L'aes grave del Museo Kircheriano/Tavole I. II.
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CLASSE II.
TAVOLA I. e II.
L’Olivieri fu il primo a rendere la epigrafe a Todi, a cui apparteneva per diritto di origine. Le monete su cui leggesi ci traggon perciò fuori della provincia, nella quale finora ci siam trattenuti, e ne obbligano quindi a dichiarare quelle particolarità, nelle quali dalle monete cistiberine si distinguono. Non sono queste più che due, il peso e l’epigrafe stessa. Per quanto sia scarsa la moneta tudertina della prima età, pur tuttavia e dagli assi che si conoscono e dalle parti minori senza pericolo di errore si può stabilire , che il suo peso massimo è maggiore delle sett’oncie, anzi forse non minore delle ott’oncie romane antiche. A questo peso mai non discendono le monete della prima nostra classe, né mai salgono tant’alto quelle della terza.
Ma più che il peso, la scrittura, che rispetto all’aes grave comparisce forse la prima volta su la moneta di Todi costituisce il vero carattere per cui la moneta della prima classe distinguesi da quella della seconda. Amendue questi argomenti, peso e scrittura, ne dimostrano, che i tudertini vennero secondi nell’uso dell’aes grave italico. Se si fossero appropriati questo modo di commercio appena era stato rinvenuto tra’ cistiberini, l’avrebbon forse mantenuto in quel peso medesimo che avea in questa provincia, colla quale per la molta vicinanza doveano pur avere una qualche relazione di traffico. Né forse in que’ primi anni l’avrebbono arricchito di quell’utilissimo ritrovamento che è l’epigrafe, che eglino i primi seppero aggiungere all’arte cistiberina.
Oltrediciò l’Umbria, in cui Todi è posta, ha avuti dalla natura confini certi, per i quali riman divisa dalla provincia cistiberina e dalla etrusca. Aggiungansi altre città umbre, che ci mostravano aes grave tutto proprio: e si vedrà, che noi ci saremmo mostrati nemici dell’ordine e della sana critica, quando non avessimo delle monete di questa provincia costituita una classe tutta da se.
Le principali imagini sculte su le monete tudertine pare ci rivelino fatti, se non certi, almeno molto probabili. Riconoscesi Giove alla sua aquila e all’abbondanza che trabocca dal corno della sua capra ; e ciò non pure nell’asse, ma sul rovescio di due tra le sue monete coniate , disegnate nella prima linea della Tavola di supplemento. Nel diritto della monetina minore vedesi Fauno col suo più certo carattere delle piccole corna su la fronte. All’aquila poi accompagnasi un vecchio Sileno, che congiunto come qui è a Fauno e all’altre imagini patrie, non può a meno che non si abbia a dichiarare per quel Pico, che fu padre di Fauno. Nel semisse fuso v’é l’irpo accovacciato al modo stesso del taurum procubuisse di Strabone. Finalmente su la terza delle monete coniate vedesi una troja che dietro si trae i parti, e nel diritto un tal personaggio, di cui ignoriamo il nome, coperto il capo con pileo di nuova e capricciosa forma.
Dopo ciò che abbiamo esposto nel ragionamento su le monete della prima classe, siamo costretti a riconoscere in Todi una colonia di rutuli recatisi colà dietro la guida dell’irpo, per voto fattone a Giove, secondo le monete, a Marte, secondo le memorie tramandateci dagli antichi scrittori. Giove dà le più nobili insegne a’ tudertini: essi le collocano su la principal loro moneta, che è l’asse, nella prima introduzione dell’aes grave; e nella introduzione del conio rinnovano le sole insegne di Giove, dimenticatisi dell’altre dieci che aveano stampate la prima volta su le cinque monete minori dell’asse. E Giove appunto era la prima divinità del paese, dal quale erano usciti i tudertini. Le testimonianze di Silio Italico, delle iscrizioni e de’ monumenti patrii vorrebbon che Marte tenesse qui il luogo di Giove. In altra età avrebbon forse potuto i tudertini mutare il loro culto principale: ella è però cosa molto degna di considerazione, che in nove monete e in sedici imagini diverse del primo tempo non abbia a trovarsene una, la quale dichiaratamente alluda a Marte.
