Istorie fiorentine/Libro quarto/Capitolo 18

Libro quarto

Capitolo 18

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Perduta adunque quasi che in un tratto e racquistata Volterra, non si vedeva cagione di nuova guerra, se l’ambizione degli uomini non la avesse di nuovo mossa. Aveva militato assai tempo per la città di Firenze, nelle guerre del Duca, Niccolò Fortebraccio, nato d’una sirocchia di Braccio da Perugia. Costui, venuta la pace, fu da’ Fiorentini licenziato, e quando e’ venne il caso di Volterra si trovava ancora alloggiato a Fucecchio, onde che i commissari, in quella impresa, si valsono di lui e delle sue genti. Fu opinione, nel tempo che messer Rinaldo travagliò seco quella guerra, lo persuadesse a volere, sotto qualche fitta querela, assaltare i Lucchesi, mostrandogli che, se e’ lo faceva, opererebbe in modo, a Firenze, che la impresa contro a Lucca si farebbe, ed egli ne sarebbe fatto capo. Acquistata pertanto Volterra, e tornato Niccolò alle stanze a Fucecchio, o per le persuasioni di messer Rinaldo, o per sua propria volontà, di novembre, nel 1429, con trecento cavagli e trecento fanti, occupò Ruoti e Compito, castella de’ Lucchesi; di poi, sceso nel piano, fece grandissima preda. Publicata la nuova a Firenze di questo assalto, si fece per tutta la città circuli di ogni sorte uomini, e la maggiore parte voleva che si facesse la impresa di Lucca. De’ cittadini grandi, che la favorivano erano quelli della parte de’ Medici, e con loro s’era accostato messer Rinaldo, mosso, o da giudicare che la fusse impresa utile per la republica, o da sua propria ambizione, credendo aversi a trovare capo di quella vittoria; quelli che la disfavorivano erano Niccolò da Uzano e la parte sua. E pare cosa da non la credere che sì diverso giudizio nel muovere guerra fusse in una medesima città, perché quelli cittadini e quel popolo che, dopo dieci anni di pace, avevono biasimato la guerra presa contro al duca Filippo per difendere la sua libertà, ora, dopo tante spese fatte e in tanta afflizione della città, con ogni efficacia domandassero che si movesse la guerra a Lucca per occupare la libertà d’altri, e dall’altro canto quelli che vollono quella biasimavano questa: tanto variano con il tempo i pareri, e tanto è più pronta la moltitudine ad occupare quello d’altri che a guardare il suo, e tanto sono mossi più gli uomini dalla speranza dello acquistare che dal timore del perdere; perché questo non è, se non da presso, creduto, quell’altra, ancora che discosto, si spera. E il popolo di Firenze era ripieno di speranza dagli acquisti che aveva fatti e faceva Niccolò Fortebraccio, e dalle lettere de’ rettori propinqui a Lucca; perché il vicario di Vico e di Pescia scrivevono che si dessi loro licenza di ricevere quelle castella che venivano a darsi loro, perché presto tutto il contado di Lucca si acquisterebbe. Aggiunsesi a questo lo ambasciadore mandato dal signore di Lucca a Firenze, a dolersi degli assalti fatti da Niccolò e a pregare la Signoria che non volesse muovere guerra a uno suo vicino e ad una città che sempre gli era stata amica. Chiamavasi lo ambasciadore messer Iacopo Viviani: costui, poco tempo innanzi, era stato tenuto prigione da Pagolo per avere congiuratogli contro; e benché lo avesse trovato in colpa, gli aveva perdonata la vita, e perché credeva che messer Iacopo gli avesse perdonata la ingiuria si fidava di lui. Ma ricordandosi più messer Iacopo del pericolo che del benifizio, venuto a Firenze, secretamente confortava i cittadini alla impresa. I quali conforti, aggiunti all’altre speranze, feciono che la Signoria ragunò il Consiglio, dove convennono quattrocentonovantotto cittadini, innanzi a’ quali per i principali della città fu disputata la cosa.