Istorie dello Stato di Urbino/Libro Secondo/Trattato Secondo/Capitolo Secondo
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CAPITOLO SECONDO.
Della Città d'Aleria, già nella Massa Trabaria situata: d'alcuni altri luoghi principali, che in questa medesima Provincia contengonsi.
- Dicitur à multis trabibus Trabaria Massa,
- Namq; abies summo plurima colle viret.
Leandro nella descrittione del Senonio paese, manifestando il modo, co'l quale à Roma da questi Monti i travi detti trasportansi, come quì sotto ne scrive: con ciò fosse cosa che quindi erano portati à Roma per edificare i Tempij, & altri edificij i grossi, e lunghi Abieti, come etiandio hoggidì parimente si conducono per la facilità di portarli al Tevere, poi à Roma. Di questa Provincia la Metropoli esser stata si crede l'antichissima Città d'Aleria, di cui gli vestigij vedonsi nella pianura, che dal suo nome Aleria anche s'appella, di presente sopra le rive del Candiano, giusto nel luogo, ove le radici ferma il Rocella Monte. E si come trà quelle glebe le ruine meravigliose si scuoprono, cosi che quella fosse nobile, popolata, e grande con piena fede attestano: mà perche lasciarono gli Scrittori (non sò per qual disaventura) di ragionar di lei, non posso dirne più di quanto la commune traditione addita, cioè, ch'ella volendosi à gli Romani mantenere fede, da Barbari, con l'altre, che alle violenze loro di resistere tentarono, venne saccheggiata, ed arsa; e che dalle sue ruine in un colle sfaldato da gli avanzati habitatori venisse rifatta; e dalle ripe del medesimo Colle, che in vece di mura lo circondavano, non più Aleria, mà delle ripe Castello nell'avenire il chiamassero. E dopò il corso di molti secoli, per essere gli suoi Cittadini d'affettione Guelfa; ben che per lo sito assai forte: tutta fiata un giorno da gli suoi habitatori lasciato solo, stando quelli ad una fiera, intenti à i lor negotij, fù da gli Urbinati Ghibellini sorpreso, saccheggiato, ed arso. Nè di queste ruine i Castel ripeggiani havendo aviso, lieti per li guadagni delle mercantate merci tornanono alle proprie case: mà trovando quelle fuora de i fondamenti, di un tal'esterminio punto non sapendo la causa, in uno meravgliati, confusi, ed afflitti restarono: E vedonsi della Patria privi, e delle case, non sapevano à qual partito pigliarsi; finalmente dopò lungo discorso trà i principali del Popolo si concluse, che spedir si dovessero Ambasciadori à Guglielmo Durante frate de' Predicatori, e Vescovo Mirsnatense detto lo speculatore, che Nuncio di Martino Quarto Sommo Pontefice nella Romagna trovavasi; il quale (per esser capo della lor parte, e di una ricca Badia in quel Territorio Abbate) di essi teneva protettione speciale. Questo inclito Prelato, in sentire de i poveri dispersi le infelici sciagure, à sue spese ricchissimo essendo, intorno alla sua Badia, sopra le ripe del Metauro, là dove più d'ogni altro luogo quel piano si allarga, volle, che di meglior conditione si edificasse di nuovo; e condotta à segno l'opera, dal suo nome Castel Durante chiamollo: Cosi in breve ragionamento asserisce, nel suo Piceno il Panfili:
- Planitie in lata Durantis moenia Castri
- Tradidit huic nomen conditor ipse suum.
E prima di questo, il medesimo scrisse il Biondo in queste parole: Interius vero ad Methauri superiora progredientes, planitiem inveniunt speciosissimam, in qua primum est Oppidum Methauro penninsulam circundatam, quod Guillielmus Durandi Carnotensis Decanus Pontificij Iuris consultissimus, speculi eius Doctrinae libri Auctor, cum Martini Quarti Pontificis Rom. Nuncius & Romandiolae Thesaurarius esset à fundamentis aedificavit, & à suo nomine Castrum Durantis appellavit.