Che se Giove è il primo iddio comune a’ tudertini e a’ rutuli, de’ rutuli e de’ tudertini anche più che Giove sono Pico e Fauno. La storia de’ rutuli null’altra cosa tanto ci predica, quanto le glorie di questi due, che dopo essere stati re del paese, n’eran divenuti gl’iddii e gli autori degli oracoli. La moneta de’ tudertini non ce li dà a conoscere co’ simboli, come co’ simboli ci mostra Giove, ma ne scolpisce le imagini proprie nel tempo migliore delle sue arti e della, sua civiltà. Converrebbe ricorrere al caso, che non è stato certamente né il consigliero né l’autore di queste imagini , per ispiegare diversamente da quel che qui si fa gli stretti vincoli , con che un paese all’altro si collega.
Dicasi altretanto dell’irpo. Nella moneta de’ rutuli questo fedel compagno dell’uomo è in grande movimento, perchè parte di colà: nella moneta de’ tudertini procubuit, s’é messo a giacere, per significare a’ coloni rutuli che l’accompagnano, questo essere il luogo destinato a loro stanza dalla sorte. Una tale diversità d’azione e di riposo è opportunissima a confermare l’identità dell’animale in amendue le provincie.
Una difficoltà si affaccia per parte della maggiore tra le tre monete coniate da’ tudertini. Su questa la porca co’ suoi parti favorirebbe piutosto i latini che i rutuli. Noi vorremmo si riflettesse, che il numero de’ parti, i quali qui non sono triginta capitum foetus, e l’azione del moto , non la quiete del solo recubans, ci lasciano indubbio su la identità della porca albana con la porca tudertina. Quando poi volesse credersi essere la medesima, noi avremmo in essa un nuovo argomento favorevolissimo alla nostra congettura : mercechè più volte abbiam veduto nella classe prima, che rutuli e latini sono quasi un medesimo popolo, talché si può quindi credere, che i coloni stanziatisi in Todi usciti fossero da Ardea in parte, in parte da Alba. Se neppur questa sentenza si accetti, potrebbe dirsi non senza qualche verosimiglianza, che il personaggio pileato scolpito nel diritto, sia il capo di que’ raminghi che fondarono Todi; e che la piccola mandra del rovescio sia rappresentata a indicare il bestiame, che que’ coloni dal luogo della partenza condussero alla lor nuova patria.
La lira accompagnata all’irpo ne risveglia l’idea d’un costume tutto proprio de’ coltivatori delle campagne a Roma vicine. Non vanno eglino mai alle grandi operazioni campestri, alla mietitura e alla vendemmia singolarmente se non in frotte e in brigate, battendo nacchere e timpani, suonando pifferi e cantando allegri ritornelli. Poteva altresì essere nella natura di quegli antichi esuli, che rattemperassero l’acerbità di quelle loro partenze col conforto di cotali armonie.
Ci uniamo al Lanzi nel riconoscere il nome primitivo di questa città originato dal tudes martello presso Festo ma con lui non ci accordiamo nel discorso. Imperocché stimiamo, che questa senza più sia la unica e sola etimologia di quel nome, ora che abbiam si forte ragione di credere, che da’ latini, di cui è propria la voce tudes, sieno derivati i tudertini. Dunque la mano armata di cesto e la doppia clava scolpita nel triente, diciamo che non si possono con più semplicità interpretare, di quello che riconoscendole per simboli della efficacia di quel nome. Le mani, e meglio le armate furono il primo martello che la natura diede all’uomo, quindi le mazze: il martello di metallo non può essere nato coll’uomo. I simboli del quadrante, del sestante e dell’oncia s’incontrano nella moneta cistiberina, meno la cicala: e questa identità potrebbe pure prendersi per argomento della varietà delle genti cistiberine, che insieme co’ latini e co’ rutuli inviarono a Todi loro coloni. La cicala che presso gli ateniesi dicesi adoperata a significare un’origine tutta propria e indipendente, non può aver questo uffizio in Todi, tutta intesa a mostrarci d’ esser nata da’ rutuli e dagli altri popoli cistiberini.
