Istoria delle guerre vandaliche/Libro secondo/Capo XI
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CAPO XI.
I. Salomone udita la sconfitta d’Aigan e di Rufino, in tanto che apparecchiavasi alla guerra, scrisse del tenore seguente ai capitani de’ Maurusii: «Egli avviene pur troppo a taluni d’operare audacemente e di essere così i fabbri della propria rovina, perchè affatto privi d’esempj innanzi agli occhi da cui far congettura a qual meta la temerità loro possa condurli. Ma a voi, o Maurisii, spettatori così di corto della fine de’ vostri convicini i Vandali e delle sciagure tollerate per essi, come bastò l’animo d’insolentire contra il grandissimo nostro imperatore, e di trasandare cotanto la salute vostra, dimenticando pienamente i giurati accordi seco lui e la prole datagli in istatico? Dovrò io credervi sì dispregiatori del Nume, sì tralignanti dalla umana specie che abbiate per nomi vani la fede, i legami del sangue, la salvezza, ed ogni altra simigliante cosa? Ma se non rispettate il Nume a qual mai de’ vostri confederati per combattere le armi romane sarete fedeli? Se indifferenti a perdere la figliuolanza, per chi v’esporrete ai pericoli della guerra? Quando bramiate adunque la pace, ed increscanvi le ingiustizie or ora commesse rendetecene avviso per lettera, acciocchè possiamo con voi amichevolmente accordarci; se poi v’ostinate negli orgogliosi concepiti progetti aspettatevi da noi la guerra, e di vedere colla morte stessa degli statichi trasmessici vendicati i torti ricevuti dalla violenza e perfidia vostra». I Maurusii letto il foglio risposero: «Belisario gabbandoci a furia di promesse ne persuase a divenire spontanei sudditi dell’imperator Giustiniano, e senza farci un che di bene, difettando noi allora di vittuaglia, ne pregò che volessimo strigner seco amicizia e lega. Meglio quindi a voi che a’ Maurusii competesi di pieno diritto il titolo di misleale, essendo in realtà violatori de’ patti non i costretti a mancarvi per le sofferte ingiurie, ma quelli che domandata l’amicizia altrui poscia non arrossiscono di tradirla. Offende similmente il Nume non chi adopera di rivendicare il suo, ma chi andando in traccia d’illecite conquiste pone in campo la guerra. E ben di ragione poi che i Romani, cui viene accordata una sola moglie, s’abbiano a cuore la prole; noi però, ai quali è dato far nozze con cinquanta e più donne, ignoriamo che sia pericolo di mirare estinta la propria discendenza».
II. A tale risposta Salomone, raunato tutto l’esercito e messi prima in assetto gli affari di Cartagine, prese la via della Bizacene ed inalzò le tende non lunge da Mamma, città1, ove i quattro duci de’ Maurusii testè nominati stavansi a campo. Quivi ingombrano il suolo monti altissimi ed ai pie loro trovi il castelluccio Male2, dove appunto i barbari ammanironsi alla pugna schierando siffattamente le truppe; formato coi camelli un circolo ad imitazione di Gabaone, del quale ho già fatto parola3, nel centro di esso rinserrarono le donne ed i fanciulli, solendo questo popolo condur seco nelle guerresche imprese la famiglia, e valersene per la costruzione delle capanne e del broccato, pel diligente governo de’ cavalli e camelli, e per conservare nette e lucide le armature di ferro. Tutta la fanteria armata di scudo, spada e lancia giaceva ai piè dei camelli, e schiere di cavalieri teneansi chete su per quei poggi. Il duce romano al contrario non opponendo forza al nemico dalla parte dell’erta per tema non venisse avviluppata, tutta ordinòlla innanzi alle truppe schierate dall’altra banda, e perchè i suoi non isgomentassersi tornando alla mente loro la disgrazia d’Aigan e di Rufino, si volse ad aringarli dicendo:
III. «Lunge da voi, o prodi che militaste nelle guerre di Belisario, ogni spavento di questi nemici, dei quali neppur cinque mila insiem raccolti poterono competerla con cinquecento Romani, esempio valevolissimo senza dubbio a confortarvi se mai non foste al tutto scevri dal timore; non vogliate dimenticare tampoco la grandezza degli animi vostri, conciossiachè se i Vandali trionfarono de’ Maurusii, voi con tanto minor disagio trionfaste dei Vandali stessi; ben turpe adunque sarebbe che ora i vittoriosi dei vincitori paventassero i vinti e sconfitti. E chi non sa inoltre che la costoro schiatta ha fama di pusillanime sopra ogni altro popolo nella guerra, venendo in campo la maggior parte ignudi, pochi armati di scudo, pesantissimo quello pure, lavorato da inesperte mani, ed inetto a ribalzare l’avventatogli saettame; portar ciascheduno seco due soli dardi, cosicchè ove lanciandoli falliscano il colpo di necessità volgonsi in precipitosa fuga. Se pertanto sosterrete con buona guardia il primo impeto loro, di leggieri la vittoria coronerà le vostre fatiche. Senza che non li superate voi in ben mille doppj nelle armi, nella perfezione e robustezza del corpo, nel valore degli animi, e nella militare disciplina? ed a vie maggiormente incoraggiarvi non avrà possa alcuna la memoria degli or ora conseguiti trionfi? Di tali e sì grandi vantaggi mancando in fe mia al nemico il vedete ridotto a riporre nel solo numero ogni sua speranza: gl’inetti però alla guerra, sieno pur eglino in copia comunque, rimarranno a bell’agio sopraffatti dai pochi, ma pronti a qualsivoglia cimento, fidando l’intrepido guerriero nel proprio valore, ed il codardo nell’altrui; gli eserciti immensi di più soggiacciono spesso a gravi danni mercè degli stretti e pericolosi terreni. Ridetevi sì anche di que’ loro camelli, disadatti a coprire gli ordini de’ combattenti, e frequentissima cagione, feriti e ributtati, di terrore e scompiglio a chi ne usa. Un bene poi, anzi un nostro gran bene e che i Maurusii insuperbiscano de’ felici successi non è guari avuti, sendo per verità utilissima l’audacia quando proceda a piè pari col valore, ma se piglia a soverchiarlo è certa guida a un pericolo manifesto. Imprimete negli animi vostri le mie parole, e pieni d’un nobile disprezzo, silenziosi, e fermi nella vostra ordinanza attendete l’imminente pugna». Qui tacque Salomone.
