L'Economico/Capitolo VI
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CAPITOLO VI.
Ben a ragione, Critobulo disse, tu mi ammonisci, o Socrate, di cominciare ogni operazione dall’implorare il favore degli Dei, i quali dispongono di ogni evento, e in pace e in guerra; ed io mi studierò di così fare. Tu poi fa ora di ripigliare dove il lasciasti il parlare dell’economia trascorrendone tutte le parti, perciocchè da quello, che ne ho udito parmi già di conoscere meglio, che dianzi in quali operazioni sia de trapassare la vita. — Io avviso, disse Socrate, che più opportuno sarebbe di tornare in prima a rammemorare quello di che fummo già d’accordo, onde, se il potremo, procuriamo di trovarci egualmente di accordo in quello, che ne rimane a dire. — In vero, disse Critobulo, è cosa assai grata, o Socrate, come a coloro che hanno in comune gli averi di passarsela senza litigi, così a noi che abbiamo ora in comune questo ragionamento di trovarci sempre in esso di concorde parere. — Noi adunque, prese a dire Socrate, già avvisammo essere la economia il nome di una scienza, e questa scienza quella essere ci parve, per cui gli uomini possono accrescere le case. Dicemmo poi chiamarsi casa tutto quello, che l’uom possiede, e possedere giudicammo ambedue di quello solamente doversi dire, che a ciascuno si rende utile a condurre la vita, ed utile fu da noi trovato potersi chiamare qualunque cosa, di cui l’uomo sappia usarne a suo profitto. Appresso fummo di avviso, non esser guari possibile potersi da un solo apprendere tutte quante le arti, e le città riprovare a ragione quelle, che chiamansi meccaniche, contaminandosi per queste i corpi, e invilendosi gli animi; ciocchè chiaramente si conoscerebbe, se venendo i nimici, raunandosi da una parte gli agricoltori, da un‘altra gli artieri, si proponesse loro separatamente, se vogliono piuttosto andare a combatterli, o rimanersi nella città; mentre si vedrebbe, che gli agricoltori decreterebbero doversi recare a combatterli: gli artieri all’opposto vorrebbero, così come furono educati, rimanersi a sedere, senza travagliarsi, e senza esporsi a pericolo. Si disse quindi da noi, l’arte e l’esercizio dell’agricoltura, onde si traggono le cose necessarie alla vita, convenirsi massimamente ad ogni onesta, e ben accostumata persona, quantunque si fosse ricca e grande, sendo, come vedemmo, una cotal arte agevole, e gratissima ad esercitarsi, e rendendo i corpi benissimo conformati, e non recando per niun modo impedimento egli animi di aver cura, e degli amici e della patria. Fu da noi pur anco riconosciuto, essere l’agricoltura grande stimolo agli uomini a divenir valorosi col far nascere i suoi prodotti fuori de‘luoghi muniti, e col nodrir quivi i suoi coltivatori. Per le quali cose avvisammo, in sommo pregio doversi tenere dalle città un tal genere di vita, dal quale ben si pareva fornirsi al comune ottimi, e valentissimi cittadini. — Quindi Critobulo così prese a dire: che onesta sia, e soave, e commendata la vita di chi attende al coltivamento delle terre, parmi di esserne al tutto persuaso. torno poi a quello, che dicesti di doversi considerare, come alcuni dall‘agricoltura si hanno copiosamente quello, che loro abbisogna, ed altri niun utile possono averne, parmi che ora delle cagioni di questo, e di ciò che gli uni, e gli altri adoperano ti udirò volentieri partitamente ragionare, onde poi e facciamo quelle cose, che sono utili, e non facciamo quelle che sono nocevoli. — Ebbene, Socrate disse, in ti voglio ora narrare fin dal principio, o Critobulo, come una volta mi scontrai con un uomo, che mi parve davvero essere uno di quelli, i quali a buon dritto vengono riputati degni di essere denominati a questo modo uomo bello, e buono. — Si veramente, disse Critobulo, questo ben vorrei da te udire perciocchè ancor io fortemente bramo di rendermi degno di una tale denominazione. — Primieramente adunque, disse Socrate, ti dirò come io mi feci a ricercarlo, poichè quanto ai buoni architetti, ai buoni pittori, o scultori, o altri simili un piccol tempo mi fu bastante per recarmì da tutti, e riguardare quelle loro opere, che venivano approvate come belle. Quanto poi a quelli, che così onorevolmente vengono chiamati uomini belli, e buoni acciocchè potessi conoscere per quali operazioni si meritassero un cotal nome, io mi sentiva nell’animo una grandissima brama di potermi scontrare con alcuno di essi: e sulle prime siccome il nome di bello era posto innanzi a quello di buono, chiunque vedeva che bello fosse ad esso mi accostava studiandomi di scoprire se trovassi quivi al bello attaccato il buono: ma non mi avveniva egli così, anzi mi parve di scorgere, che alcuni che belli erano nell‘aspetto, tristi erano al tutto nell’animo. Lasciato adunque di riguardare più oltre il bello pensai di dovermene andare a dirittura da alcuno di quelli ch’erano detti belli, e buoni e perchè aveva già udito, che Iscomaco da tutti, e uomini, e donne, e stranieri, e cittadini veniva chiamato bello, e buono, mi deliberai di trovar modo d’intertenermi con esso.