L'Asino (Machiavelli)/Capitolo terzo

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CAPITOLO TERZO.


DIetro alle piante della mia duchessa
     Andando colle spalle volte al Cielo,
     3Tra quella turba d’animali spessa;
Or mi prendeva un caldo, ed ora un gelo;
     Or le braccia tremando mi cercava,
     6S’elle avevan cangiato pelle, o pelo.
Le mani, e le ginocchia io mi guastava;
     O voi, che andate alle volte carponi,
     9Per discrezion pensate, com’io stava.
Er’ito forse un’ora ginocchioni
     Tra quelle fiere, quando capitamo
     12In un fossato tra duo gran valloni.
Vedere innanzi a noi non potevamo,
     Però che il lume tutti ci abbagliava,
     15Di quella donna, che noi seguivamo.
Quando una voce udimmo, che fischiava
     Col rumor d’una porta, che s’aperse,
     18Di cui l’un, e l’altro uscio cigolava.
Come la vista, e ’l riguardar s’offerse,
     Dinanzi agli occhi nostri un gran palazzo
     21Di mirabile altura si scoperse.
Magnifico, e spazioso era lo spazzo;
     Ma bisognò, per arrivare a quello,
     24Di quel fossato passar l’acqua a guazzo.
Una trave faceva ponticello,
     Sopra cui sol passò la nostra scorta,
     27Non potendo le bestie andar sopr’ello.
Giunti che fummo a piè dell’altra porta,
     Pien d’affanno, e d’angoscia entrai drento,
     30Tra quella turba, ch’è peggio che morta.

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E fummi assai di minor spavento,
     Chè la mia donna, perch’io non temessi,
     33Avea nell’entrar quivi il lume spento.
E questo fu cagion, ch’io non vedessi,
     D’onde si fosse quel fischiar venuto,
     36O chi aperto nell’entrar ci avessi.
Così tra quelle bestie sconosciuto
     Mi ritrovai in un ampio cortile,
     39Tutto smarrito senza esser veduto.
E la mia donna bella, alta, e gentile
     Per ispazio d’un’ora, o più, attese
     42Le bestie a rassettar nel loro ovile.
Poi tutta lieta per la man mi prese,
     Ed in una sua camera menommi,
     45Dove un gran fuoco di sua mano accese;
Col qual cortesemente rasciugommi
     Quell’acqua, che mi avea tutto bagnato,
     48Quando il fossato passar bisognommi.
Poscia ch’io fui rasciutto, e riposato
     Alquanto dall’affanno, e dispiacere,
     51Che quella notte m’avea travagliato;
Incominciai: Madonna, il mio tacere
     Nasce, non già perch’io non sappia a punto
     54Quanto ben fatto m’hai, quanto piacere.
Io era al termin di mia vita giunto
     Per luogo oscuro, tenebroso, e cieco,
     57Quando fui dalla notte sopraggiunto.
Tu mi menasti, per salvarmi, teco:
     Dunque la vita da te riconosco,
     60E ciò che intorno a quella porto meco.
Ma la memoria dell’oscuro bosco
     Col tuo bel volto m’han fatto star cheto,
     63Nel quale ogni mio ben veggo, e conosco,

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Che fatto m’hanno ora doglioso, or lieto;
     Doglioso, per quel mal, che venne pria;
     66Allegro, per quel ben, che venne drieto;
Che potuto non ha la voce mia
     Esplicar a parlare, infin ch’io sono
     69Posato in parte della lunga via.
Ma tu nelle cui braccia m’abbandono,
     E che tal cortesia usata m’hai,
     72Che non si può pagar con altro dono,
Cortese in questa parte ancor sarai,
     Che non ti gravi sì, che tu mi dica
     75Quel corso di mia vita, che tu sai.
Tra la gente moderna, e tra l’antica,
     Cominciò ella, alcun mai non sostenne
     78Più ingratitudin, nè maggior fatica.
Questo già per tua colpa non t’avvenne,
     Come viene ad alcun; ma perchè sorte
     81Al tuo bene operar contraria venne.
Questa ti chiuse di pietà le porte,
     Quando che questa al tutto t’ha condutto
     84In questo luogo sì feroce, e forte.
Ma perchè il pianto all’uom fu sempre brutto,
     Si debbe a’ colpi della sua fortuna
     87Voltar il viso di lagrime asciutto.
Vedi le stelle, e ’l Ciel, vedi la Luna,
     Vedi gli altri Pianeti andar errando
     90Or alto, or basso, senza requie alcuna.
Quando il ciel vedi tenebroso, e quando
     Lucido, e chiaro: e così nulla in terra
     93Vien nello stato suo perseverando.
Di quivi nasce la pace, e la guerra;
     Di quì dipendon gli odj tra coloro,
     96Ch’un muro insieme, ed una fossa serra.

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Da questo venne il tuo primo martoro;
     Da questo nacque al tutto la cagione
     99Delle fatiche tue senza ristoro.
Non ha cangiato il Cielo oppinione
     Ancor, nè cangierà, mentre che i Fati
     102Tengon ver te la lor dura intenzione.
E quelli umori, i quai ti sono stati
     Cotanto avversi, e cotanto nemici,
     105Non sono ancor, non sono ancor purgati.
Ma come secche fien le lor radici,
     E che benigni i Ciel si mostreranno,
     108Torneran tempi più che mai felici;
E tanto lieti, e giocondi saranno,
     Che ti darà diletto la memoria
     111E del passato, e del futuro danno.
Forse che ancor prenderai vana gloria,
     A queste genti raccontando, e quelle
     114Delle fatiche tue la lunga istoria.
Ma prima che si mostrin queste Stelle
     Liete verso di te, gir ti conviene
     117Cercando il mondo sotto nuova pelle.
Che quella Provvidenza, che mantiene
     L’umana spezie, vuol che tu sostenga
     120Questo disagio per tuo maggior bene.
Di quì conviene al tutto che si spenga
     In te l’umana effigie, e senza quella
     123Meco tra l’altre bestie a pascer venga.
Nè può mutarsi questa dura Stella;
     E, per averti in questo luogo messo,
     126Si differisce il mal, non si cancella.
E lo star meco alquanto t’è permesso,
     Acciò del luogo esperienza porti,
     129E degli abitator, che stanno in esso.

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Adunque fa, che tu non ti sconforti;
     Ma prendi francamente questo peso
     132Sopra gli omeri tuoi solidi, e forti,
Che ancor ti gioverà d’averlo preso.