L'Economico/Capitolo IX

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Senofonte - L'Economico (IV secolo a.C.)
Traduzione di Girolamo Fiorenzi (1825)
Capitolo IX
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CAPITOLO IX.


Or bene, le dissi, ti parve egli, o Iscomaco, che la tua donna ponesse mente a quello, che tu con tanto studio le andavi dimostrando? Ben ti so dire, rispose, che essa il fece, poichè mi promise, che di ciò ne avrebbe avuto cura, e si pareva assai lieta di aver trovata la via di venirne da un grave disagio ad una grande commodità: e mi pregò che quanto prima 1e ordinassi quelle cose che io le aveva detto. In qual maniera adunque, o Iscomaco, dissi, tu gliele ordinasti? Prima di tutto mi parve di doverle dimostrare quale si fosse la nostra casa, poichè, o Socrate, non è essa già abbellita con vani adornamenti, ma tutta è stata fabbricata con questa considerazione, che ogni sua parte fosse i1 più che si potesse appropriata a quello a cui si destinava, di maniera che ogni luogo sembrasse quasi richiedere quelle cose che vi si dovevano collocare. Perocchè il talamo standosi nel luogo il più riposto, e sicuro, chiama a se il vasellame, e i mobili di maggior pregio, le parti asciutte, che sono sotto i1 tetto il grano, e le ventilate i1 vino, e quelle che sono bene illuminate, si [p. 52 modifica]dimostrano proprie per tutto ciò che ha bisogno di molta luce, o che intendiamo dei lavori, o vero delle masserizie. Le dimostrai poi i luoghi dove si stanno gli uomini, come erano bene adorni, e nella state ventilati, e nel verno tepidi, e le feci considerare che tutta la casa era rivolta al meriggio onde fosse nel verno bene assolata, e nella state ombrosa. Mostraile quindi la porta che conduce all’abitazione delle donne separata per mezzo del bagno dall‘abitazione degli uomini, acciocchè niuna cosa che d’uopo non fosse non si potesse occultamente portarne fuori, ed acciocchè i servi senza il nostro consentimento non si avessero ad unire colle ancelle, mentre quelli che sono buoni, se ciò loro si concede, per lo più si rendono maggiormente benevoli ai padroni; ma i cattivi divengono per questo maggiormente disposti al male operare. Dopo di aver noi trascorse tutte le parti della casa, ci facemmo a distinguere per generi le masserizie: cominciammo in prima da ridurre assieme quelle che adoperiamo nei sacrificii, poscia quelle scegliemmo, che servono per l’ornamento delle donne per le solennità, e le vesti degli uomini per le solennità, e per la guerra: le tapezzerie per l'abitazione delle donne, e le tapezzerie per l’abitazione degli uomini,i calzari per le donne, e i calzari per li uomini. Un altro genere ancora facemmo delle armi, un ultro degli stromenti per lavorare le lane, un [p. 53 modifica]altro di quelli per la cucina, un altro di quelli pe’ bagni, un altro di quelli per le mense. Da tutto questo poi separammo ciò che del continuo si adopera, e ciò che serve al vitto: fu anche da noi messo a parte quello che dovea consumarsi di mese in mese, e partito in due riponemmo quello che avevamo divisato che dovesse bastare per un anno, perchè meglio potessimo accorgerci se si vada così regolatamente consumando da durare fino al termine che si era presupposto. Separate in tal modo queste cose nei loro generi, furono recate ciascuna nel luogo, che 1e si conveniva. Di poi tutti quegli arnesi, che giornalmente si adoperano dai servi, come a dire gli strumenti da fare i1 pane, e da cucina, e da lavorare le lane, ed altri siffatti vennero da noi consegnati a quelli, che dovevano farne uso, indicandogli dove si avessero a stare, e ordinandogli di aver cura che si conservassero illesi. Quelle masserizie poi, che si serbano pe’ di solenni, o per l’arrivo degli ospiti, o per altre ocorrenze, che di rado intervengono, furono da noi consegnate alla dispensatrice, e dimostratile i luoghi ove si stessero, annoverategliele, e fattane di tutte nota per iscritto, le dicemmo di darne ciascuna di esse a chi bisognasse, e di ben sovvenirsi che cosa, e a cui desse, e ripigliandola