Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XXXV
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XXXV.
Disonorato ritorno di Belisario dall’Italia. Presagio delle sue prosperità. — Papa Vigilio sollecita l’imperatore alla ricuperazione del suolo italiano. Giustiniano tutto immerso nelle religiose controversie. Longobardi. — Perfidia e prosperi eventi d’Ilaufo.
I. Belisario disonorevolmente pigliò la via di Bizanzio non essendogli riuscito nello spazio di cinque anni d’aprirsi un varco nell’Italia onde con piè franco tornarne al possesso; ma in sì lungo periodo sempre n’andò occulto, fuggiasco, e navigando incerto dall’uno all’altro marittimo presidio, solo buono a costeggiarne di continuo le piagge. Non impedì quindi ai nemici di soggiogare più liberamente Roma e gli altri luoghi; e ch’è peggio ancora abbandonò Perugia, principale città della Tuscia, stretta da crudele assedio, ed alla fine mentre ei viaggiava espugnata. Giunto in Bizanzio vi si fermò sguazzando nelle ricchezze, ed ornatissimo per lo splendore delle antecedenti gloriose geste, di che ottenuto avea dal Nume ben chiaro segno avanti di por mano all’africana guerra. Tale si fu il presagio. Ei nella regione di contro ai bizantini borghi possedea poca ereditaria campagna, Pantichio detta. Quivi non guari prima della partenza colle truppe romane per guerreggiare in Africa Gelimero, le viti riboccarono di uve. I domestici suoi empiti del mosto premutone moltissimi barili, collocaronli, impiastricciati di loto, in alta fossa e poscia interraronli diligentemente. Dopo mesi otto fermentando il vino in parecchi dei vasi distacconne il soprappostovi loto, e ringorgando e in molta copia colando tale inondò l’adiacente suolo da formarvi gran lago. I donzelli sorpresi alla vista del fenomeno, raccolserne di molte anfore, e turati con nuovo intonico gli stessi barili non profferirono verbo in proposito; se non che al ripetersi più e più volte il caso medesimo ne diedero avviso al padrone, il quale ragunato colà non piccol numero de’ suoi più intimi amici loro mostrò il prodigio, e questi interpretandolo predissero alla casa di lui beni fuor misura.
II. Tali furono i presagi avuti da Belisario. Il romano pontefice Vigilio1 e gli Italiani, molti ed autorevolissimi quivi di stanza, incessantemente sollecitavano l’imperatore a ritentare con ogni suo mezzo la conquista della penisola; e più di tutti animavalo a tale impresa Gotigo, patrizio, già da pezza consolare, ed a bello studio capitato di fresco in Bizanzio; ma Giustiniano avvegnachè desse parola di provvedere alla italiana repubblica, iva tuttavia consumando assai tempo nelle discussioni dei cristiani dommi, intentissimo a troncarne le discrepanze. Non correvano altrimenti le faccende in Bizanzio, allorchè Ildisgo di longobardica schiatta si portò presso dei Gepidi, e cademi a taglio di qui esporne il motivo. Reggendo Vace i Longobardi un suo nipote di nome Risiulfo veniva dalla legge, al morire del zio, chiamato al trono. Il re adoperandosi scaltritamente onde pervenisse il principato al figlio, condannò il nipote, accusandolo di falso delitto, all’esiglio, e costui pronto si rifuggì con altri pochi su quel dei Varni, abbandonando in patria due figli, ma pur quivi il zio indusse con danaro quei barbari a dargli morte. Dei figli poi l’uno fu vittima di morbo, e l’altro chiamato Ildisgo ebbe salute riparando presso degli Sclabeni. Dopo breve periodo il re passato di questa vita, il regno de’ Longobardi toccò al suo nato Valdalo, il quale per anche di tenerissima età ebbe a tutore ed a reggente della monarchia Auduino, che rendutosi per l’onorevole sua carica molto forte, col mancare ai vivi d’improvvisa malattia il pupillo, fu assunto al regno. Suscitatasi alla perfine la guerra tra Gepidi e Longobardi, Ildisgo con quanti degli ultimi aveanlo seguito nella fuga e con forte mano di Sclabeni accorse in aiuto de’ primi sperando ricuperare il trono. Se non che rappattumatesi le due fazioni Auduino tosto domandò ai Gepidi, come ad amici, il fuggitivo, ma questi disdegnando farne la consegna esortaronlo a cambiare liberamente cielo. Ildisgo allora senza indugio pigliati a compagni i suoi e pochi volontarj di que’ paesani tornò presso degli Sclabeni. Quindi partitosi novamente di là con seco non meno di sei mila guerrieri statuì di raggiugnere Totila, ed al metter piede sull’agro veneto scontratosi coll’oste romana comandata da Lazaro impugnò le armi e voltala in fuga molti ne uccise; di poi cambiato ancora consiglio riandò, valicando il fiume Istro, nella regione donde erasi partito.
III. All’avvicendarsi di tali cose Ilaufo lancia di Belisario, di barbarica schiatta, fior di valore e prontezza, e costretto a vivere in Italia a cagione di sua prigionia, ebbe ricorso a Totila, il quale fornitolo di truppe e navi in buon dato lo spedì tosto nella Dalmazia. Costui, surto in Muicuro (luogo marittimo vicino a’ Saloni) fe’ la sua prima comparsa presso quegli abitatori mentendosi romano e sottoposto al duce Belisario; ma poscia sguainata la spada e indotti i compagni a parteggiare nell’impresa, per la non pensata vi commise grande strage, e messo da per tutto a ruba ne ritrasse, carico di bottino, il piede. Passato quindi a sorprendere altro luogo, di nome Laureate, posto sulla marina piaggia, non appena calcatone il suolo diedesi a devastarlo. Claudiano governatore de’ Saloni avuta notizia di sì gravi eccidj spedì truppe sopra navi chiamate dromoni per combatterli; surte quelle in Laureate si venne alle armi, ed usciti della pugna vittoriosi i barbari, la fazione contraria diedesi, come ognuno ebbe il destro, alla fuga, abbandonando i dromoni con altre navi cariche di frumento e vittuaglia comunque nel porto. Ilaufo ed i Gotti addivenutine padroni colla uccisione de’ custodi e tolto il danaro si condussero novamente a Totila, e qui terminò il verno e l’anno decimo quarto di questa guerra scritta da Procopio.
Note
- ↑ Questo pontefice salì la cattedra di S. Pietro nell’anno 537, e morì nel 555.