Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XVI
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XVI.
Gli imperiali offensori dei Lazj. Uchimerio castello, per opera di Teofobio, cade in potere delle reali truppe. — Gubaze re dei Lazj sverna pe’ monti, e con lettera esortato da Mermeroe ad abbandonare le parti romane si tien fedele.
I. Imperiali e Persiani procacciavano di comporre in Bisanzio la tregua quando Gubaze re dei Lazj, amico tuttavia de’ Romani, scoprì essergli, la mercè di sua fede, insidiata da Cosroe la vita, come si legge negli antecedenti libri. Molti poi de’ Lazj superchiati dalle romane truppe ed in ispecie dai comandanti, propendevano da gran tempo a divenire sudditi della Persia, meno per benevola disposizione degli animi, che per iscuotere l’imperiale giogo, opinando minori dei presenti i mali futuri. Teofobio per tanto, di non oscura prosapia intra essi, promise in clandestino colloquio a Mermeroe di tradirgli il castello Uchimerio, ed ebbene da costui eccitamento coll’assicuranza di farsi così operando amicissimo a Cosroe, e di vedere inscritta nelle memorie persiane col nome di benefizio tale azione; il perchè ne riporterebbe gloria, ricchezze e potenza; inorgoglitosi per sì bello annunzio animosamente diè mano all’impresa. Di que’ tempi non aveavi tra imperiali e Lazj comunicazione di sorta, ma tenevansi da per tutto rinserrati, campeggiando senza tema il nemico, gli uni al Fasi, gli altri in Archeopoli, chi entro fortilizj della regione, e re Gubaze stesso non si partiva dalle cime de’ monti, cosicchè il fellone ben di leggieri potè non romper fede a Mermeroe. Venuto dunque al castello narrovvi la distruzione di tutto l’esercito imperiale; Gubaze ed i Lazj suoi passarla ben male; padroneggiare i Persiani da l’un capo all’altro la Colchide, mancare ogni speranza di ricuperarla. Aggiugneva parimente avere sin qui il persiano duce sostenuto di per sè la guerra con esercito di oltre sessanta mila guerrieri, tutti bellicosissimi, e con isterminata caterva di barbari e Sabiri; essere poi di fresco arrivato lo stesso re Cosroe alla testa di nuovo formidabilissimo esercito, e d’ambedue averne fermato all’istante uno, il perchè la colchica regione più non bastava ai bisogni di cotanta soldatesca. Vinto il presidio, a tali solenni menzogne, da gravissimo spavento pregò Teofobio, invocando il patrio Nume, che volesse provvedere nella guisa migliore alle cose di là; ed egli si dichiarò pronto ad impetrare da Cosroe il salvacondotto mediante la dedizione volontaria di quelle mura; da tutti consentitovi di fretta si parte, e venuto a Mermeroe narragli ordinatamente l’operato. Questi allora scelto il fior de’ suoi militi comandò loro di seguire il fellone ad Uchimerio per confermare al presidio, ritirandosi, la salvezza della vita e deile suppellettili. I Persiani, occupato non altrimenti il castello, renderono fermissimo il proprio dominio nella Lazica; nè solo questa ebbersi ligia, ma chiusero di più tutte le vie ai Romani per andare nella Scimnia, nella Suania, ed in ogni parte della regione che dalla Muchireside procede insino all’Iberia; impotenti gli imperiali ed i Lazj di allontanare il nemico non osavano affatto scendere dai monti, od uscir fuori dai luoghi muniti per assalirlo.