Al di qua dell’Apennino Todi è la sola città fuor di Roma, che abbia moneta fusa di peso doppio e diverso. Studino i dotti la verità di questo fatto nella Tavola seconda, e sieno avvisati, che dove il peso delle monete della prima tavola tocca quasi le ott’oncie, com’abbiam detto, il peso di queste viene a corrispondere ad un asse di tre oncie ed anche meno. La seconda osservazione che non deve qui lasciarsi sfuggire, è quella dell’asse sempre mancante alla moneta tudertina della seconda epoca. Ma diciam più vero: le due imagini dell’asse non mancano: son publicate dall’Arigoni, dall’Olivieri, dal Passeri, dal Lanzi, ma non mai col segno della libra, bensì con quello del semisse e del triente. Premettiamo per ultimo un terzo fatto che è quello della moltissima frequenza della moneta tudertina in questa seconda epoca, non pure in confronto di quella dell’epoca prima, ma eziandio a fronte di tutte le altre officine poste al settentrione di Roma.
Di questo triplice fatto non è difficile il trovarne la vera origine. Le città tutte umbre ed etrusche, ch’ebber moneta in un primo tempo, l’avrebbon certamente avuta eziandio in un secondo, se avesser potuto costantemente mantenersi in una medesima indipendenza e libertà di diritti. Ma quella Roma che volea l’impero del mondo intero, fattasi padrona della provincia meridionale, passò dipoi al conquisto della settentrionale, contro la quale mostrossi sì inflessibile, che i soli tudertini poterono impetrare da lei di continuare nell’uso della moneta propria. Ignoriamo la cagione di tale parzialità ma non ne ignoriamo la limitazione. Come abbiam veduti i tiburtini privati nella seconda età di asse e semisse proprio; cosi qui troviamo i tudertini dichiarati quasi capite minores. Non possono eglino segnare l’asse; e perchè non vogliono rimanersi privi delle impronte del loro Giove, quindi, per pure mandarle in luce, le accompagnano alle note del semisse e del triente. Rispetto poi al numero grande della moneta tudertina di questa seconda età, che è ovvia anche nelle terre umbre ed etrusche lontane da Todi, la vera ragione pare che stia nella soppressione di tutte le altre zecche vicine. Todi rimasta sola, provedeva e a se e ad altrui coll’opera de’ suoi monetieri: perciò grande molto esser doveva la quantità della moneta che di là usciva.
Il perchè Roma non abbia obligati i tudertini ad imprimere il nome ROMA o ROMANO, ma invece gli abbia lasciati con la gloria dell’antico nome su la loro moneta, sta forse nella qualità e nella misura de’ privilegi de’ quali gli aveva chiamati a godere. I popoli tutti del nuovo Lazio erano in tutta la forza della parola veri cittadini romani; l’epigrafe delle loro monete non potrebb’essere con più verità appropriata: i tudertini pare con stretti vincoli si legassero a’ romani, ma non con quelli della cittadinanza, almeno all’epoca della loro moneta.
