Intra i primi che volevono la impresa, come di sopra dicemmo, era messer Rinaldo. Mostrava costui l’utile che si traeva dello acquisto; mostrava la occasione della impresa, sendo loro lasciata in preda dai Viniziani e da il Duca, né possendo essere dal Papa, implicato nelle cose del Regno, impedita. A questo aggiugneva la facilità dello espugnarla, sendo serva d’un suo cittadino e avendo perduto quel naturale vigore e quello antico studio di difendere la sua libertà; in modo che, o dal popolo per cacciarne il tiranno, o dal tiranno per paura del popolo, la sarà concessa. Narrava le ingiurie del signore, fatte alla republica nostra, e il malvagio animo suo verso di quella; e quanto era pericoloso, se di nuovo o il Papa o il Duca alla città movesse guerra; e concludeva che niuna impresa mai fu fatta da il popolo fiorentino né più facile, né più utile, né più giusta. Contro a questa opinione, Niccolò da Uzano disse che la città di Firenze non fece mai impresa più ingiusta, né più pericolosa, né che da quella dovessero nascere maggiori danni. E prima, che si andava a ferire una città guelfa, stata sempre amica al popolo fiorentino, e che nel suo grembo, con suo pericolo, aveva molte volte ricevuti i Guelfi che non potevono stare nella patria loro. E che nelle memorie delle cose nostre non si troverrà mai Lucca libera avere offeso Firenze ma se chi l’aveva fatta serva, come già Castruccio e ora costui, l’aveva offesa non si poteva imputare la colpa a lei, ma al tiranno. E se al tiranno si potesse fare guerra sanza farla a’ cittadini, gli dispiacerebbe meno; ma perché questo non poteva essere, non poteva anche consentire che una cittadinanza amica fusse spogliata de’ beni suoi. Ma poi che si viveva oggi in modo che del giusto e dello ingiusto non si aveva a tenere molto conto, voleva lasciare questa parte indietro, e pensare solo alla utilità della città. Credeva per tanto quelle cose potersi chiamare utili che non potevono arrecare facilmente danno: non sapeva adunque come alcuno poteva chiamare utile quella impresa dove i danni erano certi e gli utili dubbi. I danni certi erano le spese che la si tirava dietro, le quali si vedevano tante, che le dovevono fare paura ad una città riposata, non che ad una stracca d’una lunga e grave guerra, come era la loro; gli utili che se ne potevono trarre erano lo acquisto di Lucca; i quali confessava essere grandi, ma che gli era da considerare i dubi che ci erano dentro, i quali a lui parevono tanti, che giudicava lo acquisto impossibile. E che non credessero che i Viniziani e Filippo fussero contenti di questo acquisto; perché quelli solo mostravano consentirlo per non parere ingrati, avendo poco tempo innanzi, con i danari de’ Fiorentini, preso tanto imperio; quell’altro aveva caro che in nuova guerra e in nuove spese si implicassero, acciò che, attriti e stracchi da ogni parte, potesse di poi di nuovo assaltargli; e come non gli mancherà modo, nel mezzo della impresa e nella maggiore speranza della vittoria, di soccorrere i Lucchesi, o copertamente, con danari, o cassare delle sue genti e come soldati di ventura mandarli in loro aiuto. Confortava per tanto ad astenersi dalla impresa, e vivere con il tiranno in modo che se gli facesse, dentro, più inimici si potesse, perché non ci era più commoda via a subiugarla, che lasciarla vivere sotto il tiranno e da quello affliggere e indebolire; per che, governata la cosa prudentemente, quella città si condurrebbe in termine che il tiranno non la potendo tenere, ed ella non sapendo né potendo per sé governarsi, di necessità cadrebbe loro in grembo. Ma che vedeva gli umori mossi, e le parole sua non essere udite. Pure voleva pronosticare loro questo: che farebbono una guerra dove spenderebbono assai, correrebbonvi dentro assai pericoli, e in cambio di occupare Lucca, la libererebbono dal tiranno, e di una città amica, subiugata e debole farebbono una città libera, loro nimica, e, con il tempo, uno ostaculo alla grandezza della republica loro.