Istorie fiorentine/Libro quarto/Capitolo 3

Libro quarto

Capitolo 3

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Rinfrescando adunque costoro con i loro sinistri modi, ogni dì, l’odio nello universale, e non vigilando le cose nocive per non le temere, o nutrendole per invidia l’uno dell’altro, feciono che la famiglia de’ Medici riprese autorità. Il primo che in quella cominciò a risurgere fu Giovanni di Bicci. Costui, sendo diventato ricchissimo, ed essendo di natura benigno e umano, per concessione di quegli che governavano fu condotto al supremo magistrato. Di che per lo universale della città se ne fece tanta allegrezza, parendo alla moltitudine aversi guadagnato uno defensore, che meritamente ai più savi la fu sospetta, perché si vedeva tutti gli antichi umori cominciare a risentirsi. E Niccolò da Uzano non mancò di avvertirne gli altri cittadini, mostrando quanto era pericoloso nutrire uno che avesse nello universale tanta reputazione; e come era facile opporsi a’ disordini ne’ principii, ma lasciandogli crescere, era difficile il rimediarvi; e che cognosceva come in Giovanni erano molte parti che superavano quelle di messer Salvestro. Non fu Niccolò da’ suoi uguali udito, perché avevano invidia alla reputazione sua e desideravano avere compagni a batterlo. Vivendosi per tanto in Firenze intra questi umori, i quali occultamente cominciavano a ribollire, Filippo Visconti, secondo figliuolo di Giovanni Galeazzo, sendo, per la morte del fratello, diventato signore di tutta Lombardia, e parendogli potere disegnare qualunque impresa, desiderava sommamente riinsignorirsi di Genova, la quale allora, sotto il dogato di messer Tommaso da Campo Fregoso, libera si viveva; ma si diffidava potere o quella o altra impresa ottenere, se prima non publicava nuovo accordo co’ Fiorentini, la riputazione del quale giudicava gli bastasse a potere a’ suoi desiderii sodisfare. Mandò per tanto suoi oratori a Firenze a domandarlo. Molti cittadini consigliavano che non si facesse; ma che, sanza farlo, nella pace che molti anni s’era mantenuta seco si perseverasse, perché cognoscevono il favore che il farlo gli arrecava e il poco utile che la città ne traeva. A molti altri pareva da farlo, e per virtù di quello imporgli termini, i quali trapassando, ciascuno cognoscesse il cattivo animo suo, e si potesse, quando e’ rompesse la pace, più giustificatamente fargli la guerra. E così, disputata la cosa assai, si fermò la pace, nella quale Filippo promisse non si travagliare delle cose che fussero dal fiume della Magra e del Panaro in qua.