di doverla colà di nuovo riporre, d’onde già presa l’avesse. All’officio poi di dispensatrice quella tra le [p. 54 modifica]ancelle fu da noi preposta, la quale dopo molte considerazioni ci parve che al tutto si sapesse contenere dal non abbandonarsi alla gola, al vino, al sonno, ed agli innamoramenti, ed oltre a ciò quella la quale ci scmbrò fornita di una tenace memoria, e dotata di tale natura, che ben volesse provvedere di non aversi a tirare addosso dalla nostra parte alcuna punizione per sua negligenza, ma che anzi disposta fosse a por mente come potesse in ogni cosa adoperarsi per modo che a grado ci fosse, onde noi pure avessimo a tenerla in gran conto. A questa noi insegnammo di rendercisi amorevole, facendola partecipe quando eravamo lieti di ogni nostra contentezza, e se alcuna cosa ci dava noia anche di questa chiamandola a parte: perchè poi bramasse al paro di noi di dar mano all‘accrescimento della casa venne a ciò accostumata col renderla instrutta di ogni nostra faccenda, e col fare che anch’essa potesse godere di quanto avevamo di buono. Anche la giustizia le infondemmo nell’animo, mostrandole di tener assai in pregio i giusti, e che ad essi più agiatamente, e più liberalmente che agli ingiusti, facevamo noi condurre la vita; e così ci diportammo pure verso di lei, secondo che conoscevamo meritarsi. Ma, soggiunse, di tutte quante queste cose che ora abbiamo fatte, diceva io, Socrate, alla mia donna, che niun utile ce ne tornerebbe, se non avesse ella atteso [p. 55 modifica]con assidua cura, che ogni cosa si abbia sempre a mantenere nel suo ordine, e 1e feci por mente come in quella città che sono governate con ottime leggi, non pensano già i cittadini bastare che bellissime leggi si scrivano; ma di più vi prepongono alcuni custodi, i quali diligentemente considerino i portamenti di ciascuno, e diano lode a chi adopera secondo le leggi, e puniscano qualunque ad esae contrafaccia. Pertanto, disse, ordinai alla mia donna, che dovesse far conto di esser essa destinata alla custodia delle leggi nella nostra casa, e che si recasse quando le paresse bene, a visitare 1e masserizie, come il capitano delle guardie si reca alla visita delle sentinelle; e che considerasse se ogni cosa si stia in quella condizione che si richiede, come fa alcuna volta il senato l’esame dei cavalli, e dei cavalieri; e che a guisa di regina desse ad ogni suo potere e lodi e onori a chi se ne mostri degno, e biasimi e pene a chi ne sia meritevole. Appresso 1e dimostrai, che ingiustamente le graverebbe se nei nostri averi troppo più da fare io assegno a lei che ai servi, perocchè le diedi a divedere come i servi non hanno altra parte nelle sostanze dei padroni, se non in quanto a loro to si spetta di trasportarle, e di prestare tutti quei servigii che richiedono, e di averne la custodia: di usarne poi a niuno è concesso se non gliele dia chi le possiede. Tutto si è del padrone ed egli solo può [p. 56 modifica]servirsi di ciascuna cosa secondo che gli è a grado: chi adunque, e di ciò che si conserva, ne ha sopra ad ogni altro massimamente l’utile, e di ciò che si guasta, e corrompe ne ha sopra ad ogni altro massimamente il danno, le feci manifesto che quello medesimo a buon diritto doveva pure averne sopra ad ogni altro massimamente la cura. E udendoti la tua donna così dire, o Iscomaco, ne fu ella persuasa? E che altro, diss’egli, credi tu, che mi rispondesse se non che mi disse, che male mi apporrei, se pensassi di ordinarle cosa, che grave le fosse mostrandole che ad essa si apparteneva di aver cura de’suoi beni: anzi, seguitò ella a dire, che assai più grave le sarebbe se le ordinassi di trascurare, piuttosto che di dover dar opera a conservare le cose domestiche. Poichè sembra, disse, che siccome dei figli suoi propri, naturalmente avviene che ad una donna saggia sia più agevole l’averne cura, che il trascurarli; così ancora di ogni altro avere suo proprio, il quale 1e sia a grado, disse ella stimare, che riuscir debba più grato ad una donna saggia l’averne cura, che il porlo in non cale.