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Scena V.


Caronte e Mercurio mentre passeggiano.


Car. — Come è piacevole un intermezzo di riposo in mezzo ad occupazioni faticose! E se in quel riposo vi si offre un piacere, quanto questo risulta più gradito! Io per me ho sempre pensato che la voluttà deve essere rara, e che tanto più è dilettevole quanto più è onesta. L’ozio poi non l’ho mai approvato, e il riposo devesi concedere soltanto per ristorare le forze del corpo o per sollievo dalle cure dell’animo. In questi ultimi due anni non ho avuto un piacere maggiore di quello d’oggi... Come scorre limpido e blando questo ruscello! si scorgono nitide le pietruzze e l’erbe del suo alveo!...

Merc. — Tale scorre il Clitunno1 attraverso il paese degli Umbri; soltanto che quello è più ricco d’acque, e questo, non facendo alcun gorgo ma scorrendo sempre placido e lene, ha le rive più amene e più dilettevoli ancora. Che ne dici di questi prati, Caronte?

Car. — Quanti bei fiori! e quanto profumo!... Questi di color ferrigno che fiori sono?

Merc. — Sono quelli che i mortali chiamano viole, o garofani, e di cui si fan le corone, mescolandoli coi ligustri.

Car. — E quali sono i ligustri?

Merc. — Quelli là su quella sponda, che han tanti fiori e così candidi...

Car. — Da noi li chiamano albicanti...


  1. Il Clitunno sulle rive d’Acheronte! Il Pontano non l’ha mai dimenticato... Ma ci vuole un bell’ardire!