IV. Allora i duci maurusii accortisi che lor truppe allibivano alla bella ordinanza de’ Romani, principiarono anch’essi ad incoraggiarle con esortazioni dicendo: «Che i nemici forniti sieno di corpi mortali e vulnerabili dal ferro noi poc’anzi l’apparammo, o commilitoni, facendo ai più gagliardi tra loro colle nostre lance mordere il suolo, e ad altri incontrare la prigionia. Schierati quindi per combatterli nuovamente andiam pur lieti alla pugna mirandoci superiori e non poco nel numero; ma insieme sovvengavi essere di gran pezza maggiore l’importanza di questo cimento, dal suo esito dipendendo o il rendere l’Africa intiera a noi soggetta, o il servire noi stessi all’orgoglio romano. Sovrastando pertanto gravissimo pericolo a tutta la repubblica nostra dobbiamo affatto spogliarci d’ogni codardia, e non paventare in ispecie quelle nemiche armature. Venganci pur contro i fanti loro carichi di armi pesantissime, e noi molto più leggieri e destri assai probabilmente li sconfiggeremo; si tenti rompere le nostre file coll’urto de’ cavalli, ma questi inorriditi all’aspetto ed agli urli de’ camelli, e messi in iscompiglio, andranno a rovesciare gli stessi ordini loro: e’ vivono in grand’errore se credonsi invitti, perchè negli ultimi tempi espugnarono i Vandali, come se tutto il buon successo della guerra non dipendesse dalla bravura del capitano, o dall’avere propizia la fortuna; ma quel Belisario cui è dovuta ogni gloria delle armi bizantine sta ora per volere del Nume assai lunge da noi; oltre di che noi stessi appianammo la via a que’ loro trionfi, logorando i Vandali colle nostre frequenti vittorie. Che più; nel venturo cimento, commilitoni, tutto ne induce a sperare, comportandovi da prodi, una compiuta vittoria sopra i nenici».
V. I capitani dopo le aringhe diedero il segno della battaglia, che nel principio tornò male agli imperiali, essendosi i costoro cavalli, intimoriti all’aspetto de’camelli, renduti indocili al freno e volti, gittato di sella il cavaliere, in precipitosa fuga. I barbari spettatori di cotale scompiglio fannosi lor sopra colle aste e con quanto mai hanno per le mani, riempiendo tutto il nemico esercito di turbamento e confusione in guisa, ch’egli più non sapea come difendersi o rimaner fermo nell’ordinanza. Salomone alla vista del gravissimo pericolo balzato subito e fatto balzar d’arcione sua gente comanda loro di formare una testuggine co’ pavesi, e di non attendere che a guarentire i proprii corpi dal saettame nemico: frettoloso quindi sen parte con non meno di cinquecento lance a combattere i camelli, e comanda a’ suoi che sguainate le spade uccidanne quanti aggiugner ne possono. Costoro adunque riusciti felicemente nella impresa disperdono tutti i Maurusii di quel corno, ed uccidendo forse dugento camelli apronsi al cadere di essi un varco tra le opposte file, e corron di botto nel mezzo, ove giacea l’imbelle turba. Gli altri allora, sgomentatissimi per l’avvenuto e sempre colle romane spade ai reni, tentano di raccozzarsi sopra un vicino monte, piangendo la morte in quella fazione, dal più al meno, di mille combattenti4, e la prigionia di tutte lor donne colla prole; de’ camelli quanti sopravvissero alla strage furono condotti nel campo romano; Salomone restituitosi a Cartagine coll’esercito carico di preda celebrovvi la riporta vittoria.