Istorie fiorentine/Libro sesto/Capitolo 28

Libro sesto

Capitolo 28

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Travagliandosi per tanto la guerra di Lombardia con varii ma deboli accidenti e poco degni di memoria, in Toscana nacque medesimamente la guerra del re Alfonso e de’ Fiorentini, la quale non si maneggiò con maggiore virtù né con maggiore pericolo che si maneggiasse quella di Lombardia. Venne in Toscana Ferrando, figliuolo non legittimo di Alfonso, con dodici mila soldati, capitaneati da Federigo signore di Urbino. La prima loro impresa fu ch’eglino assalirono Foiano in Val di Chiana; perché, avendo amici i Sanesi, entrorono da quella parte nello imperio fiorentino. Era il castello debile di mura, piccolo, e per ciò non pieno di molti uomini; ma secondo quelli tempi, erano reputati feroci e fedeli. Erano in quello dugento soldati mandati dalla Signoria per guardia di esso. A questo così munito castello Ferrando si accampò; e fu tanta, o la gran virtù di quelli di dentro o la poca sua, che non prima che dopo trentasei giorni se ne insignorì. Il quale tempo dette commodità alla città di provedere gli altri luoghi di maggiore momento, e di ragunare le loro genti, e meglio che non erano, alle difese loro ordinarsi. Preso i nimici questo castello, passorono nel Chianti, dove due piccole ville possedute da privati cittadini non poterono espugnare. Donde che, lasciate quelle, se n’andorono a campo alla Castellina, castello posto a’ confini del Chianti, propinquo a dieci miglia a Siena, debile per arte, e per sito debilissimo; ma non poterono per ciò queste due debolezze superare la debolezza dello esercito che lo assalì, perché, dopo quarantaquattro giorni che gli stette a combatterlo, se ne partì con vergogna. Tanto erano quelli eserciti formidabili e quelle guerre pericolose, che quelle terre le quali oggi come luoghi impossibili a defenderli si abbandonano, allora come cose impossibili a pigliarsi si defendevono. E mentre che Ferrando stette con il campo in Chianti, fece assai correrie e prede nel Fiorentino, e corse infino propinquo a sei miglia alla città, con paura e danno assai de’ sudditi de’ Fiorentini. I quali in questi tempi, avendo condotte le loro genti, in numero di ottomila soldati, sotto Astor da Faenza e Gismondo Malatesti, verso il castello di Colle, le tenevano discosto al nimico, temendo che le non fussino necessitate di venire a giornata; perché giudicavano, non perdendo quella, non potere perdere la guerra; perché le piccole castella, perdendole, con la pace si recuperano, e delle terre grosse erano securi, sapiendo che il nimico non era per assalirle. Aveva ancora il Re una armata di circa venti legni, tra galee e fuste, ne’ mari di Pisa; e mentre che per terra la Castellina si combatteva, pose questa armata alla rocca di Vada, e quella, per poca diligenzia del castellano occupò, per che i nimici di poi il paese allo intorno molestavano; la quale molestia facilmente si levò via per alcuni soldati che i Fiorentini mandorono a Campiglia, i quali tenevano i nimici stretti alla marina.