Istorie fiorentine/Libro sesto/Capitolo 18

Libro sesto

Capitolo 18

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Ma venuta la primavera, uscirono gli eserciti viniziani e milanesi alla campagna. Desideravano i Milanesi acquistare Lodi, e di poi fare accordo con i Viniziani, perché le spese della guerra erano loro rincresciute e la fede del capitano era loro sospetta; tal che sommamente desideravano la pace, per riposarsi e per assicurarsi del Conte. Deliberorono per tanto che il loro esercito andassi allo acquisto di Caravaggio, sperando che Lodi si arrendesse qualunque volta quel castello fusse tratto delle mani del nimico. Il Conte ubbidì a’ Milanesi, ancora che l’animo suo fussi passare l’Adda e assalire il Bresciano. Posto dunque lo assedio a Caravaggio, con fossi e altri ripari si affortificò, acciò che, se i Viniziani volessero levarlo da campo, con loro disavvantaggio lo avessero ad assalire. I Viniziani dall’altra parte vennono con il loro esercito, sotto Micheletto loro capitano, propinqui a duoi tiri d’arco al campo del Conte; dove più giorni dimororono, e feciono molte zuffe. Non di meno il Conte seguiva di strignere il castello, e lo aveva condotto in termine che conveniva si arrendesse, la quale cosa dispiaceva ad i Viniziani, parendo loro, con la perdita di quello, avere perduta la impresa. Fu per tanto intra i loro capitani grandissima disputa del modo del soccorrerlo; né si vedeva altra via che andare dentro ai suoi ripari a trovare il nimico; dove era disavvantaggio grandissimo; ma tanto stimorono la perdita di quel castello che il Senato veneto, naturalmente timido e discosto da qualunque partito dubio e pericoloso, volle più tosto, per non perdere quello, porre in pericolo il tutto, che, con la perdita di esso, perdere la impresa. Feciono adunque deliberazione di assalire in qualunque modo il Conte; e levatisi una mattina di buona ora in arme, da quella parte che era meno guardata lo assalirono, e nel primo impeto, come interviene nelli assalti che non si aspettono, tutto lo esercito sforzesco perturborono. Ma subito fu ogni disordine da il Conte in modo riparato, che i nimici, dopo molti sforzi fatti per superare gli argini, furono, non solamente ributtati, ma in modo fugati e rotti, che di tutto lo esercito, dove erano meglio che dodici mila cavagli, non se ne salvorono mille, e tutte loro robe e carriaggi furono predati; né mai fino a quel dì fu ricevuta dai Viniziani la maggiore e più spaventevole rovina. E intra la preda e i presi fu trovato... proveditore viniziano, il quale, avanti alla zuffa e nel maneggiare la guerra, aveva parlato vituperosamente del Conte, chiamando quello bastardo e vile, di modo che, trovandosi dopo la rotta prigione, e de’ suoi falli ricordandosi, dubitando non essere secondo i suoi meriti premiato, arrivato avanti al Conte, tutto timido e spaventato, secondo la natura degli uomini superbi e vili, la quale è nelle prosperità essere insolenti e nelle avversità abietti e umili, gittatosi lagrimando ginocchione, gli chiese delle ingiurie contro a quello usate perdono. Levollo il Conte; e presolo per il braccio gli fece buono animo, e confortollo a sperare bene. Poi gli disse che si maravigliava che uno uomo di quella prudenza e gravità che voleva essere tenuto egli fusse caduto in tanto errore di parlare sì vilmente di coloro che non lo meritavano; e quanto apparteneva alle cose che quello gli aveva rimproverate, che non sapeva quello che Sforza suo padre si avesse con madonna Lucia sua madre operato, perché non vi era e non aveva potuto a’ loro modi del congiugnersi provedere, talmente che di quello che si facessero e’ non credeva poterne biasimo o lode riportare; ma che sapeva bene che di quello aveva avuto ad operare egli, si era governato in modo che niuno lo poteva riprendere; di che egli e il suo Senato ne potevono fare fresca e vera testimonianza. Confortollo a essere per lo avvenire più modesto nel parlare d’altrui e più cauto nelle imprese sue.