i fautori delle cose nuove il basso popolo, sempre fìsso nell’antico sistema. Quindi nello stesso giorno dodici di febbraio il Cardinale Bernetti, Pro-Segretario di Stato, prescrisse ai quattordici Presidenti (Commessari) di Polizia di Roma: di scegliere immediatamente, oltre i civici già arrolati (eravi in Roma un avanzo di antica guardia civica) altri cento individui per ciascuno, fra quelli che si credevano i più indicati alla conservazione dell’ordine, per essere pronti a quei servizi che richiedessero le circostanze. A tale eccitamento molti benestanti offrironsi per arrolarsi fra’ civici, e furono ascritti. Nel tempo stesso dagli Agenti di Polizia furono ordinate ed armate alcune comitive di audaci Trasteverini e Monticiani, quai minaccevoli nemici dei Faziosi. Nel giorno quattordici di febbraio poi il Bernetti annunziò, che se i Facinorosi tentassero di bel nuovo qualche loro infame intrapresa, non dubitare il Santo Padre, certo della illimitata ed imperturbabile fedeltà dei suoi sudditi e figli, che ad ogni segno che si desse dal Forte di Sant’Angelo e colle pubbliche campane battute a martello, tutti gli ascritti al servizio militare, associandosi per quanto fosse possibile ai rispettivi Corpi, sarebbero corsi alla pronta e generosa difesa della religione, della patria e del trono. Si volle anche fare un esperimento popolare. Essendosi saputo che il Papa nel giorno ventuno di febbraio si sarebbe recato dal Vaticano alla Chiesa della Madonna del Popolo, si diressero alcune centinaia di Monticiani a dimostrargli la loro divozione. Incominciato però il movimento ne corsero molte migliaia, e dalle acclamazioni si passò ad un tale tumulto che il Pontefice a mezzo cammino retrocedette.„ (V. il sonetto: Uno mejjo ecc., 27 genn. 32.) “I Trasteverini, indispettiti di essere stati prevenuti di un tal atto dai Monticiani loro antichi emoli, si disposero anch’essi a fare una simile dimostrazione. Ma il Papa facendo loro attestare pubblicamente il suo gradimento, la impedì, e li contentò col benedire una loro bandiera.„ (V. il sonetto: L’aricompenza, 28 ott. 33.) “Tentò eziandio il Governo„ (con gli stessi mezzi briganteschi adoperati in Roma) “di sollevare in suo favore il basso popolo delle Province.„ Annali d’Italia, tom. VIII, pag. 113-17.]
- ↑ Una delle larve da spauracchio pe’ fanciulli. [Cfr. la nota 3 del sonetto: Er due ecc., 2 nov. 31.]
- ↑ Andare in carcere.
- ↑ [Dannare], arrabbiare.
- ↑ [Con questo nome e con quello di frammassoni erano indistintamente designati tutti i liberali dal partito retrivo alto e basso.]
- ↑ [Può alludere, tanto alla Notificazione del 7 giugno di quell’anno, con la quale il Presidente delle Armi, a nome del Papa, prescriveva che “la truppa di Linea fosse accresciuta di ottomila uomini, col mezzo dell’arruolamento volontario,„ e alle relative Istruzioni, che l’accompagnavano, e in cui (art. 17) si parla anche del vestiario; quanto alle Disposizioni date il primo di settembre dal cardinale Bernetti, per mobilizzare, qualora se ne fosse presentato il bisogno, la truppa ausiliare di riserva, istituita in varie provincie dello Stato: tra le quali disposizioni c’era anche una speciale tabella, sul “Vestiario, distintivi ed armamento degli ufficiali superiori e subalterni.„ (Raccolta delle Leggi ecc.; Roma, 1835; vol. VII, pag. 62-72 e 75-85.) La chiama poi “truppa vera,„ per mettere in ridicolo coloro che dopo il fatto di Piazza Colonna accorsero a iscriversi nella Guardia Civica, e che non portavano altro distintivo, che una coccarda papalina sul cappello.]
- ↑ Fare una statua di cera ad uno, vale: “riputarlo per l’ottimo fra’ suoi eguali.„