L'Economico/Capitolo V

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Senofonte - L'Economico (IV secolo a.C.)
Traduzione di Girolamo Fiorenzi (1825)
Capitolo V
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CAPITOLO V.


Ora di ciò, o Critobulo, ti vengo così distesamente ragionando, disse Socrate, perchè dall‘agricoltura nemmeno quelli che più abbondano di dovizie possono starsi lontani: e ben si pare, come l’attendere a cotal arte reca e un tempo e diletto all‘ animo, e accrescimento alla casa, e destrezza al corpo in tutte quelle operazioni, che ad uomo libero si conviene di esercitare: perocchè primieramente la terra quando ben coltivata sia, tutte quelle cose produce per le quali sostentasi la vita umana, e molte anche ne aggiunge, che servono a ricrearla, e appresso quelle cose colle quali gli uomini adornano i simulacri degli Dei, e dalle quali essi stessi vengono pure adornati, queste e soavemente olezzanti e di vaghissimi colori distinte, la medesima terra ne somministra: dopo questo delle vivande molte ne ingenera, e molte ne nutrica, collegandosi l‘arte pastorizia coll’agricoltura, onde più cose si abbiano gli uomini, e da adoperarle per se stessi, e da offerirne sacrificii agli Dei, e renderseli benevoli. E tanti, e così grandi beni copiosamente porgendosi agli uomini dalla terra, non permette già che veruno di questi prender se ne possa da chi pigro sia; ma invece assuefà a sostenere e il freddo del verno e il caldo [p. 26 modifica]della state, e però quelli, che con le proprie mani la coltivano, coll’esercizio fa robusti, e quelli che a’suoi lavori soprastanno, virili rende, facendoli levare di assai buon mattino, e camminare con grande celerità; mentre nelle opere dell’agricoltura, come in quelle della città sempre è opportunissima la sollecitudine. E se tu vorrai difendere la patria militando a cavallo l‘agricoltura ti nutricherà il destriere, e se a piedi, ti renderà essa il corpo ben destro. Ancora ad esercitarti nella caccia ti dà aiuto la terra alimentando, e le belve e i cani. I cavalli poi, ed i cani siccome per beneficio della terra ricevono l’alimento, così ne la ricambiano; i cavalli conducendovi di buon' ora il soprastante ai suoi lavori, e dandogli facoltà di partirne al tardi. Ed i cani pure contengono gli armenti dal recar nocumento ai suoi prodotti, e nella solitudine fanno sicurezza. Ancora la medesima terra animosi rende gli agricoltori a difendere colle armi i suoi frutti producendoli essa all’aperto, onde avere seli possa il più forte. Al correre poi, al saettare, al saltare, qual arte mai più dell’agricoltura rende disposte le persone? Quale arte maggiormente si dimostra grata a chi ne ha cura? Quale più cortesemente ne accoglie, offerendo di dare ad ognuno tutto quello, che gli fa d‘uopo? E quale pur anco riceve gli ospiti con più copiosa abbondanza? E dove più agevolmente, che presso al tuo campo potresti [p. 27 modifica]avere nel verno abbondante fuoco, e caldi bagni? E dove nella state più soavemente potresti godere, e delle fresche acque, e delle piacevoli aure, e delle grate ombre? E dove potresti offerire primizie, che più si convengano agli Dei, o dove vedresti solennità più frequentate? E quale altro luogo hai tu mai che sia, e più grato ai servi, e più accetto alla moglie, e più bramato dai figli, o più grazioso agli ospiti? Io ben mi meraviglio se alcun uomo libero abbia altro avere, che gli sia più caro di questo, o altra cura possa trovare del coltivamento della terra più piacevole, e più utile. Inoltre la terra, se ben la riguardi insegneratti pur anco la giustizia, veggendo come essa si studia di ricambiare con abbondanti raccolte la diligente coltivazione. Di poi se interviene alcuna volta, che sopravvenendo un grosso esercito di nimici devasti, e saccheggi le campagne: i coltivatori della terra, i quali per questa esercitazione sono già divenuti animosi, e gagliardi, sendo così ben disposti di animo, e di corpo, potranno, se il nume non gliel contrasti, recandosi nelle terre degli assalitori, da quelle prendere di che sostentarsi, poichè nella guerra sovente è più sicuro il procacciersi il vitto colle armi, che con gli stromenti dell’agricoltura. E il vero l’agricoltura quelle cose ancora ne insegna, che si hanno a praticare nella guerra: poichè siccome contro i nimici si conviene andare in [p. 28 modifica]molti assieme riuniti, così anche a coltivare la terra si richiede che si vada con molti assieme riuniti. E a volere, che il coltivamento dei campi bene si compia, fa d’uopo a chi vi soprasta di rendere i lavoratori disposti alla fatica, e apparecchiati a obbedire, e tali pure dovranno rendersi quelli, che contro il nimico si avranno a condurre, premiandosi i buoni che pronti si veggono ad eseguire ogni comando, e castigandosi quei vili, che ricusano di ciò fare: e si appartiene all’agricoltore di spesso esortare i coltivatori, nulla meno che al duce le milizie; e nulla meno di essere intertenuti con buone speranze hanno bisogno gli uomini liberi, i quali deggiono combattere, di quello che ne abbiano i servi i quali deggiono affaticarsi a lavorare la terra: anzi questi tanto di più, acciocchè volentieri perseverino nel lavoro. Parmi pure che assai ben dicesse colui, il quale asseriva essere l‘agricoltura madre e nutrice di tutte le arti, perchè esercitandosi studiosamente l’agricoltura prendono insieme vigore le altre arti tutte quante; ma dovunque si vegga lasciarsi incolto il terreno ogni altra arte in certo modo, e in terra, e in mare illanguidisce e si spegne. — Come ebbe Critobulo udito questo ragionamento soggiunse: quanto hai detto fin ora, o Socrate, assai bello mi pare, ma tralasciato hai di dire, che nell’agricoltura assai cose vi sono, le quali non può l’uomo antivedere; e che [p. 29 modifica]sovente le grandini, le brine, la siccità, o le inopportune pioggie, le ruggini, ed altri somiglianti avvenimenti distruggono quello, che si era fatto con saggio avvedimento, e cen diligente cura; e gli armenti altresì quantunque benissimo governati, alcun morbo che sopravvenga fa miseramente perire. — Udito ciò, Socrate rispose: di vero io mi pensava, che tu, o Critobulo, già ti sapessi, come gli Dei hanno potestà nelle cose dell’agricoltura, non meno che in quelle della guerra. E coloro, che hanno a far guerra li vedi tu studiarsi innanzi ad ogni militare impresa di rendersi accetti agli Dei, e d’interrogarli con sagrificii, e con augurii di ciò, che si debba fare, o non fare: nelle operazioni poi dell’agricoltura perchè avrai tu a credere, che meno faccia d’uopo di rendersi benevoli gli Dei? E ben tu sai, che i savi e pei frutti ancor verdi e pei maturi, e pei buoi, e i cavalli, e gli armenti, e per tutto ciò, che posseggono fanno voti, e preghi agli Dei.