Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XXIV

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CAPO XXIV.

Belisario occupa e munisce Roma. — Valorosamente rispinge Totila. — I Gotti rimprocciano di temerità il re loro, e si fanno al Tevere.

I. Allora Belisario da prudente ardire animato determinossi ad impresa, che per verità sembrò da principio ai testimonj di vista o di udita quasi follìa, ma poscia fu giuocoforza dichiararla parto di eccellentissimo ed egregio valore. Commessa dunque la salvezza di Porto a debole presidio calcò egli stesso con tutte le sue truppe la via di Roma ostinatosi di ricuperare la città ad ogni modo. Giuntovi nè potendo riedificare in brev’ora la parte del muro sfasciato da Totila vi supplì con tale artificio. Ragunate le pietre giacenti ivi presso, di fretta sovrappose le une alle altre senz’ordine e cemento per collegarle insieme, non avendovi calce o un che di simile per valersene all’uopo; mirò solo a dare apparentemente forma di muro al suo lavoro afforzandolo in pari tempo al di fuori con fitti palizzati; oltre di che aveagli fatto da prima girare all’intorno profonda fossa, come scrivea negli antecedenti libri: di questa guisa, [p. 365 modifica]adoperatovisi l’intero esercito venticinque giorni1 col massimo fervore, sembrò risarcito il muro da per tutto ne’ luoghi danneggiati. I Romani allora quanti eranvi a stanza lì presso, tornarono a popolarla per desìo di riabitare nuovamente lor patria, e di sottrarsi dalla carestia di vittuaglia sin qui tollerata, avendovi il duce imperiale apprestato in grande copia i bisogni della vita coll’introduzione di moltissime navi cariche d’ogni maniera d’annona.

II. A tale saputa re Totila mosse di subito con tutto l’esercito, e fu per assalirla prima che Belisario avesse fatto assicurare gl’ingressi con nuove porte, essendo state le antiche distrutte dai barbari, le quali per inopia di fabbri alla venuta de’ nemici doveansi tuttavia mettere in opera. Le truppe di lui approssimatesi alla città s’attendarono presso del fiume Tevere per consumarvi quella notte, e la dimane coi primi raggi del sole ribollenti di sdegno spargonvisi tumultuose all’intorno; Belisario allora pone eletta di prodissimi guerrieri, in luogo delle porte, agli ingressi, e comanda agli altri che da’ merli con ogni lor possa adoprinsi a respignere gli assalitori. Surse ostinatissima pugna, nutrendo nel suo principio i barbari grande speranza di addivenire col primo urto in un batter di ciglia padroni delle mura, quindi suscitatosi ostacolo nella impresa e ributtati con prodezza somma dai Romani si fanno vie più pertinaci nel cimento, stimolandone [p. 366 modifica]lo sdegno gli animi a tentare cose maggiori delle proprie forze. Gli imperiali fuor d’ogni aspettativa resistono, pigliando, come ragion volea, ben più animo dalla zarosa lor situazione. Dopo sterminato macello di Gotti, saettati continuamente dall’alto, e stanche al fine ambedue le fazioni dalla fatica e dall’accanita contesa giunse la notte a troncare il certame del bel mattino principiato. Ottenebratosi già il cielo i barbari passarono la notte ne’ campi tutti intenti alla medicazione dei feriti; de’ Romani poi altri vegliavano sopra de’ merli, altri, i più coraggiosi, custodivano a muta a muta gli ingressi muniti al di fuori con quantità di triboli all’uopo di ritardare la nemica foga. Ora essi triboli foggiansi connettendo insieme quattro ferree punte, tutte d’una lunghezza, per modo che i raggi loro piglino triangolare forma da ogni lato, e di questa guisa costruiti si gittano a catafascio sul terreno. Laonde nel mentre che tre di esse punte internansi nel suolo, la quarta, sola eminente, ha possa talora di arrestare fanti e cavalli. Che se piè comunque l’abbassi premendola, di colpo sorgene altra non meno agli assalitori molesta2. Così vuol essere la costruzione de’ triboli, e così come narrava ambo gli eserciti passarono la notte sorvenuta alla pugna.

III. Col venturo giorno datosi nuovamente dall’intero gottico esercito un assalto alla città ed [p. 367 modifica]incontratavi l’egual resistenza, gl’imperiali di già superiori nell’aringo non titubarono del prendere le parti di assalitori. Se non che alcuni di essi spinti dalla foga dell’incalzare allontanatisi di troppo col rincular de’ nemici, corsero risico d’essere colti in mezzo ed impediti dal retrocedere, ma Belisario vedutane la triste condizione spedì forte schiera de’ suoi ad apportar loro salvezza. I barbari di tal guisa ributtati voltarono le spalle con gravissima perdita di valorosi combattenti e conducendo quantità di feriti nel proprio campo, dove si tennero a curarne i corpi, a riparare le armi nella maggior parte malissimo conce, ed a mettere in assetto ogni altra cosa. Passati quindi molti giorni eccoli di nuovo alla volta del muro col proposito di assalirlo; ma i Romani fattisi ad incontrarli e venuti alle prese coraggiosamente scavalcarono tra gli altri, in causa di mortale ferita, un banderaio del re colla sua insegna, al che tutti i loro militi nelle prime file procacciarono a gara di portarsi alla conquista del vessillo in un col trapassato; riuscì non di meno ad alcuni prodissimi Gotti il prevenirli, e poterono così mettere in salvo la bandiera e mozzare la sinistra dell’ucciso; poichè avendola questi di aureo braccialetto adorna e’ disdegnavano accrescere con esso la nemica gloria e sottostare al disonore che sarebbene loro derivato. Alla per fine, l’esercito de’ barbari voltosi in fuga, i Romani spogliarono il cadavere, e dopo un lungo e mortifero correr dietro a’ fuggenti rivennero all’in tutto sani e salvi nella città.

IV. In allora i più cospicui de’ Gotti presentatisi al [p. 368 modifica]re con molte villanie e spogli d’ogni rispetto pigliarono a rimproverarlo della imprudenza commessa non radendo Roma dalle fondamenta dopo la conquista fattane, acciocchè il nemico non avesse più mezzo di ripararvi, nè di presidiarla, toccatogli così perdere da stolto il frutto d’un lunghissimo tempo e di tante loro fatiche. È per verità connaturale agli uomini il far giudizio mai sempre delle cose a norma dell’esito, e, conformato l’animo loro all’incostante fortuna, l’ire vagando da una in altra sentenza. I Gotti dunque finchè Totila prosperò di bene in meglio nelle sue imprese ebberlo pari a Nume, predicandolo invitto ed inespugnabile quando consentiva loro che si atterrassero in qualche parte le mura de’ conquistati luoghi. Andatigli quindi colla peggio una sol volta i suoi divisamenti non paventavano di trascorrere alle ingiurie, come esponevamo, dimentichi delle lodi testè dategli, o vie meglio sfrontati sì da ritrattarle; ma non può a meno che di cotali e simili colpe imbottiscano gli uomini, cadendovi trascinati da ingenito vizio. Il re co’ suoi barbari da ultimo riparò in Tivoli città, conquassando quasi tutti i ponti eretti da Tiberio per tema di nemica sorpresa, ad eccezione del solo nomato Milvio mercè della grande prossimità di Roma.

Note

  1. Così nel mio testo, e non quindici come altri traduce. Greco πέντε καὶ εἴκοσιν.
  2. Tribolo, stromento di ferro, di quattro grosse ed acute punte, che si semina sul terreno per trattenere il nemico. Grassi, Diz.