II. Mermeroe, soprastante il verno, munì Cutatisio con muro di legno, e posevi a guardia tre mila fanti; bastevolmente ad uno presidiò Uchimerio: avendo inoltre ristaurato un terzo castello, Serapani, fermovvi sua dimora. Saputo di poi che i Romani ad i Lazj erano a campo insieme presso le bocche del Fasi ivi mosse con tutto l’esercito; alla qual nuova Gubaze ed i Romani duci, pigliati da timore, senza attenderne l’arrivo partirono ricovrando ciascheduno ov’ebbe il destro. Il re lazico tornato di corsa in cima dei poggi, unitamente alla moglie, alla prole ed a’ famigliari suoi con pazienza vi tollerava la grandezza dei presenti mali e l’incomodissimo clima, sperando ognora nell’arrivo di aiuti da Bizanzio, e raffrontando insieme que’ patimenti colle umane vicende anziato era in aspettativa di migliori destini. Gli altri Lazj sommessi al re loro, non meno di lui acconciatisi a cotante sofferenze, passavano il verno tra quelle rupi franchi dalle nemiche molestie, per essere di tali monti nella fredda stagione perigliosissimi e quasi inaccessibili a chiunque ne tenti armatamano la occupazione. Eravi impertanto la vita ridotta agli estremi da fame, freddo, o qual tu vuoi differente calamità. Mermeroe in quel tanto edificato avea molte case nelle borgate di Muchiresi, e provvedutine gli abitatori di copiosa vittuaglia inviava pe’ monti promettendo ai fuggitivi salvezza, nè pochi indussene ad approfittare della generosa offerta; agli estenuati poi dalla fame era largo di cibo, prodigando loro sue cure non altrimenti che ai propri militi; stabilito in fine quanto facea mestieri nella regione scrisse a Gubaze dicendogli: «Possa e prudenza sono due ottime governatrici della umana vita; queglino di fatti cui la prima rende superiori de’ convicini vivonsi a loro beneplacito, ed ovunque attalentali conducono i men forti. Chi poi mercè sua debolezza va soggetto ai maggiori di sè, riparando colla prudenza ai torti della fortuna, perviene a trovar grazia in essi, e torna così al viver suo gli agi che avea, colpa l’impotenza, perduti. Nè questo diportamento vuol riputarsi buono per gli uni disconveniente agli altri, ma del pari a tutti senza eccezione giova, accompagnando ovunque, a mo’ d’appendice, la mortale natura. Or dunque, amico Gubaze, se ti estimi forte da vincere i Persiani guerreggiandoli, tronca ogni indugio, nulla ti rattenga. Ove che sia nella ragione ci troverai pronti a farti petto e a difendere ostinatamente il conquistato suolo, offerendoti così libero campo di mettere a pruova il tuo valore; ma ben ti comprendi manchevole di mezzi per resistere alle nemiche truppe. Appigliati dunque, o uomo illustre, all’altro spediente, e ben ponderato quel conosci te stesso, adora in segno di vassallaggio Cosroe, ed abbilo re tuo e padrone. Chiedi obblio del passato per liberare la vita dagli stenti di cui ora sei vittima. Io ti prometto che di questo modo giugnerai a calmarlo ed a rimeritare sua grazia. In guarentigia poi che accorderatti e vita e regno ed ogni altro tuo possedimento, onde abbi a goderne mai sempre con certezza, ti darò in istatico la prole de’ più illustri duci persiani. Che se rifiuti accogliere sì belle proposte vattene altrove con Dio, acciocchè i Lazj da sciagure oppressi mercè la sconsigliatezza del capo loro, sottrattivisi una volta, nella quiete e pace s’abbiano il bramato riposo. Nè reggati l’animo di promoverne lo sterminio con sì lunghi e tormentosi patimenti, accecato da frivole speranze ne’ tuoi confederati. Imperciocchè a Giustiniano e mancarono sin qui mezzi per soccorrerti, e riuscirà mai sempre vano ogni futuro tentativo». Gubaze non di meno, ad onta della scrittagli da Mermeroe, fermo in suo proponimento continuava a dimorare sulle cime de’ poggi tutto in aspettazione de’ romani aiuti, e l’odio portato a Cosroe vie più fomentavane le speranze riposte nell’impero. Gli uomini per vita nostra spesso lasciansi governare da capriccio assoggettandovi la propria ragione; e se v’ha sentenza conforme ai loro desiderj corronvi dietro all’impazzata non esaminando punto se asconda errore. All’appresentarsene poi altra molesta la comportano a malincorpo, rifiutansi di prestarle intera fede, ne voglion sentire di esame per conoscere se tenda effettivamente al verace lor bene.