Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo V
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO V.
Uturgurii e Cuturgurii, perchè di tal guisa nomati. Antica stanza dei Tetrassiti. Guado mostrato da fuggente cerva. Partita de’ Gotti — I Cuturgurii ne occupano la dimora. Passata de’ Tetrassiti nell’opposto lido. Gli Uturgurii tengonsi in patria — Taurica, tempio di Diana in essa. Le città Bosporo, Cherso, Cepi, Fanaguri. Sorgente e corso dell’Istro. Circonferenza del Ponto Eussino.
I. I luoghi testè rammentati davan ricetto altre volte ad immensa turba di Unni chiamati allora Cimmerii e tutti ligii di un re. Per antico tale de’ loro monarchi avea due figli l’uno di nome Uturgure, Cuturgure l’altro; costoro divisosi alla morte del padre il regno apposero la propria denominazione ai popoli soggetti, che da quinci in poi sino a’ dì nostri fedelmente la conservano. Tutti abantico menavan lor vita sotto le medesime leggi e per nulla in commercio con le genti di là dalla Palude e sue foci, non avendone mai valicato le acque, nè pensato che lo si potesse, forte paventando sì agevole impresa, colpa l’assoluta trascuranza di non essersi unque da prima cimentati all’opera. Dopo la palude hannovi tosto sopra il lido i Gotti Tetrassiti de’ quali faceva or ora menzione. Più lunge stanziavano e Gotti e Visigotti e Vandali con quanti altri contavano gottica schiatta, ne’ tempi remoti detti Sciti dagli stessi paesani; tra essi eziandio viveano i nomati Sauromati o Melancleni, o altrimenti comunque. Si narra poi che in processo di tempo (se vogliamo prestar fede alla fama) alcuni giovani cimmerii si ponessero, cacciando, a perseguitare, instigati da bramosia di lode o di vittoria, se pur non ebbevi inspirazione dall’alto, una cerva fuggente balzata entro quelle acque, nè l’abbandonassero che pervenuti insiem con lei sull’opposta ripa. Quivi di subito scomparso l’oggetto, cui tenean dietro, qualunque e’ si fosse, nè altro a mio credere che un’apparizione apportatrice di mille sciagure a que’ miserandi terrazzani, i cacciatori vedutisi gabbati per riguardo alla preda opinarono presentatasi loro in iscambio dalla sorte opportunità di combattere e rapinare. Tornati quindi in patria divolgarono tra’ Cimmerii come le acque di colà prestassersi a facile guado, e tanto bastò perchè impugnate di netto le armi e’ valicassero nell’opposto continente, i Vandali essendone già migrati nell’Africa, ed i Visigotti nelle Spagne. Arrivativi assaliscono all’improvvista gli altri Gotti quivi rimasi, e fattane strage mettono il resto in fuga. Quanti poi giunsero a campare la vita partitisi con la prole e le donne, ricovrarono, traghettato l’Istro, in quel de’ Romani, dove addivenuti gravemente molesti agli abitatori non poterono soggiornare, e pigliata la via della Tracia occuparonvi la regione accordata loro dall’imperatore. Nè v’ha dubbio che una parte gli prestasse servigi in guerra, ricevendone, al paro degli altri militi, annuali stipendj e la nominazione di confederati, volendoli forse i Romani onorare con questo latino vocabolo per indicare che non li aveano domi colle armi, sibbene mediante alcuni patti invitati a strigner lega seco; dai Latini dicendosi foedera le condizioni stipulate in tempo di guerra, come scrivea negli antecedenti libri; ma parte senza la più lieve provocazione continuò sempre ad importunarlo armata mano, sinchè avente alla testa Teuderico mise piede in Italia. Tale corse la gottica ventura.
