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C.
SICILIA E LA RIVOLUZIONE
Da le vette de l’Etna fumanti
Ben ti levi, o facella di guerra:
Su le tombe de’ vecchi giganti
4Come bella e terribil sei tu!
Oh, trasvola! per l’itala terra
Corri, ed empi d’incendio ogni lido!
Uno il core, uno il patto, uno il grido:
8Né stranier né oppressori mai piú!
O seduti ne gli aulici scanni,
A che i patti mentite e la pace?
Solo è pace tra servi e tiranni
12Quando morte la lite finí:
Ma il nemico su ’l campo non giace,
Né lasciò da la man sanguinante
La catena che in saldo adamante
16Nel silenzio de’ secoli ordí.
Come il turpe avvoltoio ripara,
Franto l’ali dal turbine, al covo,
E ne l’ozio inquïeto prepara
20Pur li artigli la fame ed il vol;
Vergognando il pericolo novo
La barbarie le forze rintégra,
Ne le insidie la speme rallegra,
24Pria li spirti quindi occupa il suol.
Or su via! Fin che il truce signore
Tien sol una de l’itale glebe
E de’ regi custodi il terrore
28Tra l’Italia e l’Italia interpon;
Fin che d’Austria e Boemia la plebe
Si disseta di Mincio e di Brenta,
E il cavallo de l’Istro s’avventa
32Dove al passo confini non son;
Fino al dí, verdi retiche vette,
Che su voi splenda l’asta latina;
Sciagurato chi pace promette,
36Chi la mano a la spada non ha!
Presto in armi! l’antica rapina
Ceda innanzi a l’eterno diritto!
Come Amazzoni ardenti al conflitto.
40Presto in armi le cento città!
O Milan, la tua pingue pianura
Crebbe pur de le bianche lor ossa,
E i destrieri sferzò la paura
44Quando inerme il tuo popol ruggí:
O Milano, a la terza riscossa
Gitta l’ultima sfida, e t’affretta;
Il drappel de la morte t’aspetta,1
48Ch’è risorto al novissimo dí.
Bello il sangue che ancor su la gonna
Tua ducale rosseggia e sfavilla!
Non forbirlo, o de’ Liguri donna;
52Odi, a vespro Palermo sonò!
Pittamuli, Carbone, Balilla
Scalzi corran da Prè da Portoria,
Sotto il nobile segno de i Doria,
56Dietro il sasso che i mille cacciò.
Dove sono, o Bologna, i possenti,
I guerrier de la tua Montagnola?
Quei che incontro a’ metallí roventi
60Volan come fanciulle a danzar?
Non piú fren di levitica stola
Al furor de le sacre tenzoni!
Spingi in caccia i tuoi torvi leoni!
64Senti il cenno per l’aure squillar!
O de Mella viragine forte,
Batti pur su le incudi sonanti,
Stringi pure in arnesi di morte
68Del tuo ferro il domato rigor;
Ma rammenta i tuoi pargoli infranti
Su le soglie, i tuoi vecchi scannati,
Ed i petti materni frugati
72Da le spade, e l’irriso dolor.
O Firenze, tua libera prole
Dorme tutta ne’ templi de’ padri
O su’ monti ove l’ultimo sole
76Il tuo Decio cadendo attestò?
Odo un gemito lungo di madri
Volto al Mincio ed al memore piano
Gli occhi avvalla riscosso il Germano
80Da le torri vegliate, e tremò:
Ché un clamor d’irrompente battaglia
Sorge ancor da la trista pianura,
E le azzurre sue luci abbarbaglia
84D’incalzanti coorti il fulgor.
A la cinta de l’ispide mura
Su correte, o progenie di forti!
Qui la muta legione de’ morti
88Qui vi chiama, ed il conscio furor.
Chi è costui che cavalca glorioso
In tra i lampi del ferro e del foco,
Bello come nel ciel procelloso
92Il sereno Orïone compar?
Ei si noma, e a’ suoi cento diêr loco,
Le migliaia da i re congiurate:
Ei si noma, e città folgorate
96Su le ardenti ruine pugnâr.
Come tuono di nube, disserra
Ei li sdegni che Italia raguna:
Ei percuote d’un piede la terra,
100E la terra germoglia guerrier.
Garibaldi!... Da l’erma laguna
Leva il capo, o Venezia dolente:
Tu raccogli, o de l’itala gente
104Madre Roma, lo scettro e l’imper.
Su, da’ monti Carpazi a la Drava,
Da la Bosnia a le tessale cime,
Dove geme la Vistola schiava,
108Dove suona di pianti il Balcan!
Su, d’amore nel vampo sublime
Scoppin l’ire de l’alme segrete!
Genti oppresse, sorgete, sorgete!
112Ne la pugna vi date la man!
Da li scogli che frangon l’Egeo,
Da le rupi ove l’aquile han covo,
O fratelli di Grecia, al Pireo!
116Contro l’Asia Temistocle è qui.
Serbo, attendi! su ’l pian di Cossovo
Grande l’ombra di Lazaro s’alza;
Marco prence da l’antro fuor balza,
120E il pezzato destriero annitrí.2
Strappa omai de’ Corvini la lancia
Da le sale paterne, o Magiaro;
Su ’l tuo nero cavallo ti slancia
124A le pugne de i liberi dí.
In fra ’l gregge che misero e raro
L’asburghese predon t’ha lasciato,
Perché piangi, o fratello Croato,
128Il figliuol che in Italia morí?
In quell’uno che tutti ci fiede,
Che si pasce del sangue di tutti,
Di giustizia d’amore di fede
132Tutti armati leviamoci su.
E tu, fine de gli odii e de i lutti,
Ardi, o face di guerra, ogni lido!
Uno il cuore, uno il patto, uno il grido:
136Né stranier né oppressori mai piú.
Note
- ↑ [p. 290 modifica]Occorre dire che accenno alla Compagnia della morte, la quale combattè a Legnano intorno al Carroccio? e della quale il Berchet, Fantasie iii,
Dio fu nosco. Al drappel de la Morte,
Alla foga dei carri falcati
Ei fu guida....
- ↑ [p. 290 modifica]Su ’l piano di Cossovo fu combattuta il 15 giugno del 1389 la battaglia tra Serbi e Turchi ove cadde tra migliaia di prodi Lazaro re di Serbia e la nazione, e che è omericamente celebrata nei canti popolari serbi, al cui paragone si vede bene la gran miseria che sono certe altre poesie popolari. Quei canti narrano anche i grandi e gli ameni fatti di Marco Kraglievich (principe), l’Achille e il Rinaldo serbico. “Visse censessant’anni; second’altri trecento [p. 291 modifica]. Altri imagina che dopo l’ultima battaglia si ritraesse in una caverna, quando vide la canna del primo moschetto. Dio a lui pregante dié un sonno che non si romperà se non quando gli cadrà da sé la spada dal fodero. Si sente talvolta il suo cavallo nitrire; e la spada è già mezza fuori„: cosí il signor Boné nella versione di Nicolò Tommasèo, traduttore e illustratore degno della poesia illirica.