Essendo poscia da Federico Feltrio posseduto, fù di molti edificij ampliato, e fatto illustre, singolarmente di un sontuoso Palazzo Ducale, in cui per suo diporto alcuni mesi dell’Anno risedeva; e dopò lui hanno l’istesso fatto i Successori, e più d’ogni altro Francesco Maria Secondo, & ultimo Duca d’Urbino, che di continuo quasi, con la sua numerosa, e nobilissima Corte habitandovi, à i Cittadini affettionossi in guisa, che ne gli officij de i reggimenti di Stato, non meno appresso la sua Persona, che ne i luoghi alla sua Giurisdittione soggetti, à tutti gli altri suoi suoi sudditi preferiva. Quivi mentr’egli visse, tenne per delitie un’amenissimo Barco, di alte, e di grosse muraglie racchiuso, e dall’onde Metaurense inaffiato in più parti; nel cui mezo un devoto, e venerando Monasterio di Religiosi Osservanti di S. Francesco trovandosi, sovente vi dimorava, passando l’avanzo del tempo de i negotij più gravi parte in Orationi, e parte in favellar di lettere con quei venerandi Padri; i quali (come ch’erano i più saggi di quella Religione) sapevano assai bene di quel devoto, e sapientissimo Prencipe incontrare i gusti, & appagarlo in tutto. Per maggior suo trattenimento sendosi egli privo de i solazzi gustevoli della caccia, e del cavalcare, di cui grandemente dilettossi da giovane, introdusse in Castel Durante la Religione de’ Chierici Minori, à’ quali consegnò la Chiesa del Crocifisso, fuori della Porta del Barco, con sofficienti entrate da potervi alimentare dodeci Religiosi; i quali trovandogli in ogni speculativa, e morale scienza eruditissimi, diede la sua privanza; e con la prattica lunga, verso la buontà di quelli crescendo l’affetto, lasciò loro, dopò la morte sua due cose, le più pretiose, che stimasse al Mondo, che fù il proprio corpo, fabricandosi per questo, mentre che visse, nella Chiesa loro la Tomba: e quella famosissima Libraria, la quale con infinita spesa fè di tutti gl’impressi Libri, da che il Magontino Giovan Catè ritrovò le stampe, sino à i correnti giorni. Dentro un Colle, che alle radici del Monte Berticchio, sopra la pianura del Barco si estolle alquanto, edificò un Palazzo, degno di essere da un suo pari habitato; nel cui circuito un delitiosissimo Giardino teneva in coltura. E nel Monte medemo gran copia di Cervi, non men che di Capri, e Daini teneva nel descritto Barco; alla caccia de’ quali, mentr’egli più vigorosi hebbe i pensieri attendeva molto: anzi, che gli suoi più favoriti Corteggiani facessero il medesimo prendeva il diletto. Quivi finalmente questo Signore ottagenario mancò, l’Anno 1631. nel mese d’Aprile; il cui cadavero con essequie solennissime, con lo Scetro in mano, e con la Corona in capo, di manto Ducale coperto fù (conforme disposto haveva) sepolto nella Tomba, che fabricossi vivente. Mancando in esso la Signoria di Casa Rovere; sicome la sua morte à tutta Italia increbbe, e dal suo Stato universalmente fù pianta; cosi assai più doglioso à Durantini si rese, per li danni che provare dovevano, per l’avenire privi restando, & Orfani del Padre amato, e tutelar della Patria , del Correttore de’ tristi, del Rimuneratore de’ buoni, del sostentatore de’ poveri, del protettore de’ pupilli, dell’Avocato giusto delle povere vedove, del Roboratore de’ deboli, del Sollevatore de gli oppressi, del Consolatore de gli afflitti, e del universal Benefattore d’ogn’uno in quella Terra: laonde il Sommo Pontefice URBANO VIII. di ciò informato, per consolare quei Cittadini, e popolo; compatendo alle doglianze loro, si compiacque di crear questa Terra Città; degna di quest’honore stimandola, per trovarsi in essa, più che di Città mediocre i requisiti; e l’Anno 1636. Honorato de gli Honorati per Vescovo primiero mandolli. E si come con questa dignità erasi di Castello in Città mutata; così l’antico nome lasciandosi, e preso quello del nuovo Benefattore, per aggettivo al nome generale, volle Cittade Urbania chiamarsi.
Huomini per la buontà dell’aria di ingegni sublimi hà questa Patria in ogni tempo prodotti, e più che d’ogni altro di Bramante si vanta, il quale sicome alle mecaniche, & alla visuale Architettura diede lo spirito; così di essa il nome alzò sino alle Stelle.
Da Urbania cinque miglia distante, verso l’Occaso, trovasi la Città di Sant’Angelo in Vado, già terra famosa, per l’industria de gli habitanti, e gran concorso di merci; di cui nel sopradetto luogo, come quì sotto ne scrive il Panfili.
- Angelus hinc quintum lapidem circumspicit Aluus,
- Limina mercator plurimus ista petit
E Flavio Biondo il medesimo affermando, come quì sotto ne scrive: Quinto inde milliario abest Sancti Angeli in Vado Oppidum, mercatoribus frequentatum. Questo nell’antico tempo chiamossi Metaurense Tiferno; non tanto per la fede, che ne dà Leandro nella descrittione dell’Umbria Senonia, con l’attestatione di Federico Bavatio, e d’alcuni Annali, e Pontificij Decreti; quanto per la testimonianza di molte pietre, con Elogi descritte, che in Roma, & altrove furono ad huomini Illustri di questa terra erette; ove non con altro nome si chiama che di Metaurense Tiferno. Probabilmente si crede, che la medesima fosse da i primi Barbari, che saccheggiarono l’Italia, con Petino distrutta, e che da gli suoi Cittadini dentro l’istesso luogo in successione di tempo, sotto la protettione di San Michel’Archangelo riedificata venisse; che per ciò nell’inanzi, dal volgo Sant’Angelo è stato sempre chiamato. Stè questa nobil Terra molt’Anni sotto la Signoria de gli Ubaldini, da cui passò à i Feltreschi, e nella divolution dello Stato Urbinese, venne à i Duchi della Rovere in Dominio; sotto il reggimento de’ quali, tanto in nobiltà s’accrebbe, che non solo alla maggior parte dell’altre Città più grandi della Regione medema andava al pari, mà per lo concorso de’ forastieri mercanti, e per lo valore de’ proprij Cittadini, assai divenne per tutta l'italia, in ogni più lodata professione, famosa. Del che havendo piena informatione il Sommo Pontefice URBANO VIII. publicò anco à favor suo il Decreto, in cui dichiarolla, insieme con Urbania, Cittade: ordinando che il Vescovo fosse ad amendue commune. E per levare le liti, che trà questi popoli suscitar potessero di maggioranza, volle che il medesimo Vescovo, una metà dell'Anno in ciascheduna di esse con gli suoi Corteggiani facesse la residenza, come pontualmente si essequisse.