II. Di costoro adunque gli uni morti e discacciati gli altri della patria, restò la regione agli Unni Cuturgurii, i quali, chiamatevi le donne colla prole cominciarono ad occuparla e vi sono tuttavia, ma quantunque donati ogni anno dall’imperatore osano impertanto, superato il fiume Istro, scorrazzarne le provincie, mostrandoglisi ad un tempo e confederati e nemici. Gli Utugurii poi al ripatriare col re loro, volendo per sè tutto il paese, venuti alla Palude Meotide piombarono sopra i Gotti Tetrassiti, i quali armati di scudo fecero da principio valida resistenza, sostenendone l’urto in virtù delle proprie forze e del malagevole accesso alle stanze loro. Imperciocchè robustissimi e’ sono della persona, e la Meotide al suo entrare nel Ponto formando un seno falcato quasi da per tutto all’intorno d’essi presenta una sola entrata, e neppur molto larga, a chi brama penetrarvi. Se non che in processo di tempo mal comportando gli Uturgurii di consumare la vita combattendo, e non sicuri i Gotti di poter sempre resistere a cotanti nemici, venuti entrambi a patti statuirono fosse loro comune il valico, si dovesse vivere in perfetta lega ed amicizia, e cogli eguali diritti dall’una e l’altra parte, ed i Tetrassiti s’avessero l’opposta regione sulla piaggia dell’alveo dove sbocca la Palude e dove albergano anche a’ dì nostri. Trasferitisi per tanto questi Gotti ad abitarvi, ed i Cutugurii anch’essi rimanendo secondo l’esposto di là dalla Palude, i soli Uturgurii conservano le patrie terre, nè danno a lor malincorpo impaccio alcuno all’impero intramettendovisi molte genti.
III. Gli Unni Cuturgurii s’hanno quindi per lo largo e lungo vastissima contrada; succedon loro gli Sciti ed i Tauri, possessori di tutta la regione pur oggi, in parte, nomata Tauride, ove si vuole fossevi altre volte un tempio di Diana custodito da Ifigenia di Agamennone. Gli Armeni per lo contrario pongono il tempio nella loro Acilisena (nome del suolo), persuasi che tale scitica appellazione ab antico fosse propria di tutti quegli abitatori; ed a convalidare questo lor detto valgonsi delle cose da noi riferite intorno ad Oreste e alla città Comana, allorchè l’istoria ci condusse a ragionarne; ma di siffatti argomenti potrà ognuno giudicare a sua voglia; essendo che l’uomo inclini per natura ad attribuire alla patria quanto accadde altrove, o vero sia quanto non accadde unquemai, e mal comporta il non farglisi eco dall’universale. Passate queste genti viene Bosporo, città marittima, la quale di fresco si è unita al nostro impero. Da lei a Chersone, posta sulla riva del mare e da tempo ligia de’ Romani, i barbari, vogliam dire gli Unni, godono tutto l’interposto suolo. Vicino a Chersone s’appresentano due altre città, Cepi e Fanaguri, da epoca antichissima insino a’ dì nostri suddite dell’impero, cadute quindi in potere de’ confinanti ed atterrate. Da Chersone alle bocche del fiume Istro è uopo un viaggio di dieci giorni, e tutta la regione è in barbariche mani. L’Istro discende dai celtici monti, rasenta gli estremi confini dell’Italia, traversa la Dacia, l’Illirico e la Tracia per iscaricare sue acque nel Ponto Eussino. Da quivi a Bizanzio tutta la piaggia obbedisce al monarca romano; hai così la circonferenza del Ponto Eussino da Calcedone insino alla capitale dell’impero, la cui misura non posso con esattezza determinare conciossiachè abitanvi d’intorno molte genti, come scrivea, le quali di qualche ambasceria all’infuori non comunicano affatto con noi, nè ci fu dato saperne più accurate notizie da chi per lo innanzi applicossi a conoscere questi intervalli. Solo diremo con certezza che, sulla destra del Ponto, da Calcedone al Fasi vi corrono cinquantadue giornate di spedito cammino; laonde opiniamo che mal non si apponesse chi pensò non differirne soverchiamente l’altra parte.