L'Asino e il Caronte/Il Caronte/Scena VIII
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Traduzione dal latino di Marcello Campodonico (1918)
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Scena VIII.
Mercurio, Eaco e Minosse.
Min. — Tu ci hai parlato, o Mercurio, di grandi portenti sulla terra: terremoti, comete, sole senza raggi ecc. Ma mi dici che cosa presagiscono?
Merc. — Guerra e peste.
Min. — Guerra da chi?
Merc. — Dai sacerdoti e dai Papi.
Min. — Da quelli dunque dai quali dovrebbe venire la pace?
Merc. — La pace la vogliono a parole, ma nei fatti vogliono la guerra.
Min. — E per qual ragione?
Merc. — Per ampliare il proprio regno.
Min. — Sempre per avarizia, dunque!
Merc. — Sempre: che in essi è tanta, quanta non si potrà mai dire.
Min. — E gli altri Stati d’Italia non si uniscono per difendere la propria libertà?
Merc. — Libertà di nome c’è in esse; in realtà non c’è che tirannide, e ognuno cerca di profittare più che può del potere. Ogni giorno perciò vi sono proscrizioni di cittadini; e vi si vive non secondo ragione e prudenza, ma secondo vogliono l’interesse e i partiti.
Min. — Libertà destinata a perir presto! Questo nelle repubbliche; ma i re?
Merc. — I re sono stranamente nemici fra loro; e siccome non pensano che a godere il presente, senza provvedere al futuro, non s’accorgono che fra poco essi e le loro città cadranno in potestà di stranieri. Vanitosi e corrotti, non san concepire nulla che sia degno di principi e di cittadini italiani.
Min. — Proprio è morta ogni Romana virtù! E quantunque io sono nato greco, pure, se considero che nessun’altra nazione ebbe cittadini più forti e più giusti dei Romani, e che meglio di essi abbiano formulato le regole del buon vivere sociale, mi fa male al cuore pensando che ormai non Roma soltanto ma l’Italia tutta è vuota di uomini di vero valore.
Merc. — Raramente discende per li rami l’umana virtù: gli altri beni si possono lasciare per testamento, ma la virtù non si eredita; e come il sole si leva al mattino e la sera tramonta, così avviene anche dei regni; ed ogni umana istituzione viene trasformata e travolta dal tempo. L’ordine delle cose celesti e le mutazioni del firmamento muovono e determinano ogni cosa.
E tu, perchè piangi, o Eaco? Tu pensi alla tua illustre stirpe, così miseramente scomparsa! E dov’è la gloria di Atene? Non più in essa han sede le Muse, ma si può dire che Atene stessa più non esiste. Non più Atene, non più Grecia; tutto ha preso e distrutto il barbaro vincitore. Città rovinate e deserte, ogni arte ogni scienza spenta; non più l’ombra della libertà, ma la più triste delle schiavitù! Che se in Italia rimane ancora un resto dell’antica grandezza, in Grecia è scomparsa del tutto, e qualche vestigio della greca civiltà si serba soltanto in Italia.
Eaco. — Se non mi turbasse il pensiero della rovina della mia stirpe e della caduta della mia patria, non sarei uomo giusto. Anche dopo la morte rimane dentro di noi l’amore e il pensiero di ciò che abbiamo più amato in vita. Ma quella legge di natura di cui tu pocanzi parlavi, per cui tutte le cose del mondo nascono crescono e muoiono, so ch’è la volontà di Dio; e perciò mi rassegno.
E tu, Minosse, che ti turbavi all’udir le intestine discordie che travagliano l’Italia, odi una mia profezia: «fra non molti secoli l’Italia, riunita sotto il governo di un solo, riprenderà la maestà dell’impero».1
Min. — Grande speranza è questa! Ma purtroppo mi spaventa ciò che Mercurio ci ha detto poco fa, sulle calamità che si preparano all’Italia.
Merc. — Potete anche pensare quanto sia breve il tratto dalla Macedonia e dall’Epiro alle Puglie o nella Calabria, e quanto sia facile passare dalla Dalmazia nel Veneto: ora voi dovete sapere che tutti quei paesi sono già in possesso dei Turchi, e che da pochi giorni si sono spinti anche nella Liburnia e nella Croazia.
Eaco. — ... Certo, grave pericolo è questo; ma peggio è — se dobbiamo guardare al passato — quello che ha minacciato sempre l’Italia da parte dei Galli e dei Germani.
Merc. — L’avvenire è nel grembo di Giove, e a me non sta svelare il futuro.
Eaco. — Per questo, forse abbiamo ragionato anche troppo delle sorti del mondo; se Dio governa ogni cosa con la sua Provvidenza, lasciamo fare a lui ch’è Buon Vecchio...
Min. — Giustissimo. E per questo, giacchè vedo là Caronte partito con la sua barca ben carica, affrettiamoci anche noi verso il nostro collega...
Merc. — Andate; chè un gran da fare vi si prepara. E sappiate che non solamente i portenti del cielo e il corso delle comete annunziano grandi rovine, ma anche molti altri presagi dalle acque e dalla terra e dall’atmosfera. Andate: io sto qui ad aspettare Caronte.
Note
- ↑ Queste parole veramente profetiche meritano di essere riportate nel testo: Haud multis post saeculis futurum auguror ut Italia, cuius intestina te odia male habent, Minos, in unius redacta ditionem, resumat imperii maiestatem.