Rimarrebbono a rintracciarsi i tempi diversi, in che Todi segnò la prima sua moneta libera, la seconda acefala e la terza coniata. Confessiamo d’avere ad arte trascurato lo studio delle particolari storie delle città a cui spettano le nostre monete. Volevamo udire il solo linguaggio de’ nostri monumenti, e questo solo riferire a’ nostri lettori. L’intramischiamento di testimonj troppo diversi di tempo e d’interesse ne avrebbe in questo primo tentativo empiuta la mente di pregiudizj, e non saremmo quindi rimasti liberi a produrre le nostre congetture. Non mancherà certamente chi voglia istituire giudiziosi confronti tra il linguaggio della moneta e quello della storia, e forse noi medesimi saremo costretti un giorno a venire in tali quistioni; Allora vedremo le relazioni di Todi con Roma, e potrem forse nella storia trovare un qualche avviso cronologico su cui stabilire con buona ragione queste età diverse. Tuttavia, se non è falso il discorso da noi fatto intorno alla moneta de’ popoli cistiberini, osiamo infin d’ora affermare, che i tudertini cominciarono a segnar moneta forse in que’ tempi medesimi in che i latini finirono di fondere la loro: continuarono a segnarla di concerto con Roma per tutta quella età, in che la moneta romana venne degradando e perdendo del suo peso: finirono di coniarla quando l’aristocrazia romana si recò in mano l’assoluto dominio della moneta in tutta l’Italia.
Todi che fonde moneta di picciol peso per il buon accordo in che vive con Roma, è il secondo argomento fortissimo, il qual ci persuade, che per i popoli latini, tra’ quali non si rinviene moneta diminuita, corse un buon giro d’anni tra la moneta fusa e la coniata. Questa laguna di tempo ne dà diritto a dividere la storia de’ latini dall’origine di loro moneta fino alla caduta della republica di Roma in quattro diverse età: la prima sarebbe quella della moneta loro autonoma e indipendente; la seconda quella della totale loro servitù, nella quale la forza di Roma gli ebbe obbligati a non servirsi se non della moneta romana; la terza quella in che ottenuta la cittadinanza di Roma stessa coniarono moneta mista d’impronte latine e di epigrafi romane; la quarta età finalmente sarebbe quella in che gli ottimati delle città latine insieme con quelli di Roma ebbero con le magistrature della republica, e singolarmente col triumvirato della moneta, il diritto di segnar la moneta romana con insegne ed epigrafi gentilizie.
Dell’arte de’ tudertini non v’ è cosa da dire a chi sa ragionare su le nostre tavole e tra loro paragonarle. Il bello dell’aes grave pare ristretto esclusivamente nella provincia cistiberina. Se tolgasi l’irpo, copiato con lodevolissima fedeltà dal vero della natura, Todi non ci dà altra pruova del suo valore nell’arte del modellare. Anzi le tre teste scolpite su la moneta coniata pare ci assicurino, che i tudertini avrebbono anche nella prima epoca voluto rappresentarci queste umane imagini, e che forse per sola mancanza d’arte noi fecero. Le monete latine di epoca anteriore non potevano desiderare più vantaggioso confronto, né la storia delle italiche arti più efficace testimonianza. Egli è pur lungo il tempo dacché i più dotti letterati d’Italia e d’Europa si tormentano l’ingegno studiando, interpretando, illustrando la varietà e la grandezza de’ monumenti tramandatici dalle più antiche genti d’Italia. E pure fino a questo giorno noi non sappiamo che siavi stato alcuno il quale abbia fermata la sua attenzione su’ monumenti primitivi della provincia cistiberina, o almeno gli abbia saputi tra gli altri distinguere, se si eccettuino le mura ciclopiche e singolarmente quelle degli ernici. Grandi meraviglie si fanno su le opere d^U etruschi e degli umbri, su quelle de’ greci della Sicilia e della Magna Grecia, della Campania, della Lucania, della Puglia. Noi facciamo fervidi voti perché i dotti dell’età nostra, penetrino ben addentro nella forza di questi fatti, e ci dicano, se i volsci e i latini, i rutuli e gli equi, per l’età a cui le monete loro spettano, possano anch’essi in questa nobilissima parte della umana civiltà cogliere una qualche lode.