fede a Mermeroe. Venuto dunque al castello narrovvi la distruzione di tutto l’esercito imperiale; Gubaze ed i Lazj suoi passarla ben male; padroneggiare i Persiani da l’un capo all’altro la Colchide, mancare ogni speranza di ricuperarla. Aggiugneva parimente avere sin qui il persiano duce sostenuto di per sè la guerra con esercito di oltre sessanta mila guerrieri, tutti bellicosissimi, e con isterminata caterva di barbari e Sabiri; essere poi di fresco arrivato lo stesso re Cosroe alla testa di nuovo formidabilissimo esercito, e d’ambedue averne fermato all’istante uno, il perchè la colchica regione più non bastava ai bisogni di cotanta soldatesca. Vinto il presidio, a tali solenni menzogne, da gravissimo spavento pregò Teofobio, invocando il patrio Nume, che volesse provvedere nella guisa migliore alle cose di là; ed egli si dichiarò pronto ad impetrare da Cosroe il salvacondotto mediante la dedizione volontaria di quelle mura; da tutti consentitovi di fretta si parte, e venuto a Mermeroe narragli ordinatamente l’operato. Questi allora scelto il fior de’ suoi militi comandò loro di seguire il fellone ad Uchimerio per confermare al presidio, ritirandosi, la salvezza della vita e deile suppellettili. I Persiani, occupato non altrimenti il castello, renderono fermissimo il proprio dominio nella Lazica; nè solo questa ebbersi ligia, ma chiusero di più tutte le vie ai Romani per andare nella Scimnia, nella Suania, ed in ogni parte della regione che dalla Muchireside procede insino all’Iberia; impotenti gli imperiali ed i Lazj di allontanare il nemico