L'Asino e il Caronte/Il Caronte/Scena V

Scena V.

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Scena V.


Caronte e Mercurio mentre passeggiano.


Car. — Come è piacevole un intermezzo di riposo in mezzo ad occupazioni faticose! E se in quel riposo vi si offre un piacere, quanto questo risulta più gradito! Io per me ho sempre pensato che la voluttà deve essere rara, e che tanto più è dilettevole quanto più è onesta. L’ozio poi non l’ho mai approvato, e il riposo devesi concedere soltanto per ristorare le forze del corpo o per sollievo dalle cure dell’animo. In questi ultimi due anni non ho avuto un piacere maggiore di quello d’oggi... Come scorre limpido e blando questo ruscello! si scorgono nitide le pietruzze e l’erbe del suo alveo!...

Merc. — Tale scorre il Clitunno1 attraverso il paese degli Umbri; soltanto che quello è più ricco d’acque, e questo, non facendo alcun gorgo ma scorrendo sempre placido e lene, ha le rive più amene e più dilettevoli ancora. Che ne dici di questi prati, Caronte?

Car. — Quanti bei fiori! e quanto profumo!... Questi di color ferrigno che fiori sono?

Merc. — Sono quelli che i mortali chiamano viole, o garofani, e di cui si fan le corone, mescolandoli coi ligustri.

Car. — E quali sono i ligustri?

Merc. — Quelli là su quella sponda, che han tanti fiori e così candidi...

Car. — Da noi li chiamano albicanti... [p. 103 modifica]

Merc. — Questo poi è il fiore più in pregio presso i superni: lo chiamano rosa.

Car. — Come se fosse fatto di rugiada...

Merc. — Proprio di rugiada... Ora guarda lì: si può trovar nulla più bello del fior di giacinto?

Car. — Eppure al mattino versa le sue lagrimucce, e per questo gli ortolani lo chiamano «il tristerello».

Merc. — C’è chi legge in esso anche un’esclamazione di dolore...

Car. — In mezzo a tanti fiori non si sente stanchezza di cammino: affrettiamoci un poco per non far tardi...

Merc. — È proprio dell’uomo assennato non lasciar correre inutilmente il tempo, anche in mezzo al piacere.

Car. — Il piacere non lascia sentir la fatica; direi anzi che l’attività è di per sè stessa un piacere, un grande piacere. Ahimè! siamo quasi alla fine del prato; e se non m’inganno, là sotto quel vecchio cipresso i due giudici ci attendono. Teniamo d’occhio quel cipresso, per non smarrirci ora nel bosco.


Note

  1. Il Clitunno sulle rive d’Acheronte! Il Pontano non l’ha mai dimenticato... Ma ci vuole un bell’ardire!