D'Eroi questa Città è stata sempre gloriosa Madre si nell'armi, come nelle lettere, nelle prelature, nella pittura, & in ogni altra honorevol professione, havendone in varij tempi infiniti prodotti, come le carte parlano de' gravi Autori, e de' lor monumenti le pietre scritte. Da cui più che ogni altro celebrato viene Matteo Grifone, il quale nel quarto secolo dopò il millesimo vivendo, non men Sant'Angelo, che l'Italia tutta gloriosa rese con le sue heroiche attioni, havendo non solo de' Venetiani sopra l'armi havuto il general commando: mà d'ogni altro potente Prencipe trà Christiani guidò gli Esserciti nelle più perigliose imprese, e sempre reportatone gloriosa vittoria. Questo si come in Crema stabilì la casa sua, che hoggi camina al pari delle più nobili d'Italia; così nella Chiesa de' Padri Predicatori della medema Città volle, che l'Urna delle sue ceneri si conservasse, sopra di cui la seguente iscrittione à lettere maiuscole leggesi; ove de gli di lui Elogi si raccoglie un breve compendio.
- Matheus iacet hic Latijs
- notissimus oris Griffonum
- quae decus Angele Sancte
- iacet, quo Duce Pontefices
- vestros sudistis & hostes
- sforzigine, Thrusci Dux, Pice-
- niae simul mox etiam Tur-
- nus peditum, quia presuit illi
- Marcus, ubiq; potens
- signa ferenda dedit.
Vivono anc'hoggi di questa Patria molti Soggetti insigni, che à gli Antenati nella virtù punto non cedono; specialmente nella Romana Corte Prospero Fagnano, Referendario dell'una, e l'altra signatura, e de' più gravi negotij della medesima Corte Consultore, ed Arbitro: e Frà Francesco Galasini, già Inquisitore dell'Umbria vigilantissimo, e di presente Procuratore, e Vicario Generale di tutto l'Ordine de' Predicatori. Ambidue per l'eminenza de' proprij meriti dal presente Pontefice Urbano Ottavo sommamente amati.
Sopra Sant'Angelo, verso l'Apennino, per la strada, che scorre verso Toscana, s'incontra la Terra, non men nobile, che ricca di Mercatello havendo ella in ogni età prodotti huomini egregi, che nelle Corti, appresso i Prencipi, ne i più honorati carichi hanno saputo avanzarsi; onde con le molte ricchezze cumulate, han datò à loro stessi, & alla patria nome immortale. Si governa questa Terra con le proprie Leggi: come ne gli antichi secoli reggevansi, i Municipij; & per esser ella più soggetta, che libera, dalla Sede Apostolica si manda un Giudice Dottore, come nell'adietro si costumò da i Duchi, co'l titolo di Podestà; il quale, benche habbia molto potere, non giudica però nelle seconde istanze, pur che non siano del civile, vedute nella prima dal Magistrato; passando quelle al Legato, ò Vicelegato della Provincia, overo al Collegio di Urbino, secondo che da gli Attori guidate sono. Nello spirituale non è ad alcun Vescovo suddita, mà il suo Rettore la governa, con l'autorità Episcopale, col titolo d'Arciprete. Vicino à Mercatello, più ad alto, verso il giogo de' Monti, nell'istessa via, stà posto il Castello dell'Amole, del quale ragiona il Biondo nel sopracitato luogo, Leandro nella descrittione d'Italia, ed altri degni Scrittori, e specialmente quegli, che cantò il Piceno in questi versi:
- Nec Mercatellum Apennini à vertice distat
- Praebet in Hetruscos Amula celsa vias.
Molti altri honorevoli Castelli in questa Provincia collocati si trovano, da particolari Signori posseduti; specialmente Pecchio, e la Garda; che si come sono forti di mura, ricchi di edificij, & numerosi di popoli; così appresso gli Scrittori sono molto famosi, à cui prestando io credenza, altro non aggiungerò, per non infastidire d'avantaggio quello, che legge.